domenica 16 ottobre 2011

Monarchia tradizionale parte 5:I fueros come sistemi di libertà concrete.



"Fondando il potere politico nella libera volontà degli uomini e non più nella natura delle cose e nella legge di Dio; consegnandolo ai capricci delle decisioni popolari, manipolate dalla volontà dei più abili; rifiutando, infine, di riconoscere la piena autonomia giuridica dei gruppi sociali, e riducendo la società a massa di individui impotenti di fronte allo Stato sovrano - la concezione rivoluzionaria del potere provocò l'assolutismo dello Stato, sotto il cui mostruoso del Leviatano oggi viviamo. Solo nei sentieri della Tradizione i popoli trovano il progresso politico e la vera libertà"
- José Pedro Galvao de Sousa

I Fueros
La Rivoluzione costituita dall'Europa si fonda su due fatti cardinali: l'idea dell'uomo come essere astratto e la concezione meccanicistica dell'ordinamento politico. Il pensiero tradizionale spagnolo contrappone a queste l'idea dell'uomo concreto come essere storico e la concezione dell'ordinamento come insieme organico di posizioni vitali concrete. E' un'attitudine che si cristallizza nei Fueros, manifestazione legale e politica della visione della comunità come "corpus mysticum" di cui parlano i nostri classici politici.
La parola castigliana "fuero" deriva da quella latina "forum", nome del luogo in cui si amministrava la giustizia, passata poi a significare le sentenze emesse e, più tardi, le leggi particolari di una città o estamento, per indicare finalmente l'insieme di norme peculiari in base alle quali ciascuno dei popoli spagnoli si governa; un senso - quest'ultimo - che possiede nei classici della Tradizione spagnola e a cui si riferisce il presente capitolo.
In questo senso i Fueros presuppongono: primo, l'idea dell'uomo come essere concreto; secondo, che le libertà, o sfera d'azione dei diritti di ogni uomo nelle circostanze in cui vive, si inquadrino in ogni popolo negli ordinamenti legali e sociali prodotti della sua tradizione particolare; terzo, che nella lotta tra libertà e uguaglianza che corrode il pensiero rivoluzionario, é necessario affermare il primato della libertà; quarto, che contro la Libertà astratta della rivoluzione sono da preferirsi i sistemi di libertà concrete delle diverse tradizioni ispaniche, e, quinto, che i Fueros sono l'unica solida garanzia di autentica libertà politica.
Uomo astratto e uomo concreto
La filosofia politica della Rivoluzione uso l'uomo come misura di tutte le cose, indipendente dagli ordinamenti divini, trasformandolo in asse e centro dell'universo. L'ottimismo antropologico affratella Rosseau a Kant e ai legislatori dell'89. Rousseau idealizza alla perfezione l'uomo astratto, il selvaggio senza tradizioni, buono per definizione; Kant esalta la perfezione dell'uomo in se, indipendentemente dalle tradizioni culturali, creandolo capace di intendere il cosmo attraverso l'uso che la sua ragion pura fa dei dati del reale, e di sapere cosa sia giusto per mezzo della nuda autonomia della sua volontà "autonoma": gli uomini dell'89 non dichiarano quali siano i diritti dell'uomo francese, bensì quelli dell'uomo astratto e senza tradizioni. Per l'Europa l'uomo manca di storia, é un essere sprovvisto di un passato vivo.
Il successivo sviluppo di tale idea si svolge sotto un identico segno. Nella democrazia egualitaria ogni uomo possiede un voto, senza attenzione al suo valere né alla sua cultura, perché a priori tutti sono considerati uguali, giacché nulla conta della condizione storica concreta di ciascuno, ma solo la sua astratta condizione umana. In futuro verrà il giorno in cui questa inconcepibile ideologia democratica - oggi così diffusa - sarà considerata una cosa da pazzi, in virtù della quale sono uguali uomini nati con attitudini diverse e cresciuti disuguali; sembra una bugia che oggigiorno la maggioranza delle istituzioni dell'Occidente riposino sulla demenza di equiparare quanto a diritti politici i buoni ed i malvagi, gli svegli ed i tonti, i letterati con quelli che non sanno leggere. Sarà un'altra "pazzia d'Europa", da aggiungere a quelle già rilevate da Diego de Saavedra Bajardo - parlando del senso comune della Tradizione delle Spagne - tre secoli fa.
Nemmeno il totalitarismo fa distinzione tra gli uomini; quel che accade é che la democrazia li consideri uguali attribuendo loro lo stesso valore per inserire un voto nelle sue urne, mentre il totalitarismo concede loro identico valore per obbedire agli ordini di un dittatore, incarnazione di telluriche ed oscure volontà di assorbimento e, in quanto tali, sempre incontrastabili. Ma entrambi, liberalismo e totalitarismo, partono dallo stesso stampo filosofico: l'idea dell'uomo astratto.
E' un'idea che compare alla nascita dell'Europa. Anteriormente, nei secoli della Cristianità, la società cristiana possedeva un ordinamento gerarchico ed organico; ogni uomo apparteneva ad un determinato gruppo sociale, sia che fosse religioso (ordini o confraternite), religioso-militare (ordini di cavalieri), economico (corporazioni) o politico (brazos o estamentos). Lo sforzo personale faceva salire l'inferiore ai gradi superiori del corpo mistico sociale, ma questo fruiva di una solida struttura poiché - dentro di esso - ogni membro faceva parte di un ordine ed era un elemento che costituiva una gerarchia. La comunità organica cristiana, secondo l'idea dell'uomo concreto, fu il presupposto delle cattedrali tomiste costituite dalle "Summae" e il sodalizio umano più adeguato all'ordine divino in tutto il corso degli astri siderali.
Al momento della gestazione dell'Europa, verificatosi nel corso delle agitazioni del secolo XV, inizia in Italia la perdita del senso organico della società, che sostituisce la struttura orizzontale degli estamentos con una verticalizzazione dei raggruppamenti. Allora lo spirito individualista, che sfocierà nel meccanicismo europeo, spinto da una irrefrenabile ansia verticalista scavalca tutte le barriere, rimuovendo le precedenti strutture politiche. Come scriverà Alfred von Martin "the Middle Ages in their structure as well as in their thought had a rigidily graduate system. There was a piramid of States as well as a piramid of values. Now these piramids are about to be destroyed, and 'free competition' is proclaimed as the law of nature"(1).
I "condottieri" italiani che - a Firenze o Siena - lottano per impadronirsi della "città", cercano sostenitori in tutti i settori sociali, in modo tale da trascinare indistintamente chierici, nobili, commercianti, letterati ed artigiani. Dall'apice della visione organica della società conosciuta dalla Cristianità, sorge una nuova divisione politica del corpo sociale: quella che si verifica tra gli amici ed i nemici del "virtuoso uomo di fortuna". Così, quando uno Sforza o un Medici salgono al potere, fondano uno "Stato", ossia creano una struttura forte che permette loro di continuare a comandare. Con questa struttura nascono le fazioni, e secondo questo criterio qualche secolo dopo appariranno i partiti politici, aventi come regola il classificare gli uomini sulla base di criteri astratti e non a seconda del posto che ciascuno occupa nel seno del corpo mistico collettivo. Il profondo significato del Principe di Macchiavelli consiste - a parte la trasmutazione della tavola dei valori etici -, nel fatto che raccoglie quella nuova realtà sociologica, facendola entrare nella mentalità europea.
Poco a poco, col crescere ed irrobustirsi dell'Europa, l'idea dell'uomo astratto acquista vigore. L'aiuteranno a salire lo spirito romanicheggiante - che offre all'assolutismo regio l'occasione per disfare completamente la composizione organica della società, instaurando quel dualismo che Boutmy avrebbe definito come la contrapposizione tra l'infinitamente grande dello Stato e l'infinitamente piccolo dell'individuo isolato (2) -, lo stile borghese delle società protestanti - con quello spirito individualistico d'impresa, che nasce in Olanda e Inghilterra come conseguenza della scissione luterana tra natura e grazia, nel quale Werner Sombart ha posto la chiave del moderno capitalismo (altro fenomeno tipicamente europeo) -, e, specialmente, il nuovo spirito filosofico: quando Cartesio dubita della realtà circostante comincia a fabbricare un mondo per ciascun io astratto; un'intenzione che Kant tradurrà in sistema; un sistema che é nient'altro che la chiave dell'Europa contemporanea.
E' un'Europa in cui l'uomo crea il proprio mondo - ad opera di Kant - gnoseologicamente e persino ontologicamente - grazie all'idealismo trascendentale di Fichte -; un'Europa in cui la società consiste in un processo meccanico, un mucchio di granelli di frumento sovrapposti a caso; un'Europa in cui l'uomo, spogliato delle tradizioni, diviene mero "homo oeconomicus"; un'Europa che non vuole saperne più di corporazioni, ma solo di partiti politici, molteplici nelle democrazie ed unico nel totalitarismo; l'Europa che ignora l'uomo concreto della Cristianità e conosce solo l'uomo astratto della Rivoluzione.
Liberalismo e uomo astratto
Dice Maurice Hauriou che "l'organizzazione costituzionale ha per oggetto il fornire delle garanzie di libertà" (3). E' la trascrizione del secondo principio della Dichiarazione dei diritti dell'uomo, dichiarazione dei diritti dell'uomo astratto, in cui si legge: "Il fine di ogni associazione politica é la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dei suoi membri".
Orbene, quell'ordinamento costituzionale possiede un carattere meccanico. "E' - ci dice lo stesso Hauriou - il risultato dell'equilibrio tra l'ordine e la libertà, tra quanto c'è e quanto deve ancora venire" (4).
Ma chi regola quell'equilibrio? Per l'uomo liberale solo una cosa: le maggioranze elettorali. E come nascono tali maggioranze elettorali? Secondo il criterio un uomo, un voto, cioè in tono con l'idea astratta dell'uomo. Per il liberalismo la rappresentanza sarà, pertanto, "nazionale", ossia, volta alla totalità del corpo sociale senza graduare le qualità presenti nel suo seno; e sarà, inoltre, una rappresentanza slegata da qualsiasi contatto con l'elettore, venendo proibito ogni tipo di mandato imperativo, al fine di dare corso effettivo alla nozione della rappresentanza astratta nell'astratta idea dell'uomo. Un Esmein (5) o un Carré de Malberg (6) definiscono l'idea di rappresentanza democratica in base a questa concezione astratta dell'essere umano.
Totalitarismo e uomo astratto
Il totalitarismo percorre gli stessi passi, perché in definitiva non fa che tentare di superare la molteplicità di politiche con una sola e la varietà anarchicamente meccanicistica dei partiti col dominio inesorabile di un partito solo.
Quando Lorenz von Stein apre le porte al marxismo impostando la realtà economica come realtà politica, apre la strada a che Marx costituisca un partito di classe avente per meta non la riedificazione della società sulla base degli strati professionali, orizzontali e apolitici; un partito che unificherà la società con un ordinamento esclusivamente politico e verticale, sopprimendo qualunque possibilità di libertà, quale che sia.
E quando il "Partito", "Partei" o "Partiya" assume in Italia, Germania o Russia il ruolo di educare il popolo a fini politici - ad esempio nelle teorie di Sergio Panunzio, di Carl Schmitt o di Arshanov -, va a sopprimere ogni libertà politica sugli altari dell'unificazione esterna e dell'ansia di conservare il potere di determinate strutture verticali, esattamente uguali a quelle delle "fazioni" che appoggiavano i "condottieri" rinascimentali. E sempre dando valore all'uomo come "homo oeconomicus" o in quanto soggetto passivo di sudditanze supine, mai come l'essere concreto che é, con peculiarità che oltrepassano lo stomaco o il comando.
Tradizione e uomo concreto
Contro a questi atteggiamenti europei, bisogna pensare che l'uomo é un essere integro, che nasce con una prospettiva ultraterrena in una cornice terrena. Bisogna credere che non nasce, come gli animali, per mangiare o imporsi con la violenza, ma in funzione di guadagnare - in alto - il cielo, e di continuare - in basso - una linea storica concreta. Bisogna concepire la società ordinata orizzontalmente in accordo a interessi morali o materiali, non verticalmente in uno o numerosi partiti politici. Bisogna affermare che la filosofia politica deve partire dall'uomo concreto e non dall'uomo astratto.
Pensando alla spagnola, che é pensare alla cristiana, l'uomo é stato dotato di libertà da Dio perché la esercitasse in circostanze date concretamente, sino al punto che un esercizio simile é - sul piano teologico - il mezzo che Dio ha posto nelle sue mani per guadagnare la felicità a cui é chiamato. Essendo missione della politica non il definire astrazioni irrealizzabili, ma il rendere possibile ad ogni uomo l'esercizio della libertà nella scelta del suo destino trascendente - sviluppando la sua natura liberissima in modo da non nuocere a sé, né risultare pregiudizievole all'ordine sociale di cui fa parte -, la cosa sarà possibile solo quando la convivenza umana si articolerà in sistemi organici di libertà concrete, che permettano alla persona, fisica o morale, di orientare il suo operare al raggiungimento dei suoi fini peculiari. La realtà storica ed il radicamento metafisico dell'uomo proclamano la sua condizione di essere concreto, capace di usare solo libertà politiche concrete.
Contro la negazione delle libertà, implicita nei totalitarismi, e contro la Libertà astratta, generata dall'89, la Tradizione spagnola ha alimentato la realtà storica dei Fueros come un sistema di libertà storiche concrete.
Tra le libertà. Libertà ed uguaglianza.
La cosiddetta civiltà occidentale ritiene di aver raggiunto un livello di maturità sufficiente ad edificare la vita associata sul principio della Libertà umana. Si parla e si scrive come se la "Libertà" dell'uomo sia presente nell'ideologia che ha creato la rivoluzione francese del 1789, madre dell'attuale pensiero politico occidentale. Ma ne siamo certi? Si sono realizzati oggi, nel 1953, i sogni accarezzati nella congiura connotata dal suono de "La Marsigliese"? La Francia, l'Inghilterra e l'Italia, sono paesi davvero liberi?
Cercherò di rispondere a questa domanda.
Il pensiero rivoluzionario implicava, per come venne formulato nelle giornate del 1789 e volendo credere a quanto dicevano i suoi sostenitori, da un lato un principio di libertà per gli individui che componevano il corpo sociale, dall'altro il governo in tono con la volontà delle maggioranze. Nella massima formulazione della Dichiarazione dei Diritti, già si coglievano entrambi gli aspetti. Nel secondo articolo veniva stabilito che "il fine di ogni associazione politica é la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell'uomo; questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all'oppressione" (7). Mentre nell'articolo 6 si determinava che "la legge é l'espressione della volontà generale; tutti i cittadini hanno diritto a concorrere personalmente, o per mezzo di loro rappresentanti, alla sua formazione" (8). Il primo fu il principio della libertà individuale, il secondo quello della sovranità nazionale o popolare; entrambi vengono mescolati nel contenuto della tematica filosofico-politica della rivoluzione.
Ciò nonostante si contraddicono profondamente, perché il primo si occupa di difendere l'individuo contro la maggioranza, mentre il secondo costruisce una maggioranza senza freni. Perché l'articolo 2 guarda al cittadino ed il 6 alla maggioranza numerica. Perché la libertà suppone un limite e la sovranità di per sé non conosce barriere, sotto pena di cessare di essere tale. Sono cose diametralmente opposte, anche se mescolate in diverse raccolte di diritti nelle varie costituzioni seguite alla rivoluzione.
Il motivo per cui entrambi i principi, benché contraddittori, si trovano nello stesso documento, é dovuto alla doppia paternità dell'ideologia rivoluzionaria, che da un lato vorrebbe beneficiare della tradizione inglese - portata nel continente da Montesquieu - e dall'altro reclama per sé l'eredità spirituale del pensiero astratto dell'Enciclopedia francese. La concretezza dell'esperienza inglese e della sua continuazione nordamericana avrebbe richiesto una dichiarazione di diritti sul genere di quelle inglesi del 1629 e 1688, o di quelle della Virginia del 12 giugno 1776 e del Massachussets del 2 marzo 1780, per citare solo le più rilevanti. La novità consistette nel riempire quelle formule anglosassoni col contenuto astratto dell'ideologia enciclopedista.
Cesare Cantù, il grande storico del secolo scorso, aveva già osservato questa contraddizione quando scrisse quanto segue: "Nonostante la rivoluzione avesse tutti i caratteri della violenza, voleva presentarsi sovente col ruolo di imitatrice, e pretendeva di fare la parodìa della rivoluzione degli anglo-americani. Ma per portare a termine un'impresa così grande era necessario porre mano a quelle verità pratiche che spuntano le armi della confutazione e non sono soggette a rettifica. Mirabeau diceva - con la residua ragione - che la libertà non é il prodotto di teorie astratte, né di corollari filosofici, e che le leggi azzeccate sono il prodotto dell'esperienza che quotidianamente si acquisisce e dei ragionamenti che si svolgono in una serie di osservazioni sui fatti. Nella tanto meditata Dichiarazione non si fissò il vero senso della parola diritto, e definizioni, massime, principi, si agglomerarono tutti indistintamente; si frammischiarono verità chiare e sacre con altre non ammesse dalla storia né dai costumi; e si arrotolò tutto in formule vaghe e indeterminate, che il popolo non capiva e delle quali non potevano trarre partito neppure l'esiguo numero dei filosofi. Anche gli inglesi, dopo la rivoluzione del 1688, redassero una dichiarazione di diritti; ma si deve notare, innanzi tutto, che quella dichiarazione, la quale ebbe luogo dopo una rivoluzione, non faceva altro che enunciare chiaramente e semplicemente alcuni canoni non soggetti a discussione o contraddizione, diretti solo a garantire dei diritti positivi. La Costituzione francese aveva invece carattere di universalità e preparava una costituzione interamente nazionale; l'individuo reale ed esistente veniva offerto come vittima alla creazione fantastica di una cosa pubblica immaginaria; si facevano regolamenti astratti per l'uomo astrattamente considerato, invece che per ventisei milioni di francesi viventi in una determinata epoca e che avevano propri costumi speciali" (9).
L'affanno di copiare gli antecedenti inglesi portava da sé i criteri per la libertà. Il prurito dell'astrazionismo conduceva alla democrazia. Montesquieu soggiace all'articolo 2, ma Rousseau alita all'ombra dell'articolo 6. L'equilibrio crea la libertà, dirà quello; la maggioranza ha sempre ragione, opinerà questo. Il dualismo libertà - democrazia, esperienza inglese - filosofia continentale enciclopedista, ragione - volontà, Montesquieu - Rousseau, equilibrio di poteri - volontà generale, articolo 2 - articolo 6, é l'antagonismo senza pari che lacera la trama interna della filosofia politica rivoluzionaria.
All'inizio, in Francia, predomina l'idea di libertà su quella di democrazia. Questa età aurea del liberalismo culmina, principalmente, nella "Charte" del 1830, proprio perché in essa quel che si desidera é assoggettare le decisioni della maggioranza, subordinandole all'auspicato criterio di forgiare un circuito vitale in cui la maggioranza non possa intromettersi. La filosofia politica dei dottrinari viene presieduta dal dogma inglese secondo cui "la mia casa é il mio castello" (10).
E' per questo che i dottrinari postulano un concetto intellettualista della legge. Tutto il primo capitolo del Cours de politique constitutionelle, di Benjamin Constant, é un tentativo di salvare tale postulato superando le dottrine di Rousseau. E' da qui che i dottrinari riducono lo stampo del perfetto ordinamento politico a una trama di poteri equilibrati tra loro, vedendo in ciò le massime garanzie per la libertà. Non contenti dei tre poteri classici che Montesquieu aveva osservato in Inghilterra, e timorosi che talvolta si potesse rompere l'equilibrio del potere esecutivo col legislativo e col giudiziario, nella cui relazione consiste la libertà, crearono un quarto potere, senz'altra missione che quella di mantenere perfettamente quell'equilibrio: il potere reale di Clermont-Tonnerre, il potere moderatore della Costituzione spagnola del 1876.
E' per questo che l'obiettivo di tutti i dottrinari é salvaguardare il paragrafo 2 della Dichiarazione del 1789 appoggiandosi sul 16, ossia sulla nozione secondo cui "ogni società nella quale la garanzia dei diritti non é assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha punto Costituzione" (11).
Di conseguenza, dentro la "Charte" del 1830, affinché vi sia il liberalismo, non esiste la democrazia. La separazione tra cittadinanza attiva e passiva era già stata stimata dalla Costituzione del 1791, venendo regolamentata in base a criteri economici che si concretizzavano nel pagamento di 1,50 franchi di tasse; un principio raccolto nella Costituzione dell'anno III, la quale elevava anche l'importo dell'imposta al salario corrispondente a tre giornate lavorative. La "Charte" regalista del 1814 alza la quota elettorale a 300 franchi di imposta per fruire del suffragio attivo e a 1000 franchi per possedere quello passivo. La "Charte" di Luigi Filippo abbassa le cifre a 200 franchi per l'eleggibilità attiva e a 500 per quella passiva.
Era una situazione liberale, non democratica. Nel 1831 c'erano in Francia solo 175.000 elettori. E quando si chiese qualcosa di ciò al dottrinario Guizot, egli rispose con una replica tipicamente liberale e borghese: "Arricchitevi col risparmio e col lavoro, e diventerete elettori" (12). Negli accadimenti politici che culminarono nella Carta di Luglio, vi é solo liberalismo, libertà come equilibrio di poteri, Montesquieu, esperienza inglese e predominio della ragione.
Ma sin dall'inizio Rousseau porge l'orecchio e, pochi anni più tardi, la democrazia inscritta nell'articolo 6 darà abbondanti raccolti politici. Già l'11 agosto 1792, il giorno dopo l'invasione delle Tuleries da parte delle masse popolari, la Convenzione nazionale convocata per decidere della sorte di Luigi XVI viene eletta chiamando al voto tutti i maschi con più di ventun anni; allo stesso modo, il postulato rousseauviano e democratico appare inscritto nella Costituzione della "Montagna" del 24 giugno 1793. Era l'alba democratica, passeggera sino alla fugacità, in cui per la prima volta il liberalismo perde terreno nel confronto con le turbe. Dopo questa tappa brevissima, la Costituzione dell'anno III vede un ritorno agli usi liberali, con un sistema che persiste nel 1814 e giunge all'apogeo nel 1830. Il Decreto del 5 marzo 1848 instaura definitivamente il suffragio universale in Francia: un principio poi rimasto costantemente in vigore, che nessuno combatterà frontalmente, sebbene venga corretto tramite lievi attenuazioni del genere di quelle citate nella legge del 13 maggio 1850 o nei procedimenti elettorali impiegati sotto il Secondo Impero per favorire l'elezione degli amici del Governo. Si può dire che in Francia, dal 5 marzo 1848, il principio democratico sostituisca quello liberale, in un percorso che sarà seguito da altri popoli europei.
Anche per l'Inghilterra - sebbene sia l'ispiratrice di Montesquieu e rappresenti il sistema liberale per eccellenza -, se si ripercorrono gli ultimi duecento anni della storia costituzionale inglese, si vedrà che, in definitiva, constano di una progressiva estensione del diritto di voto. Le riforme del 1832, 1867, 1884 e 1928, significano puramente e semplicemente tale trasformazione. Benché in teoria si continui a considerare il suffragio come non universale ma dipendente dalla tassa, il bassissimo livello stabilito per questa fa sì che la "Representation of the People Act" del 2 luglio 1928 consacri praticamente il suffragio universale.
Un suffragio che ha presupposto, dietro al trionfo della democrazia politica, la vittoria della democrazia economica. L'ondata crescente del laburismo, la sua ascesa al potere e i cambiamenti da vera rivoluzione incruenta che l'Inghilterra sta attraversando in questi ultimi anni, non significano altro che il trionfo totale della democrazia, anche nell'ambito dell'economia. Oggi si può dire, senza timore di errare, che l'Inghilterra - la terra classica della libertà politica - non é più uno Stato liberale (13) ma uno Stato democratico, nella doppia accezione che il vocabolo possiede. Le limitazioni all'operare individuale in campo economico che esistono in gran parte dell'Inghilterra d'oggi - trovando giustificazione solo in un ordine democratico - sono incompatibili con una concezione liberale.
Altrettanto si potrebbe asserire della Spagna. Eccetto il periodo transitorio seguente la rivoluzione del 1868, il XIX secolo spagnolo ha vissuto sotto il carattere liberale, non democratico. Le successive Costituzioni rifiutarono il predominio della volontà generale; cioè del suffragio universale, proscritto nel 1812, nel 1837, nel 1845 e nel 1876, senz'altra eccezione che quella breve del 1869. Ma, anche tra noi, all'iniziale tappa liberale segue quella democratica, d'accordo con le linee generali delle ideologie rivoluzionarie. Il dottrinarismo peculiare della Costituzione del 1876, viene sostituito dal principio della democrazia nella legge elettorale del 26 giugno del 1890, quando nel suo primo articolo viene decretato il suffragio attivo per tutti i maschi con più di venticinque anni. Anche nel 1931 la Costituzione repubblicana é democratica e non liberale: l'uguaglianza nel voto stabilita all'articolo 36, la proclamazione del suffragio universale, diretto e segreto nell'articolo 52 e le limitazioni alla proprietà, esprimono detta tendenza.
Il processo é sempre monotono fino alla sazietà: la libertà borghese perisce per mano del suffragio politico universale, e questo porta con sé in modo ineludibile l'egualitarismo socialista. Il predominio delle tendenze socialiste o dei socialismi democratici nella vita politica d'Occidente riflette questo cambiamento, in cui l'uguaglianza ha il primato sulla libertà e una volontà collettivistica rade al suolo le fragili barriere dei diritti individuali proclamati tanto pomposamente nel 1789. Che la volontà collettivistica sia maggioritaria o minoritaria, che si esprima in votazioni periodiche o metta mano alla spada di un dittatore, sono dettagli accessori rispetto al fatto fondamentale: la libertà astratta della Rivoluzione europea é morta divorata da sé stessa.
I Fueros, barriera e alveo
Contro l'Europa e per uscire dal processo della politica europea appena passato in rassegna, la Tradizione delle Spagne inalbera la bandiera della libertà; ma senza cadere nell'errore di basare la libertà sulla menzogna dell'uomo astratto inesistente, bensì fondandola sulle realtà concrete dell'uomo storico che perpetua una tradizione secolare. Per questo non proclama la Libertà, ma riconosce le libertà; per questo non lascia al rischio di un cervello il costruire castelli nell'aria di un'illusoria divagazione, ma si attiene a quanto creato dalla storia dei diversi popoli di Spagna e cerca di instaurare i Fueros come barriere protettrici della libera azione di ciascun uomo.
Nel pensiero ispanico i Fueros suppongono due cose: barriera e alveo. Barriera di difesa del cerchio d'azione che spetta ad ogni uomo a seconda del posto che occupa nella vita sociale, come padre di famiglia, come lavoratore, come membro di un municipio o di un territorio; e alveo nel quale fluisce la sua azione libera, incorniciata giuridicamente nei margini della sua posizione in seno alla vita collettiva. Di modo che i Fueros sono garanzia dell'uso e ostacolo all'abuso della libertà umana.
Nei Fueros e nella tematica dell'uomo concreto che serve loro da cemento, l'uomo storico succede all'uomo irreale dei liberalismi rivoluzionari. O per dirla con le profonde parole di Rafael Gambra: "Il nostro tempo ha reagito al razionalismo come concezione universale. Con ciò siamo tornati a guardare a quanto l'Illuminismo aveva disfatto... La Storia é tornata ad apparirci come uno sviluppo sempre nuovo di possibilità occulte e impenetrabili, il cui mistero é quello della nostra stessa esistenza. Dopo aver patito i cambiamenti del regime storico, i nostri occhi sono più aperti che mai al problema storico" (14). E la libertà storica sono i Fueros.
NOTE
1) "I medioevi ebbero un sistema graduato rigidamente, sia nella loro struttura che nel loro pensiero. Vi fu una piramide di Stati così come una piramide di valori. Ora queste piramidi stanno per essere distrutte, e la 'libera competizione' é proclamata come legge di natura", in Sociology of the Renaissance, Oxford University Press, New York 1944, p. 2.
2) E. Boutmy: Etudes de Droit constìtutionnel, Terza edizione, Armand Colin, Parigi 1899, p. 7.
3) Derecho politico y constitucional, Reus, Madrid 1927, p. 525.
4) Ibidem, p. 9.
5) Deux formes de gouvernement, nella Revue de Droit public, I, p. 17 e ss.
6) Teorìa general del Estado, Fondo de Cultura Econòmica, Messico 1948, pp. 1054-1055.
7) "le bout de tout association politique est la conservation des droits naturels et imprescriptibles de l'homme; ces droits sont la liberté, la proprieté, la sureté et la résistance à l'oppression".
8) "la loi est l'expression de la volonté générale; tous le citoyens ont droit de concourir personnellement, ou par leurs réprésentants, à sa formation".
9) Historia universal, Montaner y Simòn, X, Barcelona 1892, pp. 16-17, Libro XVIII, capitolo I.
10) "my home, my castle".
11) "toute société dans laquelle la garantie des droits n'est pas assurée, ni la séparation des povoirs déterminée, n'a point de Constitution"
12) "Enrichissez-vous par l'epargne et par le travail, et vous deviendrez electeurs".
13) Ignacio Hernando de Larramendi, Tres claves de la vida inglesa, Madrid, Esplandiàn 1952.
14) El materialismo històrico y los datos de la filosofia actual, Madrid, Revista de Filosofìa, IV, 1946, p. 587.