venerdì 22 gennaio 2016

Tamigi di sangue: “Il trionfo del re” di R. H. Benson

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di Luca Fumagalli (Fonte: http://www.radiospada.org/)
 
Dopo il discreto successo ottenuto con Con quale autorità? (1904), R. H. Benson si dedicò alla stesura di un nuovo romanzo storico, ancora una volta ambientato durante i terribili anni dello scisma anglicano. In questa occasione il protagonista sarebbe stato il padre di Elisabetta, Enrico VIII, l’ex defensor fidei rivoltatosi contro Roma. Il trionfo del re (The King’s Achievement), pubblicato nel 1905, tratta con acutezza psicologica il dramma di una nazione chiamata a scegliere tra l’eresia e la fede dei padri. Il motivo unificante delle vicende che, a mosaico, compongono la trama, è la spoliazione e distruzione dei monasteri causata dall’ambizione e dell’avidità del re. L’esito è una brillante operazione di revisionismo storico che ha come fine quello di dimostrare, attraverso l’accessibilità della forma narrativa, come il protestantesimo inglese fosse corrotto sin dalle origini, nato soltanto per assecondare gli smodati appetiti di un sovrano preda del vizio.
Il trionfo del re, ambientato tra il 1533 e il 1540, descrive il conflitto tra due fratelli appartenenti alla famiglia aristocratica dei Torridon. Sulla sfondo della contesa tra il Papa ed Enrico, Christopher, sacerdote fedele a Roma e intenzionato a rispettare la sua vocazione, fronteggia Ralph, ambizioso servo del potere, tanto accecato dal miraggio di una rapida carriera a corte da sopprimere la sua coscienza e rifiutare la mano della donna che ha sempre amato. Tra intrighi e misteri, tra aiuti provvidenziali e colpi bassi, il duello tra i due Torridon si risolverà in una lenta ma inesorabile caduta nelle morte gore del peccato.
Nel titolo del romanzo Benson chiarisce qual è, in estrema sintesi, il tema portante del libro: rievocando l’opposizione tra dimensione temporale e spirituale dell’esistenza, parla del trionfo di Enrico VIII come qualcosa di passeggero e infecondo. La cosa che più conta, la battaglia per la salvezza dell’anima, si è risolta invece in una clamorosa disfatta. Nel sorriso arrogante del re è celata la miseria di un uomo che ha sacrificato la felicità eterna per uno strapuntino di potere. Come l’Anticristo de Il padrone del mondo, alla fine anche lui è destinato a soccombere innanzi alla giustizia divina.
Tra i personaggi de Il trionfo del re Enrico VIII è l’unico rappresentato sotto una luce totalmente negativa. Il sovrano, che perseguì con lucida scientificità i suoi progetti di controllo totale sull’Inghilterra, mostra in più occasioni la natura luciferina del suo operato. Freddo e calcolatore, non tollera che qualcuno possa sconvolgere i suoi piani e non esita a schiacciare chiunque tenti di sbarragli la strada: «Enrico era andato troppo innanzi; aveva assaporato con troppa soddisfazione la ricchezza che giaceva nei tesori delle case religiose in attesa di lui, e dopo un po’di tregua accostò di nuovo la mano alla coppa […]. Ora Enrico non poteva più tollerare la più piccola ombra di indipendenza spirituale entro il suo territorio».
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Il re, per quanto possibile, preferisce evitare l’uso della violenza ed esibire troppo scopertamente il suo potere coercitivo. Usa un’arma molto più efficace e invisibile, la burocrazia, l’unica in grado di nascondere agli occhi del popolo i grandi cambiamenti in atto, ammantando di legalità e di rinnovamento spirituale la cupidigia del bolso Tudor. I burocrati, «uomini pacifici, dall’aspetto d’avvocati, erano ministri di una tremenda vendetta; le stesse penne, l’inchiostro e la carta […] erano sacramenti di vita o di morte». Accanto a lui si muovono nell’ombra figure meschine e ambigue come l’ex prete Layton, oscenamente impegnato in prima persona nelle spoliazioni dei monasteri, il traditore Lackington e il fedelissimo ministro Cromwell, sempre attento a soddisfare ogni capriccio di Enrico da cui, ironia della sorte, verrà poi tradito e ucciso.
Dalla parte opposta si ergono come giganti i veri trionfatori del libro. Sono i martiri che, sacrificandosi per affermare i diritti di Cristo e della Chiesa, hanno ottenuto la santità, l’unica vera vittoria. Uomini come More, Fisher e altri hanno infatti conquistato con il sangue il diritto alla Vita eterna e alla visione beatifica di Dio. Attraverso il martire, figura cristologica, passa il riscatto della nazione: come agnello sacrificale versa il suo sangue per redimere un popolo intero dall’apostasia. Le pagine di Benson, con uno stile delicato e vibrante, ritraggono con efficacia rara il tormento della morte e la conquista della gloria, quella sensazione che descrive Christopher quando, nel 1533, visita a Londra il luogo dove sono stati uccisi i primi frati cappuccini: «Era qui che avevano subito il martirio, quei forti, quegli intrepidi cavalieri di Dio; essi avevano penduto da queste travi, coi piedi sul carro che era il loro carro di gloria, ed il collo nella fune che sarebbe stata il loro celeste distintivo; avevano guardato quei luoghi che egli stava ora guardando, mentre tenevano il breve discorso rivolti verso la Porta di Tyburn. Batté ancora una volta la mano sulla rozza trave e mentre gli parlavano nella mente i particolari del supplizio, si curvò baciandola, ed un fiume di lacrime gli velò gli occhi».
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Mentre i cattolici vengono perseguitati, il loro grido di perdono si leva alto sulla folla vociante, in netto contrasto con la doppiezza del re che vive in un costante clima di ansia e sospetto. Vi è in questo atteggiamento un qualcosa di allegorico, come se Benson avesse voluto fare di Enrico VIII non solo il prototipo dell’eresiarca, ma anche del pessimo governatore che promette al popolo senza mai mantenere.
In rapporto ai monasteri, come ricordato, si manifesta per la prima volta l’autentica indole del sovrano che dà ordine di sopprimere le compagnie religiose e sequestrarne i beni:  «Quasi tutti, monasteri grandi o piccoli, vennero letteralmente smantellati, prima o dopo essere stati venduti a gente che pagò per essi un prezzo “onesto”: tutto il vendibile fu venduto, compreso il piombo che rivestiva i tetti e i catenacci delle porte; i mobili e gli arredi sacri furono venduti all’asta, gli oggetti liturgici preziosi e le campane vennero fusi, i libri che non contraddicevano il re vennero requisiti e gli altri, la maggior parte, essendo “robaccia cattolica” (e molti erano preziosissimi codici ricchi di miniature), furono bruciati o regalati al popolo che ne usò le pagine per avvolgervi la verdura. Dai paramenti sacri si recuperò la stoffa, ove possibile; altrimenti si utilizzarono al meglio, magari a far da coperte ai cavalli dei nobili».
Proprio nei monasteri nasce e si sviluppa anche l’incontro/scontro tra i vari membri della famiglia Torridon, tutti – con la sola eccezione della madre – in profondo disaccordo con la condotta di Ralph.
I monaci, privi di residenza, si trovano quindi costretti a una difficile scelta tra la fedeltà all’ordine e al Papa o quella al sovrano. E sono in moltissimi, la maggior parte, che, per tutelare la propria incolumità fisica, abiurano il cattolicesimo per sottomettersi alla corona.
Nessuno è esente dalle tentazioni del maligno e Benson, che ben conosceva l’anima dell’uomo, l’aveva compreso chiaramente. Anche in altri suoi libri si possono incontrare religiosi poco limpidi, spesso codardi o sciocchi. Questo atteggiamento presto gli valse critiche da parte di alcuni cattolici, ma non si tratta di presunto anticlericalismo quanto della consapevolezza che sia il male che la stupidità sono patrimonio di tutti, indipendentemente dagli abiti che indossano. Inoltre l’accusa mostra la sua inconsistenza proprio nel momento in cui ai preti “giurati” si contrappongono sacerdoti e frati, come Cristopher, che non rinunciano alla loro fede, arrivando addirittura a morire per essa.
Il gioco delle parti su cui è costruita la storia trova una brillante sintesi in Beatrice Atherton. La giovane ragazza amica di Thomas More, di cui si innamora perdutamente Ralph, è il motore di quella sottotrama del perdono e della conversione che, nella terza parte del romanzo, caratterizza la vita di casa Torridon.
La fanciulla rivela un carisma molto simile alla più illustre omonima dantesca. Grazie all’amore puro e gratuito dell’amicizia, la giovane Atherton conduce gli uomini sulla via del riscatto. Emblema di questo contagio virtuoso è proprio Ralph, l’eroe tragico del libro. Dopo essersi macchiato con il sangue di molti innocenti e avere insultato la fede dei propri padri, anche a lui, attraverso Beatrice, è concessa la possibilità del perdono: «Mio… mio Dio» sono le ultime parole della sua esistenza terrena.
Il libro: R. H. BENSON, Il trionfo del re, Verona, Fede & Cultura, 2012, 350 pp, 15 Euro.