
Re Francesco, il giorno 14 gennaio 1861, rispose all'imperatore  Napoleone III con una lettera, che si colloca sullo stesso piano, per semplice  dignità, stile e coraggio, di quella del 13 dicembre  1860
Mio Signor  Fratello.
La flotta di V.M. partirà fra  pochi giorni, e sarà interrotta ogni comunicazione tra questa Piazza e il resto  della terra. Mi permetta la M.V. di giovarmi di quest'ultima occasione per  scriverle e ringraziarla della premura che mi ha si nobilmente  manifestata.
Io avea promesso a V.M., che  quando avessi adottata una risoluzione definitiva, la mia prima cura, il mio  dovere di riconoscente lealtà sarebbe stato di fargliela conoscere: mi fo ora ad  adempiere la mia promessa.
Dopo la dichiarazione  dell'Ammiraglio di Francia ho lungamente esitato, lo confesso, perciocché da  ogni lato io vedeva gravi inconvenienti, e le opinioni di coloro, che ho creduto  dover consultare, erano divise in questa suprema alternativa. Se da una parte  rimanendo qui, abbandonato dal mondo intero, io mi espongo a cader nelle mani  d'un nemico disleale,  a veder compromessa la mia libertà, e forse la mia  dignità e la mia vita, dall'altra ritirandomi io cederei una Fortezza ancora  intatta, oscurerei il mio onor militare, e per un eccesso di prudenza  rinunzierei a tutte le eventualità ed a tutte le speranze  dell'avvenire.
E come cedere, quando in  tutte le Province del mio Regno con sentimento spontaneo s'insorge contro la  dominazione del Piemonte? Come cedere quando da tutte le parti mi s'incocaggia  alla resistenza, quando da tutti i punti d'Europa uomini privati e Governi mi  animano a perseverare nella difesa della mia causa, che è in questo momento la  causa dei Sovrani, del diritto pubblico, della indipendenza dei Popoli? Se le  considerazioni politiche possono mostrare come temeraria la mia risoluzione il  cuore di V.M., che è grande e nobile, saprà comprenderla ed  approvarla.
Io sono stato vittima della  mia inesperienza, dell'astuzia, dell'ingiustizia e dell'audacia d'una potenza  ambiziosa; ho perduto i miei Stati, ma non la fiducia nella protezione di Dio e  nella giustizia degli uomini.
Il mio diritto è ora il mio  solo patrimonio, ed è mestieri che per difenderlo io mi faccia seppellire, se fa  d'uopo, sotto le fumanti rovine di Gaeta. Non mi ha fatto questa previsione dell'avvenire esitare un istante, ma il solo mio timore è stato di cader prigione, e veder la dignità Reale avvilita nella mia Persona. Ma se quest'ultima prova mi è riserbata, se l'Europa consente questo estremo attentato, sia ben sicura la M.V. che io non profferirò un lamento, e saprò sopportare con rassegnazione e fermezza la mia sorte.
Ho fatto ogni sforzo per persuadere S.M. la Regina a separarsi da me, ma sono stato vinto dalle tenere sue preghiere e dalle generose sue risoluzioni. Ella vuoi divider meco sino alla fine la mia fortuna, consecrandosi a dirigere negli ospedali le cure dei feriti e degli ammalati: da questa sera Gaeta conta nelle sue mura una Suora di Carità in più.
Non sapendo se V.M. riconoscerà il blocco, ed ignorando se i piroscafi delle Messaggerie Imperiali potranno in avvenire recarmi notizie di V.M., mi sono affrettato a scriverle, perché l'ultima nuova che Le arrivi dall'interno di questa Piazza Le apporti una testimonianza della profonda stima, della sincera riconoscenza e della vera amicizia, con le quali ho l'onore di essere, mio Signor Fratello, di V.M.
il buon Fratello
Francesco