domenica 1 aprile 2012

Lettera di Francesco II a Napoleone III 14 gennaio 1861


Re Francesco, il giorno 14 gennaio 1861, rispose all'imperatore Napoleone III con una lettera, che si colloca sullo stesso piano, per semplice dignità, stile e coraggio, di quella del 13 dicembre 1860

Mio Signor Fratello.

La flotta di V.M. partirà fra pochi giorni, e sarà interrotta ogni comunicazione tra questa Piazza e il resto della terra. Mi permetta la M.V. di giovarmi di quest'ultima occasione per scriverle e ringraziarla della premura che mi ha si nobilmente manifestata.

Io avea promesso a V.M., che quando avessi adottata una risoluzione definitiva, la mia prima cura, il mio dovere di riconoscente lealtà sarebbe stato di fargliela conoscere: mi fo ora ad adempiere la mia promessa.

Dopo la dichiarazione dell'Ammiraglio di Francia ho lungamente esitato, lo confesso, perciocché da ogni lato io vedeva gravi inconvenienti, e le opinioni di coloro, che ho creduto dover consultare, erano divise in questa suprema alternativa. Se da una parte rimanendo qui, abbandonato dal mondo intero, io mi espongo a cader nelle mani d'un nemico disleale, a veder compromessa la mia libertà, e forse la mia dignità e la mia vita, dall'altra ritirandomi io cederei una Fortezza ancora intatta, oscurerei il mio onor militare, e per un eccesso di prudenza rinunzierei a tutte le eventualità ed a tutte le speranze dell'avvenire.

E come cedere, quando in tutte le Province del mio Regno con sentimento spontaneo s'insorge contro la dominazione del Piemonte? Come cedere quando da tutte le parti mi s'incocaggia alla resistenza, quando da tutti i punti d'Europa uomini privati e Governi mi animano a perseverare nella difesa della mia causa, che è in questo momento la causa dei Sovrani, del diritto pubblico, della indipendenza dei Popoli? Se le considerazioni politiche possono mostrare come temeraria la mia risoluzione il cuore di V.M., che è grande e nobile, saprà comprenderla ed approvarla.

Io sono stato vittima della mia inesperienza, dell'astuzia, dell'ingiustizia e dell'audacia d'una potenza ambiziosa; ho perduto i miei Stati, ma non la fiducia nella protezione di Dio e nella giustizia degli uomini.
Il mio diritto è ora il mio solo patrimonio, ed è mestieri che per difenderlo io mi faccia seppellire, se fa d'uopo, sotto le fumanti rovine di Gaeta.
Non mi ha fatto questa previsione dell'avvenire esitare un istante, ma il solo mio timore è stato di cader prigione, e veder la dignità Reale avvilita nella mia Persona. Ma se quest'ultima prova mi è riserbata, se l'Europa consente questo estremo attentato, sia ben sicura la M.V. che io non profferirò un lamento, e saprò sopportare con rassegnazione e fermezza la mia sorte.
Ho fatto ogni sforzo per persuadere S.M. la Regina a separarsi da me, ma sono stato vinto dalle tenere sue preghiere e dalle generose sue risoluzioni. Ella vuoi divider meco sino alla fine la mia fortuna, consecrandosi a dirigere negli ospedali le cure dei feriti e degli ammalati: da questa sera Gaeta conta nelle sue mura una Suora di Carità in più.
Non sapendo se V.M. riconoscerà il blocco, ed ignorando se i piroscafi delle Messaggerie Imperiali potranno in avvenire recarmi notizie di V.M., mi sono affrettato a scriverle, perché l'ultima nuova che Le arrivi dall'interno di questa Piazza Le apporti una testimonianza della profonda stima, della sincera riconoscenza e della vera amicizia, con le quali ho l'onore di essere, mio Signor Fratello, di V.M.

il buon Fratello

Francesco