mercoledì 29 maggio 2013

DA VEDERE: Un’ottima vignetta sui “grillini” a favore della LEGGE BAVAGLIO antirevisionista

di Luca Consonni
 
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Fonte:
 

L’origine ebraica del protestantesimo e delle antiche eresie negli scritti del sionista Lazare “Con il protestantesimo lo spirito ebraico trionfò”

Pubblicato oggi sul quotidiano Rinascita e ripreso da Andreacarancini.blogspot.it:

Giudaismo ed “eresie cristiane”

negli scritti dell’autore ebreo Bernard Lazare.

Dai primi secoli al protestantesimo

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Ken Howard, prete della “Chiesa episcopale” (Comunione Anglicana)
 
di Andrea Giacobazzi
 
Introduzione breve
 
Con il protestantesimo lo spirito ebraico trionfò
Quello che segue non può definirsi un articolo – o un saggio – sui legami tra eresie “cristiane” ed ebraismo. Si tratta sostanzialmente di una raccolta di estratti provenienti da un unico libro: L’antisemitismo. Storia e Cause[1] (1894) del sionista Bernard Lazare, esponente di spicco della cultura ebraica a cavallo dei secoli XIX e XX. Questa piccola presentazione può valere contemporaneamente come parziale recensione (nel senso etimologico di “passare in rassegna”) e come base di riflessione circa la lucida analisi con cui, un autore ben distante dal Cattolicesimo Romano, sembra convergere su determinate interpretazioni storico-teologiche. Il tema pare ancor più interessante se viene letto, a differenza di ciò che fa Lazare, nell’ottica della Chiesa che – in quanto Novus Israel, Verus Israel – ha nella sua Dottrina il vero compimento della Legge Mosaica. Nella Tradizione ecclesiastica si trova la continuazione perfetta di quel retto cammino che – già prima della venuta di Cristo – era stato deviato, in ambito ebraico, da varie “tradizioni umane” ed infine dallo spirito delle eterodossie farisaiche a causa delle quali il Messia non fu riconosciuto da tutti i giudei[2] (“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci[3]). Facilmente si capisce come il giudaismo di oggi abbia poco a che vedere con i Santi Profeti veterotestamentari che tante volte richiamarono il popolo e le sue autorità alla Fede genuina. Ma torniamo alle eresie “cristiane”: cosa afferma dunque il Lazare su questa “corrente ebraica” che pare inseguire e colpire, di setta in setta, il Nuovo Israele cattolico?
Gli estratti
Seppure in maniera frammentaria e con qualche inesattezza che si ritrova nel testo, lo scrittore ebreo comincia dalle origini:
[…] Si potrebbe scrivere la storia della corrente ebraica nella chiesa cristiana, storia che partirebbe dall’Ebionismo[4] iniziale per arrivare al protestantesimo  (p. 51)
Prima di giungere al luteranesimo:
[…] Alcuni eretici non erano forse giudaizzanti? I Pasagiani dell’alta Italia osservavano la legge mosaica; l’eresia di Orléans era un’eresia giudaica; una setta albigese affermava che la dottrina degli ebrei era preferibile a quella dei cristiani; gli Ussiti erano assecondati dagli ebrei […] (p.107)
[…] Per vincere i seguaci della scolastica, gli umanisti dell’impero divennero teologi e per essere meglio armati andarono alle fonti: impararono la lingua ebraica, non per una sorta di dilettantismo o per amore della scienza come Pico della Mirandola e gli italiani, ma per trovare argomenti contro gli avversari. Nel corso di questi anni che preannunciano la Riforma, l’ebreo divenne educatore e insegnò l’ebraico ai sapienti. Li iniziò ai misteri della Kabbalah, dopo aver loro aperto le porte della filosofia araba li armò contro il cattolicesimo della straordinaria esegesi che i rabbini avevano coltivato e resa forte: quell’esegesi di cui saprà servirsi il protestantesimo e più tardi il razionalismo. (p. 120)
Infine, sul protestantesimo propriamente detto:
[…] La Riforma, sia in Germania che in Inghilterra, fu uno di quei momenti in cui il Cristianesimo si ritemprò alle fonti ebraiche. Con il protestantesimo lo spirito ebraico trionfò. Per certi aspetti, la Riforma fu un ritorno all’antico Ebionismo del periodo evangelico. Gran parte delle sette protestanti furono semiebraiche: più tardi dei protestanti predicarono dottrine antitrinitarie: tra altri Michel Servet ed i due Soncino di Siena. Persino in Transilvania l’antitrinitarismo era fiorito nel XVI secolo e Seidelius aveva sostenuto l’eccellenza dell’ebraismo e del Decalogo. I Vangeli furono abbandonati a favore della Bibbia e l’Apocalisse. E’ ben nota l’influenza che questi due libri esercitarono sui Luterani e i Calvinisti e soprattutto sui Riformatori e i rivoluzionari inglesi, influenza che perdurò fino al XVIII secolo; a lei si devono i Quaccheri, i Metodisti, i Pietisti e soprattutto i Millenaristi, gli Uomini della Quinta Monarchia che con Venner a Londra sognavano la repubblica e si alleavano con i Livellatori di John Lilburn.
Anche in Germania, il protestantesimo all’inizio cercò di attirare gli ebrei e da questo punto di vista è singolare l’analogia tra Lutero e Maometto, entrambi trassero le loro dottrine da fonti ebraiche, entrambi vollero far approvare i loro nuovi dogmi da quel che restava d’Israele. [...] (p. 122)
Nonostante le avversità e gli scontri, il Cattolicesimo continuava a chiamare a sé gli ebrei:
[…] ed è anche agli Ebrei che Luterani e Calvinisti si rivolgono, anzi sembra che questi ultimi sarebbero stati pienamente convinti della giustezza della loro causa se i figli di Giacobbe si fossero uniti a loro. Ma gli Ebrei furono sempre il popolo ostinato della Scrittura, il popolo testardo, ribelle a qualsiasi imposizione, tenace, fedele con animo intrepido al proprio Dio e alla propria Legge.
La predicazione di Lutero fu vana ed il collerico monaco pubblicò contro gli ebrei un terribile libello. […] Nonostante queste violenze, nonostante questi movimenti, nonostante le numerose controversie che ebbero luogo tra protestanti ed Ebrei, questi ultimi in Germania non furono maltrattati. (p. 123)   
Invito alla lettura
Il tema “protestantesimo” si ferma ovviamente al 1894: parecchio si potrebbe aggiungere in un eventuale aggiornamento che comprendesse l’attuale neoprotestantesimo dei telepredicatori filoisraeliani statunitensi.
Gli spunti qui riportati valgono come invito alla lettura dell’intero libro di Lazare, di cui l’aspetto trattato in queste righe è solo un frammento. Il testo rappresenta una acuta descrizione – sebbene in più punti caratterizzata da non condivisibili accenti anticristiani – della polarizzazione del rapporto “ebrei – non-ebrei” nel corso dei millenni. Scrivendo l’opera che lo rese celebre, Lazare, un giudeo “secolarizzato attratto dai movimenti anarchici e socialisti, sosteneva che la causa dell’antisemitismo non doveva essere ricercata tanto negli antisemiti, quanto piuttosto nella mentalità stessa degli ebrei[5]. Va sicuramente riconosciuto al Centro Librario Sodalitium di Verrua Savoia il merito di averlo tradotto e diffuso in ambito italofono.

[1] Bernard Lazare, L’antisemitismo. Storia e Cause, Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia, 2000.
[2] Cfr: A. Giacobazzi, Lo smarrimento di David, Rinascita, 17-5-13, pp.12-15.
[3] Matteo 23, 13,
[4] Corrente di cristiani “giudaizzanti” dei primi secoli. Negavano la divinità di Gesù Cristo e contemporanemente rigettavano gli scritti di san Paolo, considerandolo alla stregua di un apostata.
[5] Dalla quarta di copertina del volume.
 
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Fonte:
 

Quel fatal 1866 (Parte 3°) : Le vicende garibaldine nel 1866.




Narrati gli eventi bellici del fronte meridionale che interessarono direttamente l'esercito sabaudo di terra e di mare nella guerra austro-prussiana del 1866 (terza guerra di espansionismo sabaudo) è ora giunto il momento di aprire una parentesi riguardante le vicende del Garibaldi e dei suoi mercenari-volontari durante la campagna militare di "Quel fatal 1866".

 
 


Garibaldi e garibaldini nel 1866:
tra volontari di bassa lega , disordini e sconfitte.





 Organizzazione e composizione dell'esercito garibaldino nel 1866:
Giuseppe Garibaldi.


Appena il trattato tra Italia sabauda e Prussia venne siglato (8 aprile 1866) , si scatenò la solita ridda di progetti militari stravaganti: si preparò un colpo di mano in Dalmazia, che nei piani sabaudi ma anche nella diabolica mente del Bismarck , forse suggestionato dal libro di Rustow, si voleva affidare a Garibaldi.  Il criminale Bixio propose di affidare al Garibaldi il comando della flotta ma nessuno lo prese sul serio: come ben sappiamo, per fare disastri era sufficiente Persano. La Marmora , che non si fidava di Garibaldi, decide di destinarlo in Tirolo dove non poteva intraprendere pericolose iniziative.
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Nino Bixio
Il 6 maggio si finì per decretare la formazione di 5 reggimenti di "volontari", parola assai azzardata per definire coloro che ne faranno parte,  cioè disoccupati nullafacenti, avanzi di galera e regolari travestiti da volontari , da affidare a Garibaldi. Se ne aspettavano 15.000 ma se ne presentarono, per via della dilagante miserie e vista la possibilità di una paga sicura e tre pasti al giorno, circa 30.000: vennero organizzati in 5 brigate e dieci reggimenti , sei dei quali, in camicia rossa (per la prima volta indossata da reparti dell'esercito regolare). Gli si affidò il compito, non molto impegnativo,  di tagliare le comunicazioni tra Verona e il Brennero.
Per evitare che all'ultimo momento Garibaldi facesse uno dei suoi colpi di testa, venne confinato a Caprera fino al 10 giugno, quando gli venne consegnato il corpo dei volontari che era stato perciò organizzato in sua assenza: il viaggio in mare lo fece sul tristemente noto "Piemonte", forse per ragioni scaramantiche.

Domenico (Menotti) Garibaldi
Menotti Garibaldi.
L'ammassamento dei volontari avvenne fra Como, Monza, Varese e Bergamo , nella più generale confusione. Mancavano i suoi ufficiali migliori, passati all'esercito regolare: chiese che li fossero concessi ma gli venne permesso di portarsi dietro solo il figlio Menotti. Da solo fece fatica a mettere un po' di ordine : emanò per l'occasione un decalogo di comportamento un po' particolare; alcune delle direttive furono:

"Chiunque mostra paura , dev'essere preso a calci...Le perdite più gravi si patiscono fuggendo, mentre i valorosi vincono sempre e ne muoiono pochi...Gli uomini di tutti i gradi prendano frequenti bagni nel lago...". In termini di comportamento tattico , la disposizione fu: "Fate l'aquila" , nel senso di prendere posizione sui punti più alti.

Complessivamente a circa 38.000 uomini , 200 cavalli e 24 cannoni . In realtà può contare solo su 6.000 soldati decenti che da Salò si diressero verso Caffaro e le Giudicarie. Anche di questi trovò modo di dare giudizio negativo e li descrisse come "bricconi e avanzi d'osteria" , addirittura peggiore di quelli degli anni precedenti:

"Fra di loro c'erano dei farabutti che di giorno scansavano le fatiche e di notte derubavano i compagni da saccapani e bisacce. Sparivano orologi, soldi, perfino mutande di ricambio, vaglia postali, francobolli. A un altro gli anelli dalle dita".




I garibaldini invadono il Trentino:


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Quartier generale di Garibaldi a Lonato il 27 giugno 1866
Il 24 giugno 1866 , con la sconfitta sabauda a Custoza, anche i garibaldini si ritirarono prudentemente seguendo la generale direttiva di La Marmora , letteralmente terrorizzato dagli Imperiali.
Garibaldi si ritirò sulle colline di Lonato , dove pose il suo Quartier Generale al riparo dell'ombra di un lenzuolo.
Il 3 luglio Garibaldi si scontrò a Monte Suello con 1.400  Imperiali, che respinsero vittoriosamente tre assalti di 5.000 garibaldini , che si sbandarono per un acquazzone al ponte di Caffaro: Fedrigo Bossi Fedrigotti , che prese parte allo scontro nei ranghi dell'esercito Imperiale , definì i volontari "briganti di Garibaldi".


Secondo Pocock , gli Imperiali avrebbero alla fine della giornata abbandonato la posizione che avevano tenuto solo per permettere alla Brigata Hoffern di lasciare indisturbata la valle del Chiese.
Garibaldi, con la sua solita olimpica serenità, sostenne addirittura che si sia trattato di una vittoria conseguita "con celerità e bravura , cacciandone gli Austriaci in un combattimento glorioso".



Il maggiore Nicostrato Castellini
Il giorno seguente anche i volontari spediti verso il Tonale al comando del maggiore Castellini vennero sconfitti a Vezza d'Oglio . In entrambi i casi i garibaldini ebbero perdite piuttosto alte. Anche lo stesso Garibaldi venne ferito a una coscia. Ma con la sconfitta dell'Impero d'Austria a Sadowa da parte dell'esercito Prussiano costringe l'Impero alla resa. Garibaldi allora proclamò che si preparava a marciare su Monaco (chi sa perché in Baviera?) ma venne agevolmente tenuto a bada dai pochi battaglioni Imperiali e dagli Jager Tirolesi, e non riuscì a penetrare in Tirolo per più di 15 Km . In crisi per la tattica nemica che lo bloccava e accusando come sempre lo scarso coraggio dei suoi, scrisse di voler "prendere a calci quei codardi che si lasciassero sopraffare dalla paura". Accelerò le operazioni per cercare di entrare almeno a Trento prima della pace, ma divenne vittima dell'abile tattica del Generale Kuhn che combatté la guerriglia del "mordi e fuggi" mettendo Garibaldi in difficoltà sul suo stesso terreno tattico. Assieme ai soldati dell'esercito Imperiale combatterono anche i contadini trentini che sparavano dalle finestre dei cascinali. Il 13 luglio Garibaldi era a Storo , diretto alla Val Chiese. Il 16 venne respinto da Cimego. Come sempre Garibaldi da una versione perlomeno edulcorata dei suoi insuccessi:



"Il 16 luglio il nemico tentò di cacciarci da Condino. I nostri, contrariamente agli ordini miei , si erano spinti da Condino sino a Cimego, ed occuparono il ponte ivi esistente sul Chiese , senza provvedere di guarnir le alture , indispensabili in quel paese scosceso per proteggere la forza che si trova nella valle".




 Scontri decisivi , fine delle ostilità e congedo dei garibaldini:



Il generale Franz Kuhn von Kuhnenfeld in un ritratto del 1890 eseguito da Ludwig Ferdinand Graf
Franz Kuhn von Kuhnenfeld .
Garibaldi , allora, occupò forte di Ampola e , poi, il paese di Bezzecca. Qui il 21 luglio venne attaccato da Kuhn , che mise in fuga i garibaldini. Il nizzardo riuscì a fatica a riorganizzare i suoi reparti, evitando una rotta disastrosa grazie soprattutto al fatto che gli avversari erano a corto di uomini e che si contentarono dell'obbiettivo raggiunto di rallentare l'avanzata nemica.

I resti del forte d'Ampola
I resti del forte di Ampola.
Quella che viene descritta come la sola vittoria dell'Italia sabauda della guerra , in realtà è stata una beffa giocata da 4.000 Imperiali discesi arditamente da alcuni passaggi scoscesi a 8-10.000 garibaldini. Garibaldi pagò questa vittoria mediatica con la perdita di 2.382 uomini , contro 188 Imperiali: secondo John Pocock  le perdite Imperiali sarebbero state di 18 morti, 84 feriti e 91 dispersi; e quelle garibaldine di 1.118 uomini di cui più di 500 morti e la restante parte i feriti , dispersi e prigionieri.

Battaglia di Bezzecca. Dall'Illustrated London News dell'11 agosto 1866.
Battaglia di Bezzecca.

Il 10 agosto 1866 La Marmora lo tolse d'impaccio inviandogli l'ordine di rientrare: nelle sue Memorie, Garibaldi posticipa alla data dell'ordine di sospendere le operazioni al 25 agosto.
La minuta del famoso
telegramma di Garibaldi.
Garibaldi rispose con un laconico telegramma che è diventato un sacro orpello del patriottismo tricoloruto: « Ho ricevuto il dispaccio N. 1073. Obbedisco. ». Avrebbe fatto meglio ad aggiungere: "Meno male!". A Trento non sarebbe mai arrivato: erano troppe le sue perdite , troppo forte era la difesa guidata dal Generale Kuhn e appoggiata dalla popolazione: l'impossibilità garibaldina di sfondare è sostenuta implicitamente anche dallo storico filo-garibaldino Piero Pieri , in Storia militare del Risorgimento, Guerre e insurrezioni (Torino: Einaudi , 1962).
Il corpo dei volontari venne sciolto il 1° settembre 1866. Garibaldi si rifiutò , avendo perso , a partecipare a parate che furono invece guidate dal compagno d'armi Medici.
Il Garibaldi se ne andò stizzito lasciando che decine di municipi se la sbrigassero con le valanghe di "petulanti richieste" di reduci garibaldini veri o presunti: era la solita storia.
Come per i volontari/mercenari del 1859/1860 , anche a quelli del 1866 vennero congedati con una buonuscita di sei mesi di paga: ai soldati di leva non spettò invece nulla.
Garibaldi tornò a Caprera: deluso e particolarmente amareggiato per il comportamento dei contadini veneti e trentini (peraltro non diverso da quello di tutti gli altri incontrati durante le sue campagne nella penisola) , che non mossero un dito per aiutare i volontari a "liberarli" (?) e, anzi, combatterono al fianco dell'Imperial-Regio esercito.

E così si concluse l'impresa del Garibaldi e della sua orda nella terza guerra di espansionismo sabaudo ; tra ruberie, saccheggi e defezioni aggiungendo vergogne ad una guerra già di per se vergognosa.





Fine 3° Parte...


Fonte:

L'IPERITALIANO - Eroe o cialtrone? - Biografia senza censure di Giuseppe Garibaldi. pag. 211, 212, 213. (Gilberto Oneto , Il Cerchio, iniziative editoriali).


Scritto a cura di:

Presidente e fondatore dell'A.L.T.A. Amedeo Bellizzi.

martedì 28 maggio 2013

La falsa carità

8xMille
 
 
In questi giorni in televisione abbiamo potuto vedere una pubblicità che inizia con le parole “Chiedilo a loro”. Si tratta dello spot, oramai sulla stessa falsariga da molti anni, per incentivare i cittadini italiani a devolvere l’ 8×1000 alla Chiesa cattolica, nel quale vengono mostrate scene di emarginati e/o poveri, soccorsi da suore o preti. Con l’8×1000, ci vien detto, “hai fatto molto per tanti”. Ora, senza alcun dubbio si tratta di pubblicità studiate bene, perché vanno a colpire le corde interne dell’essere umano, quelle che lo stimolano ad aiutare i più deboli (o perlomeno dovrebbero farlo; in tempi individualisti come quelli odierni, non è sicuro). Ma allo stesso tempo, a parere di chi scrive, viene veicolata un’immagine del Sacerdozio e della Chiesa cattolica profondamente riduttiva. In questo breve scritto cercherò quindi di “mettere qualche punto sulle i” relativamente alla vera figura del Prete, sottolineando le differenze con la figura annacquata e parziale presentata dal tubo catodico, per poi sottolineare anche le differenze fra il filantropismo e la vera Carità.
Per inquadrare innanzitutto i termini della questione, prendiamo l’imperituro Catechismo di San Pio X, che nonostante sia stato scritto un secolo fa, rimane insuperato per chiarezza della dottrina e semplicità di esposizione. Nelle domande 728 e 729 si legge: “E’ grande la dignità del Sacerdozio?”, “E’ grandissima per la sua potestà sul Corpo reale di Gesù Cristo (che rende presente nell’Eucarestia) e sul corpo mistico di Lui, la Chiesa (che governa, con la missione di condurre gli uomini alla santità ed alla vita beata)”. “Qual fine deve aver chi entra negli Ordini?” “Chi entra negli Ordini deve avere per fine soltanto la gloria di Dio ed il bene delle anime”.
Già queste semplici parole ci fanno capire che il fine dei Ministri della Chiesa e della Chiesa stessa è soprannaturale:  guidare gli uomini (e le donne, naturalmente, non sia mai che ci si accusi di esclusivismo maschilista…) verso la Visione Beatifica, attraverso in particolare l’amministrazione dei Sacramenti, la predicazione della dottrina, e ovviamente l’aiuto ai bisognosi, anche di natura materiale.
Qui parrebbe esserci un punto di contatto fra i promotori della pubblicità dell’ 8×1000 e la dottrina tradizionale: Ma come! – mi si dirà – L’aiuto a chi soffre nell’indigenza è sempre stato praticato, è giusto e normale che vengano incentivate queste iniziative. Questo è verissimo e chi conosce anche solo un po’ di storia della Chiesa lo sa perfettamente; tuttavia è solo da circa cinquant’anni, da quando cioè si è chiuso un certo Concilio che è stato “l’ 89 della Chiesa” (non è mia la definizione, ma di un alto prelato di allora), che la missione del nuovo prete, e un po’ quella di tutta la Chiesa, è diventata di coadiuvare la cosiddetta “società civile” nel benessere materiale dell’uomo, avendo come nuovi obiettivi il “progresso”, i “diritti umani”, la “libertà dal bisogno”. Tutto questo a discapito, molto spesso, della celebrazione della Santa Messa, delle ore trascorse in confessionale, delle corse ai capezzali dei moribondi; attività viste come poco fruttuose, anzi contrarie all’attenzione “agli ultimi”. Qui si configura un ribaltamento totale rispetto alla dottrina classica. Il sacerdote in primis deve infatti avere come obiettivo la vita eterna del gregge a cui è preposto, e soltanto poi la vita materiale. E riusciva, in tempi passati, a fondere le due senza tralasciarne alcuna, in una bella figura a tutto tondo. Questa corretta gerarchia deriva dalla retta interpretazione della virtù della Carità, che ora andiamo ad analizzare, sempre con l’ausilio del Catechismo di San Pio X e di altri validi testi (Mons. G. Casali, Somma di Teologia Dogmatica, 1964, e AA.VV., Catholic Encyclopedia, 1912).
“La Carità è una virtù soprannaturale infusaci da Dio nell’anima, per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa ed amiamo il prossimo come noi stessi per amor di Dio”. Questo è quanto recita il Catechismo di San Pio X, al n.  466. Quindi l’oggetto materiale primario di questa virtù è Dio, che è sommo bene in Se stesso. Oggetto secondario (e non a caso l’ho sottolineato) è invece l’uomo, che ama se stesso nell’ordine spirituale, e poi il prossimo. Le opere di carità devono quindi esser fatte per amor di Dio, non per amore del prossimo in quanto tale: mancherebbe infatti un fondamentale pilastro, che annacquerebbe tutte le nostre azioni. Questo amor di Dio anche nelle opere più corporali di misericordia deve, ovviamente, esser presente al massimo grado in chi guida la comunità: nel Sacerdote alter Christus. Quanti santi preti e frati si sono spogliati di ciò che avevano, anche delle cose più essenziali, per aiutare i più deboli, nella storia della Chiesa!  Ma attenzione!  L’hanno fatto perché vedevano nell’uomo sofferente, affamato, incarcerato, infreddolito una creatura di Dio, e per guadagnarsi e far guadagnare la vita eterna, non perché “mi fa stare bene dare una mano”, oppure perché, come spesso anche si sente, “è bello servire chi non sta bene”. Peraltro, sia detto per inciso, questo spiega parzialmente anche il calo di vocazioni alla vita consacrata: se io giovane ragazzo voglio dedicarmi agli altri, chi me lo fa fare di sopportare tutte le privazioni e le difficoltà della vita religiosa quando, per compiere attività alla fin fine molto simili, mi basta entrare in una qualsiasi associazione laica di volontariato, che per esempio fornisce i pasti ai vecchietti di periferia?
In tempi più sani non si facevano torti alle parole di Nostro Signore, il quale affermò “Cercate prima il Regno di Dio, il resto vi sarà dato in sovrappiù”.  Se ci si scorda di queste parole (e quanta responsabilità ha in questo la gerarchia “conciliare”, purtroppo!), è ovvio e naturale che il prete venga visto come una specie di volontario di Croce Rossa, e la Chiesa come una qualunque ONG.  Ma, se il sale del mondo che devono essere i Cristiani, perde il suo sapore, allora che tempi ci aspettano? Solo riscoprendo il vero significato della Carità cristiana e del ruolo del Sacerdote, solo così si può “fare molto, per tanti”.
 
Matteo Luini
 
 
Fonte:
 

Anche diversi GRILLINI tra i firmatari del NUOVO disegno di LEGGE BAVAGLIO antirevisionista

bavaglio[1]

Presentato un nuovo di disegno di legge per imbavagliare gli storici.

Fonte:ASCA. 27.05.2013. La senatrice del Pd Silvana Amati, componente dell’ufficio di Presidenza di Palazzo Madama, ha ripresentato, con il collega del Pdl Lucio Malan, il disegno di legge dal titolo ”Modifica all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, in materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l’umanita’ e crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6,7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale”.
Il disegno di legge, firmato dai capigruppo Luigi Zanda (Pd), Renato Schifani (Pdl), Gianluca Susta (Sc), Loredana De Petris (Sel) e Vito Crimi (M5S), porta la firma di quasi 100 senatori di tutti i gruppi parlamentari eccetto la Lega Nord e si prefigge di punire le nuove forme di negazionismo dell’Olocausto e dei crimini contro l’umanita’, perpetrate anche attraverso i nuovi media. In particolare, sono previste ”la reclusione fino a 3 anni e la multa fino a 10 mila euro” per ”chiunque pone in essere attivita’ di apologia, negazione, minimizzazione dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanita’ e dei crimini di guerra”, cosi’ come definiti dallo statuto della Corte penale internazionale o ”propaganda idee, distribuisce, divulga o pubblicizza materiale o informazioni, con qualsiasi mezzo, anche telematico, fondato sulla superiorita’ o sull’odio razziale, etnico o religioso, ovvero, con particolare riferimento alla violenza e al terrorismo, se non punibili come piu’ gravi reati, fa apologia o incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, anche mediante l’impiego diretto od interconnesso di sistemi informatici o mezzi di comunicazione telematica ovvero utilizzando reti di telecomunicazione disponibili”. [...]
 
Fonte:
 

Piccola meditazione sul quinto mistero doloroso

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Dagli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio: “Meditare non è facile, all’inizio. Bisogna applicarsi, sforzarsi, seguire un buon metodo. Eccone uno dei più pratici: si fanno gli atti preparatori, poi, su ogni punto che si medita, si esercita la memoria per ricordare i fatti o le idee, l’intelligenza per ben comprendere il senso, la volontà per eccitare i sentimenti appropriati e formulare le conclusioni pratiche. (…) Si cerca di vedere le persone, ascoltare le parole, esaminare le loro azioni. (…) Meditare è assolutamente necessario. <<Tutta desolata dalla devastazione è la terra, perché nessuno riflette dentro nel suo cuore>> (Ger. 12, 11)”
Con questa premessa, andiamo a fare qualche piccola considerazione sul quinto mistero doloroso, così da eccitare la contrizione del nostro cuore e ricavare buoni frutti da questo esercizio.
Nel quinto mistero doloroso si contempla, come Gesù Cristo, giunto sul monte Calvario fu spogliato delle sue vesti e confitto con durissimi chiodi in croce, sulla quale dopo tre ore di penosissima agonia morì, essendo presente la sua afflittissima Madre. Frutto di questo mistero: la sete della salvezza delle anime.
Ecco, abbiamo seguito Nostro Signore nel dolorosissimo cammino della croce, l’abbiamo visto sudare sangue, venire flagellato, oltraggiato, deriso, coronato di spine, caricato della croce, del mezzo della sua morte e della sua Resurrezione, abbracciandola, dopo averla aspettata una vita, dopo aver vissuto tre anni di intensa predicazione…e viene fatto uccidere come il peggiore dei ladri, lui, il Figlio di Dio, il Verbo Incarnato.
Osserva, uomo colpevole, come l’Innocenza stessa si fa crocifiggere al posto tuo, dei tuoi peccati…
Osserva come quel martello trafigge le mani e i piedi del Redentore…
Quel martello sei tu che lo impugni, sei tu che hai trafitto il Signore con le tue colpe.
Ecco, la Croce viene issata: è il momento dell’elevazione dell’Ostia durante la Santa Messa. Da oggi in poi guarda quella Santa particola con la stessa contrizione, con lo stesso strazio nel cuore, pensando che è veramente il tuo Gesù, grondante di sangue che si rivela a te, ultimo dei peccatori.
Osserva come quel Sangue Preziosissimo continua a colare dalle profondissime ferite che coprono il corpo santo del Signore…
Rifletti sul fatto che per redimere l’umanità sarebbe stata sufficiente una sola goccia di quel Sangue, una sola per redimerci…
E allora perché? Perché Cristo ha voluto morire in modo così cruento, così crudele?
Affinché tutto quello che noi potessimo soffrire fosse niente, fosse poco in confronto alla impietosissima morte del Redentore; affinché nella Sua sofferenza noi potessimo trovare conforto, speranza di uscire dalle nostre, non abbatterci e avere l’Agnello Immacolato come esempio…
Che grande dono ci è stato fatto. Sappiamone approfittare, modifichiamo il nostro vivere alla luce della Croce e la nostra vita, allora, sarà autenticamente cristiana. Così vivendo niente e nessuno potrà scalfirci, nessuna persecuzione ci piegherà anzi, queste saranno testimonianza della nostra fedeltà a Cristo e, da perseguitati, sapremo che è quella la strada giusta da percorrere.
“E tutti quelli che vogliono vivere pienamente in Cristo Gesù saranno perseguitati” (Epistola 2 a Timoteo)
 
Vera Provenzale
 
Fonte:
 

Povera Terra Mia: I PENSIERI AMARI E POETICI DELL'ARTISTA DUOSICILIANO FRANCIS ALLENBY .

Povera terra mia. Povera la mia terra invasa, conquistata, devastata, distrutta e calpestata da una ciurmaglia di gente ignorante, violenta e zotica; una ciurmaglia che non sapeva proferire verbo e che si esprimeva con suoni e grugniti, come gli animali più immondi, come le bestie più disgustose: una ciurmaglia che era arrivata in un paese che era culla di antiche civiltà, di cultura, Madre della lingua che tutti, poi, parlarono. Povera terra mia derubata, espropriata delle sue ricchezze, saccheggiata, spogliata fino all’ultima briciola di grano, fino all’ultimo spicciolo.
Povera terra mia offesa, svergognata, umiliata, violentata, stuprata senza pietà, disonorata e mai più purificata e riscattata.

  




Coloro che ti hanno offesa avrebbero dovuto chiederti perdono in ginocchio, il viso per terra, il capo sparso di polvere; la loro ignominia, ricaduta su loro e sui loro figli, sarebbe dovuta rimanere come una macchia nera ed incancellabile nelle loro anime, riempiendo le loro coscienze di vergogna e di infamia per sempre. Il loro delitto atroce non doveva cancellarsi, non doveva essere dimenticato, come è stato per altri olocausti più recenti.
Ed invece è stato subito accantonato, messo da parte, come cosa da nulla, inesistente.
Povera terra mia, figlia mia e madre  mia: nessuno ha pianto per te, nessuno ha pianto per le tue figlie rese impure, per i tuoi figli ammazzati senza pietà come agnelli al macello: neppure una lacrima per te è stata conservata.




Povera terra mia, da me così amata, di quel grande amore che hai  pur ripagato con sgarbo e disprezzo, io che nel tuo grembo sono nato riesco a leggere il tuo animo esacerbato dal dolore.
Povera la mia terra, costretta in un angolo, depredata di tutto e indotta ad elemosinare per il resto dei suoi giorni, perché il vincitore, il barbaro conquistatore, potesse assaporare fino in fondo la sua meschina vittoria, la sua vigliaccheria, la sua codardia disumana.




Povera terra mia, te lo dico perché non credo che sarai mai più liberata, che mai più tornerai quella di prima, mai più sarai la ridente terra che i greci avevano eletto a loro giardino, il luogo della eterna primavera e dell’abbondanza delle messi, della gioventù, della bellezza.
Ti dedico queste righe, che servono a poco, e che testimoniano la mia rabbia ed il mio dolore.
Se possono valere qualcosa le lacrime dell’ultimo dei tuoi figli, io te le dono così come sono, amare e salate”. 


Francis Allenby
 
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