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    Cacciatori Albanesi dell'Esercito Napoletano 
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"Molte famiglie albanesi,     macedoni e greche di confessione cristiana-ortodossa e cattolica     nel periodo che va dal XIII secolo al XVI furono costrette alla     diaspora per l'avanzata dei Turchi mussulmani, che occuparono i     loro territori. Per non subire il crudele dominio Ottomano, si     rifugiarono nell'Italia meridionale, terra di popoli di grande     tolleranza ed apertura mentale, che accettarono ben volentieri     queste famiglie costrette all'esilio, le quali ricambiarono     sempre con gratitudine, integrandosi ed assimilando al meglio la     cultura popolare meridionale, pur tenendo sempre presente le     proprie origini e conservando ancor oggi la loro lingua, usi e     costumi. Questa rubrica è un piccolo omaggio a queste famiglie,     affinché non ne vada persa la memoria, che hanno notevolmente     arricchito il nostro patrimonio culturale." 
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Filo della Torre     di Santa Susanna 
 
    Titoli:      ramo     primogenito:     conte di Torre di Santa Susanna, conte, col predicato : della     Torre; ramo secondogenito: marchese di Montesilvano,     conte, nobili dei conti di Torre di Santa Susanna, col     predicato: della Torre. 
    Dimora:          Altamura, Bari, Roma. 
    Antica famiglia di origine greca, dal cognome originario Philo,     della quale si hanno notizie dal XIII secolo. Molti membri della     famiglia furono cavalieri di giustizia dell'Ordine di Malta e     dell'Ordine Costantiniano di San Giorgio, resa illustre da     uomini d'arme, governatori, prelati e dottori, fedeli alla     Patria Napolitana. 
Le     prime notizie certe si hanno da un “mutuandi” compilato     il 23 gennaio ed il 15 febbraio 1270 dal giustiziere dell'Erario     di Terra Bari, con Nicolaus de Filo (Archivio di Stato     di Napoli, Cancelleria Angioina, Registro 5, foglio 73 e     seguenti); nel catalogo dei “Baronum et pheudatariorum et     nobillium...” compilato per ordine di re Carlo I d'Angiò nel     1282, compare tra i nobili di Altamura Leo de Fila (Archivio     di Stato di Napoli, Cancelleria Angioina fascicolo 45, folio     1-97) Iscritta “ad antiquo” al patriziato di Altamura     ricoprendo gli incarichi di Camerlengo e di Giudice della     Bagliva, di Eletto e Sindaci del ceto patrizio. 
    Antonio      Filo     (Philo), nobile d'Altamura, fondò nel 1441 fondò un beneficio     ecclesiastico di “jus patronato” per la sua famiglia col titolo     di San Salvatore. Tale beneficio venne ampliato dal figlio     Giovanni che si trasferì a Rodi per conto dell'Ordine dei     cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme e nominato gran maestro     dell'Ordine il 18 febbraio 1477; egli stesso fu ambasciatore     dell'Ordine per concludere e firmare la pace col re di Tunisi e     costituire in Tunisi un consolato di Rodi affidato a Geronimo     Barbo (Proc. Nobilitatis pro nobili puero Bisantio Philo,     1703; Archivio Gran Priorato di Capua; ricezione di Bisanzio     Filo, 1791; Archivio del Governo a Malta: proc. Filo, volume     4295, fol.28/29). Il “nobilis vir” Pascasius de Filo     contribuì alla conquista di Taranto da parte di Ferrante     d'Aragona ed essendo sindaco dei nobili di Altamura fece     sottomettere la città agli Aragonesi, per tali servizi     Ferdinando I d'Aragona gli rilasciò due diplomi: col primo     concesse a lui ed ai suoi eredi una rendita annua di dieci once     sui diritti di dogana di Bari, dato in Altamura il 3 dicembre     1463; col secondo concesse una torre con annessa terra oltre il     fossato di Altamura, dato in Matera il 24 gennaio 1464; il 21     gennaio 1464 il sovrano accordò capitoli di concessione alla     città di Altamura su “petizione de' Nobili Giorgio e     Pasquale de Filo” in data 21 gennaio 1464. 
    Pietro Aurelio          ottenne da Carlo V,con diploma rilasciato a Bruxelles il 2     gennaio 1544, il riconoscimento di antica nobiltà e nominato      “famigliare e commensale domestico” dell'imperatore; Pietro     Aurelio Juniore, ottenne il feudo di Torre di Santa Susanna,     nel 1723 con Allegrocore, Galesano, Paretaldo, Surboli, Tubiana,     Vetrara; il figlio Bisazio ebbe l'elevazione a contea del     feudo di Torre di Santa Susanna. Con decreto del 26 settembre     1788, la Gran Corte della Vicaria riconobbe l'ascendenza della     famiglia dall'identità del cognome nelle sue varie forme: Filo,     Fili, de Philo, Philus (Archivio di Stato di Napoli; pandetta     3643). Con risoluzione Sovrana, del re del Regno delle Due     Sicilie, del 12 agosto 1857 venne concesso a tutti i maschi del     casato il titolo di conte. 
Con     rinuncia del duca Sanfelice di Acquavella in favore della     matrigna Giuditta Filo, questa venne decorata del titolo     di marchese di Montesilvano, titolo reso trasmissibile, con     RR.LL.PP. Del 5 luglio 1896, alla discendenza del fratello conte     Carlo Filo della Torre di Santa Susanna. Ammessa al      “Reali baciamani” dal 1803, nelle Regie Guardie del Corpo nel     1839. 
    Pietro          arcivescovo di Acerenza nel 1279; Roberto dottore in     teologia, notaio apostolico e vicario Vescovile di Altamura,     nominato vescovo di Martorano il 9 aprile 1590; Nicolantonio     cameriere segreto di papa Clemente X, rifiutò la nomina     cardinalizia, morì in odore ddi santità, ed in suo onore vennero     battezzate con il nome di Filo le ossa di un Martire     sconosciuto, ossa che sono da generazioni custodite dal capo     famiglia del casato; Bisanzio I dottore, vicario generale     di Altamura, di Trani e Bitonto, nominato vescovo di Oppido il 8     febbraio 1697, vescovo di Ostuni l'11 aprile 1707; Bisanzio     II conte della Torre, cavaliere di giustizia dell'Ordine di     Malta nel 1702, oratore e poeta; Massenzio canonico di     Ostuni e vicario generale di Altamura, vescovo di Castellaneta     l'11 maggio 1733, nominato vescovo assistente al Soglio     Pontificio, fondò una biblioteca ed un ospedale; Bisanzio     III, juniore, conte della Torre, cavaliere di giustizia e poi     d'onore e devozione dell'Ordine di Malta, durante il periodo     della Repubblica Partenopea restò fedele alla sua Patria ed ebbe     dal cardinale Ruffo, il 20 maggio 1799, il comando della piazza     di Altamura, nel 1816 insignito delle Chiavi d'Oro e con Regio     Rescritto del 22 marzo 1825 venne nominato presidente del     Consiglio Provinciale di Terra di Bari; Gaetano, conte     della Torre, cavaliere d'Onore e devozione dell'Ordine di Malta,     croce dell'Ordine Pontificio di San Gregorio Magno, gran cordone     del Real Ordine di Francesco I, gentiluomo di camera con     esercizio di Sua Maestà re Francesco II di Borbone; Giovan     Tommaso capitano delle milizie urbani di Altamura e Gravina,     Diego morì nella I Guerra Mondiale il 21 agosto 1917     presso la città di Selo. 
Il     ramo primogenito     investito del titolo di conte di Torre Santa Susanna con D.M. di     Riconoscimento del 15 giugno 1897; 
il     ramo secondogenito     investito del titolo di marchese di Montesilvano, conte, nobile     dei conti di Torre con RR.LL.PP. Del 5 luglio 1896 e D. M. di     Riconoscimento del 28 novembre 1896. 
Il     casato è iscritto nel Libro d'Oro della Nobiltà Italiana e     nell'Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano anno 1933. 
    Arma:          d’azzurro alla banda d’oro accompagnata da due stelle comete     dello stesso;  
    alias:     d’azzurro alla banda di rosso accompagnata da due stelle comete     d’argento. 
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Filocamo     o Filogamo 
 
Titoli: nobile 
Dimora: Reggio Calabria 
Famiglia di origine greca, passata in Calabria in     tempi remoti, si crede verso il X secolo. Aggregata al primo     ordine civico di Reggio ed a quello di Messina nel 1585,     ricevuta nel Sovrano Militare Ordine di Malta nel 1749;     Francesco con Breve Pontificio (Decreto) del 1921 venne     decorato del titolo di conte della Candelora con riconoscimento     del solo Stato Pontificio. 
Iscritta nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano     del 1922. 
Arma:     1° d’azzurro ad una stella d’oro, 2° d’oro, 3° d’argento. 
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Titoli:      conte 
Dimora:      Manfredonia, Napoli 
Famiglia di origine albanese detta de Florea     che ha come capostipite Galeotto Franco Florea di Scutari     signore d’Albania, i suoi discendenti dovettero riparare in     Italia nel XII secolo quando le loro terre vennero invase dai     Turchi, si stabilirono a Venezia e poi verso la fine del XIV     secolo in Manfredonia, mentre un altro ramo si stabilì nel     Friuli nell’anno 1460. Il casato iscritto “nell’Elenco dei     Baroni di Terra del Lavoro” del 1239, ottenne il privilegio di     conte di Huiz, Persano e Sandionisio nel 1312, possedette vari     feudi tra cui Cantalupo, Montagano, Oppido, Palma, Roccaguadagna,     Santangelo ed altri. 
Giorgio Franco     (+1252) signore d’Albania (de Florea) al seguito dell’imperatore     Federico II si stabilì nel Napoletano, furono suoi eredi     Andrea e Galeotto, quest’ultimo barone di Terra del     Lavoro e giustiziere del Contado del Molise e di Terra del     Lavoro; Tommaso barone di Roccaguadagna regnando Carlo I     d’Angiò; Ruggiero “generalissimo” di re Pietro I     d’Aragona, il quale ottenne una splendida vittoria contro i     Turchi nel 1303; PIETRO capitano di giustizia in Sessa;     Michelangelo ciambellano di Roberto d’Angiò e capitan     generale di Bari e Basilicata e portolano delle Puglie;     Giannotto “familiare” di Roberto d’Angiò, in possesso dei     feudi di Sandionisio e Persano per se ed i suoi eredi in     perpetuo con i diritti di conti e baroni del Regno; Angelo     religioso dell’Ordine dei Predicatori in Santa Maria Novella in     Firenze, creato cancelliere del Regno, da re Roberto d’Angiò,     per essersi adoperato per la pace tra re Ludovico d’Ungheria e     Ludovico principe di Taranto; Filippo, ciambellano di re     Carlo III d’Angiò Durazzo, riuscì a catturare Ottone di     Brunswich principe di Taranto marito della regina Giovanna I e     ne venne gratificato con un feudo in terra di Lecce ed una     cospicua somma di denaro. Jacopo ciambellano di Carlo III,     creato da re Ladislao maresciallo del Regno, Consigliere di     Stato, giustiziere di Principato; Petruccio signore di     Oppido, maresciallo del Regno di re Ladislao, tesoriere del     porto di Manfredonia, capitano di giustizia dell’Isola di     Lipari; Carlo Jacopo conte di Sanpolo nel 1431, titolo     per se e i suoi eredi. I fratelli Annibale, Scipione,     Domenico e Giorgio ottennero da re Alfonso II     d’Aragona, in perpetuo, la nomina a “regi familiari” con il     diritto di usufruire “de tuti li honori, gratie et privilegi     lo che nel più lato senso godono i Gentil homini de      la Real     Casa”;     Giovanni archiviario della Regia Camera nel 1552;     Isabella fondatrice in Manfredonia del Monastero di Santa     Chiara nel 1592; Giacomo che edificò a proprie spese il     teatro di Manfredonia nel 1692. Federico, Michelangelo     ed Antonio in Manfredonia e Cesare in Napoli     viventi nell’ultima metà del XIX secolo. 
    Arma:     interziato in fascia: nel 1° d’argento all’aquila bicipide di     nero, nel 2° d’azzurro al leone uscente d’oro caricato da un     lambello a quattro punte dello stesso, nel 3° di rosso alla     fascia d’oro dalla quale partono tre bande dello stesso. 
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Titoli:    nobile dei marchesi di Terranova 
Dimora:    Napoli, Mesagne 
Famiglia originaria della Grecia,    iscritta nel primo ordine civico di Brindisi; Scipione    ottenne il possesso di Carovigno e del marchesato di Serranova nel    1678; nel 1796 i fratelli Donato Maria e Vincenzo    ricevuti per “giustizia” nell’Ordine di Malta ed iscritti al    Priorato di Barletta; con Riconoscimento Ministeriale del 19 ottobre    1892 riconosciuta nel titoli di nobile col predicato dei marchesi di    Serranova; Giorgio, nobile dei marchesi, Aslan    capitano di vascello, cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia,    decorato di due medaglia al valor militare, promosso per meriti di    guerra, viventi nella prima metà del XX secolo; Ugo tenente    del “Reggimento Cavalleria Lodi” caduto nella guerra Italo-turca a    Sciara-Sciatt il 23 ottobre 1911, decorato di due    medaglie d’argento al valor militare. 
Iscritta nel Libro d’Oro della    Nobiltà Italiana, iscritta nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano    anno 1922. 
Arma:    d’oro al leone tenente tre spighe di frumento sostenuto da un monte    di tre colli il tutto nero. 
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La Greca 
 
Titoli:    marchese di Polignano 
Dimora:    Napoli, Arcidosso, Bari 
Si ritiene di origina greca come    testimonia lo stesso cognome, già nota a Napoli ed in terra di    Puglia sin dal XVI secolo. Pasquale ottenne il feudo di    Polignano nel 1796; decorata col titolo di marchese con Real    Privilegio del Regno di Napoli in data 20 ottobre 1798. 
La Famiglia è iscritta    nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano anno 1922. 
Arma:    d’azzurro alla torre d’oro poggiata d’argento, con due stelle d’oro,    una fascia divisa d’oro caricata di un’aquila di nero di un leone al    naturale sormontati da una stella d’argento e una d’oro 
Alias:    troncato: nel primo partito d'oro all'aquila di nero, di rosso al    leone d'argento; nel secondo d'azzurro alla torre di due palchi    d'oro merlati alla guelfa, il primo di sette ed il secondo di    quattro pezzi; sul tutto di nero alla fascia accompagnata nei    quattro angoli da una stella il tutto d'oro ( D. M. di    riconoscimento dell' 11 maggio 1928). 
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Titoli:    duca di Sinagra, di San Biagio 
Dimora:    Sinagra, Palermo 
Di    origine greca, portata in Sicilia da Antonio che sposò Miuzza    Paternò nel 1406; Girolamo iscritto nella Mastra Nobile del    Mollica nel 1590, acquistò il feudo di Fegogrande con il castello la    tonnara e la marina di Capo d’Orlando ottenendone l’investitura l’8    agosto 1595, fu tra i fondatori dell’Ordine della Stella in Messina,    barone di  Sinagra; Blasco giudice della Corte Pretoriana in    Palermo nel 1612/13 e della Gran Corte 1625; Tommaso, dottore    in legge, “maestro secreto” (segretario di Stato) del Regno di     Sicilia nel 1628; Girolamo con privilegio del 16 novembre    1654 ottenne il titolo di duca di Sinagra; Diego duca di    Sinagra e cavaliere dell’Ordine di San Giacomo della Spada; Diego    presidente del Tribunale del Regio Patrimonio, luogotenente del    Giustiziere del Regno, reggente del Consiglio d’Italia nel 1687    (organo amministrativo e fiscale del Viceregno), duca di San Biagio    con privilegio del 25 maggio 1687; Giuseppe Antonio capitano    di giustizia in Palermo 1671 e pretore  1690/91, ottenne il titolo    di principe di Sant’Antonino il 27 aprile 1687; Giovanni Antonino    con privilegio del 7 settembre 1665 ottenne il titolo di barone    di Ciancimino e Santa Rosalia, presidente del Tribunale del Regio    Patrimonio, reggente del Consiglio d’Italia, vicario generale in    Messina, con privilegio del 10 agosto 1693 ebbe il titolo di duca di    Cesarò dell’Isola; Ludovico , duca di San Biagio, ottenne la    nomina a “Grande di Spagna” il 24 agosto 1727 ed in eredità al    figlio Pietro; Diego console del commercio in Palermo    1746 e senatore  nel 1749/50, 56, 57, governatore del Monte di Pietà    nel 1791, Antonino proconservatore di Sinagra 1761; Cono    stessa carica 1797/1810; Bernardo con sentenza del    tribunale della gran Corte Civile e del Concistoro ottenne la nomina    a conte di Naso con investitura del maggio 1811. Questa fu l'ultima    investitura, successivamente la famiglia fu rappresentata da don    Sebastiano Luciano, sindaco di Sinagra; a lui successe il figlio    Antonino Leone (1862-1938) che fu anch'egli sindaco e    proprietario del castello di Sinagra; gli successe il figlio    Sebastiano Gaetano che non ebbe eredi, ed a lui succede    Teobaldo, figlio del fratello Giuseppe, a cui seguirà il    primogenito Giuseppe, artista e pittore, che attualmente vive    e lavora in Biella. 
Iscritta    nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano anno 1922. 
Arma:    d’azzurro a due bande d’oro sotto la fascia divisa accompagnata da    cinque stelle, la divisa sostenente un drago passante al giglio il    tutto d’oro. 
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    Titoli:          nobile 
    Dimora:          Napoli 
Famiglia di origine greca, il cui cognome originario     era Lekkas, trasferitasi a Napoli sul finire del XVIII secolo,     facente pare della nutrita colonia ellenica stabilitasi nel     Regno di Napoli che dette uomini di fedeltà all’esercito     Napoletano nei reggimenti Macedoni fin dai tempi di Carlo III.     Dichiarata nobile per l’ammissione nella “Compagnia Reale delle     Guardie del Corpo”. Demetrio (Drimades (Grecia)          24 aprile 1779 – Napoli 21 aprile 1862) tenente generale     dell’Esercito del Regno delle Due Sicilie, ispettore generale     della Fanteria di Linea nel 1860, cavaliere dell’Ordine di San     Giorni della Riunione, dell’Ordine del Santo Salvatore di     Grecia, dell’Ordine di Sant’Anna di Russia e di San Michele di     Baviera, all’entrata di Garibaldi a Napoli diede le dimissioni     non volendo prestare giuramento agli occupanti savoiardi, è     sepolto nella Chiesa Greco-Ortodossa di Napoli. Il figlio      Achille (Napoli 7 febbraio 1832 – Napoli 9 febbraio 1900)     capitano di Seconda Classe dell’Arma del Genio dell’Esercito     delle Due Sicilie non volle entrare nell’esercito italiano e si     ritirò a vita privata. 
 
    Arma:     non ci sono riferimenti al colore dei metalli e degli smalti che     lo compongono. 
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Marchianò de’ Coronei 
   Residenza:    San Demetrio Corone (Cs) 
   Titoli:        nobile 
   L’antichissima e prestigiosa famiglia greco-alabanese dei Marchianò de’     Coronei, giunta in Italia nel 1533 per grazia dell’Imperatore    Carlo V (N.d.A. come la famiglia Trasci) si è estinta nella sua    linea patrizia primogenita con la morte della nobildonna    Maria Matilde Orizia Marchianò avvenuta a Santa Sofia    d’Epiro (Cs) il 2 aprile 1912. La stessa era nata a San Demetrio    Corone (Cs) il 12 gennaio 1833, unica erede di Pietro Paolo    Marchianò e Maria Vincenza Cadicamo, ed aveva sposato il 2 ottobre    1856 il cugino primo nobile Gabriele Baffa Trasci (1833 +    1907) di Vincenzo e Agata Marchianò, figlia quest’ultima di don    Gennaro e donna Marcellina d’Ayello.  
   Nel XVI secolo troviamo tale sig. Baldassarre Marchianò de’     Coronei che, nel 1583, compariva come rappresentante e procuratore    del vescovo monsignor Spinelli, abate commendatario della badia di    S. Benedetto Ullano (Cs), nella stipula dei capitoli del 19 novembre    1583 con la popolazione albanese stipulati dal notaio Giacomo de    Pretis in Montalto. 
La    famiglia in San Demetrio Corone (Cs), si divise, nel corso dei    secoli, in molteplici rami, appartenevano: Giovanni, che,    nato nel 1580 e coniugato con Beatrice Capparelli, nel XVII secolo    fu cappellano della chiesa di San Demetrio; Giovanni (XVIII    sec.) il quale all’atto della stesura della “Platea dei beni di    Sant’Adriano” tra il 1756 ed il 1761 ricopriva l’ufficio di    Procuratore generale dell’Abate don Nilo Malena; Fedele (1789    + 1845), filo-francese, fu confidente di Letizia Bonaparte madre    dell’Imperatore Napoleone, direttore del Seminario di Bisignano e    cappellano della chiesa di San Ferdinando in Napoli; il    reverendissimo Gennaro (+ 1726) autore di un’opera    teologico-dogmatica sul pensiero di S. Tommaso, il Magnifico    Maurizio Luigi (1730 + 1810), gentiluomo sposato con la    Magnifica Lucrezia Lopez (1735 + 1802), che, sul finire del    XVIII secolo, fu parte di una famosa vertenza civile contro l’allora    governatore di San Demetrio, Vincenzo Altomari. Altri personaggi    degni di nota furono: la monaca di casa Agatha che moriva    nella seconda metà del XVIII secolo venendo ritenuta dal popolo in    odore di beatitudine ed il Magnifico Gennaro (1767 +    1821), attivo rivoluzionario giacobino durante il periodo    filofrancese, nonché implicato nei moti napoletani del 1799, fu per    molti anni Governatore di San Demetrio Corone, marito della    nobildonna Marcellina d’Ayello dalla quale ebbe tre figli: don    Pietro Paolo (1800 + 1947), giudice, sposato con Maria    Vincenza Cadicamo (1813 + 1846), i quali ebbero un'unica figlia ed    erede universale di tutte le sostanze della famiglia Maria    Matilde Orizia (1838 + 1912) che nel 1856 sposò il cugino primo,    nobile Gabriele Baffa Trasci; donna     Agatha    (1809 + 1894) sp. 1828 con nobile Vincenzo Baffa Trasci:    ebbero molti figli tra i quali Gabriele (che sposa la cugina    Maria Matilde Marchianò) e Maria Zita de las Mercedes Baffa Trasci    (1836 + 1864) che nel 1856 sp. il nobile Giuseppe Toscano;    donna Maria Lucrezia (1804) sp. 1833 don Angelo    Maria Jeno. 
N.d.A.: Si ringrazia il dottor Demetrio Baffa Trasci    per le utilissime notizie relative al casato. 
   Stemma:    di rosso alla palma al naturale sinistrata da un drago che vi si    arrampica sempre al naturale. 
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Titoli:    nobile 
Dimora:    Napoli, Altamura 
Di origine greca stabilitasi in    Conversano ed in Altamura ed iscritta nel suo primo ordine civico,    diede vari personaggi di toga e di dignità ecclesiastica, ricevuta    nell’Ordine di Malta, ed in quello Costantiniano in persona di    Domenico nel 1830; Pietro cavaliere di “croce di    giustizia” dell’Ordine Costantiniano nel 1840; dichiarata    ammissibile nel Corpo delle Regie Guardie del Corpo dalla    Commissione per i Titoli di Nobiltà il 1 marzo 1850 in persona di    Luca, proveniente dalla “Compagnia delle Regie Guardie del    Corpo”, che in qualità di 1° tenente dello “Stato Maggiore”     dell’Esercito del Regno delle Due Sicilie, in forza nella “2ª     Brigata Ruffano”, ha partecipato alla campagna del 1860/61 per la    difesa del Regno delle Due Sicilie. 
Iscritta nell’Elenco Ufficiale    Nobiliare Italiano anno 1922. 
Arma:    d’azzurro al terrazzo di verde al leone al naturale coronato d’oro. 
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Titoli: nobile 
Dimora: Napoli, Roma 
Famiglia distintasi nelle scienze    e nelle arti con valenti rappresentanti. Originaria dell’isola di    Creta e di Corfù dei ducali greci “Melissenos e Melissurgos”, passò    in Italia con Emanuele Mellissurgos che si rifugiò a Bari    quando i Turchi invasero l’isola di Creta il 4 settembre 1692; da    lui discesero Spiridone e poi Francesco, Nicola,    Giulio Cesare. 
Riconosciuta nobile con D. M. del    26 giugno 1895; Alfonso commendatore della Corona d’Italia;    Guglielmo ingegnere, architetto, cavaliere Ufficiale    dell’Ordine Mauriziano, ingegnere 
  dell’Ufficio Tecnico del Comune di    Napoli dal 1883 al 1900, ispettore delle opere del “Risanamento”     della città di Napoli, perito tecnico dell’Avvocatura Municipale,    direttore dell’Ufficio Tecnico del Risanamento 1900/7, professore    onorario della Scuola Superiore di Architettura delle Belle Arti di    Napoli, autore della prima ricerca documentata sulle profondità e    caverne della città di Napoli con il tomo dal titolo “Napoli    Sotterranea” edito nel 1889; Emanuele ideatore della prima    linea ferroviaria dell’Appennino (Napoli – Bari – Brindisi) di cui    ne ebbe la concessione da re Ferdinando II di Borbone; Giulio    Cesare progettò per la città di Napoli via Partenope, via    Caracciolo, la ferrovia Cumana a fine del XIX secolo. 
Iscritta nel Libro d’Oro della    Nobiltà Italiana, iscritta nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano    anno 1922.  
Arma: d’azzurro a tre    monti di verde, da tre margherite gambute fogliate al naturale, al    capo di quattro api d’oro al sole dello stesso movente al cantone    destro.  
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Titoli: duca, marchese di    Marescotti 
Dimora: Napoli, Potenza 
Originaria dell’Albania    trapiantata in Calabria nel XIV secolo. Vincenzo,    giureconsulto di eccezionale valore, presidente della Suprema Corte    di Giustizia del Regno delle Due Sicilie, con l’avvento dell’Unità    d’Italia venne nominato primo presidente della Corte di Cassazione    di Napoli, proclamò l’8 novembre del 1860 i risultati farsa del     “Plebiscito” per l’annessione dell’ex Regno delle Due Sicilie al    regno sabaudo, alla sua persona è intitolata una strada nella città    di Napoli. Giunsero ad alti gradi della magistratura: Domenico,    Ilario, Nicola, Vincenzo; Francesco    grado onorifico di primo presidente della Corte di Cassazione nella    prima metà del XX secolo; Ugo, tenente aviatore, medaglia    d’oro alla memoria caduto in combattimento aereo nel 1916 durante la    1ª guerra mondiale, anch’egli ha una strada intitolata nella città    di Napoli. Il casato venne insignito del titolo di duca con    anzianità dal 1722, di marchese di Marescotti con anzianità dal    1719; Giovanni, duca e marchese, fu vice prefetto e vice    podestà della città di Napoli durante il ventennio fascista    (1922/1943), commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia,    cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. 
Iscritta nel Libro d’Oro della    Nobiltà Italiana, iscritta nell’Elenco Ufficiale Nobiliare italiano    anno 1922. 
Arma:        troncato.    1° d’argento a tre rose rosse, 2° d’azzurro alla stella d’argento in    punta. 
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Titoli:        barone    del Piraino 
Dimora:        Palermo,    Messina, Patti 
Famiglia    di origine greca, le prime memorie certe si hanno con Anfusio    cavaliere greco e Signore del castello di Sterope all’epoca della    dominazione bizantina. Nell’anno 892 il castello venne assediato dai    saraceni, i quali stipularono condizioni di resa con Anfusio, ma i    patti non vennero mantenuti: egli venne assalito, ma si rivalse sul    figlio del comandante saraceno Vindecair, da lui tenuto in ostaggio,    uccidendolo, ma a sua volta venne trucidato dai saraceni. Questo    tragico avvenimento diede il nome al casato e alla città di Patti,    edificata dai saraceni. Il casato fu iscritto nella Mastra Nobile di    Messina negli anni 1798/1807. 
Ansaldo        fu uno    dei promotori della venuta dei Normanni in Sicilia per la    liberazione dell’isola dal giogo saraceno; Riccardo    stradigoto (giudice criminale) di Messina nel 1137; Pellegrino    vescovo di Mazzara, gran protonotario del Regno nel 1280, gran    cancelliere del Regno nel 1300. 
Luzio        fu uno    dei capi, assieme a Giovanni da Procida, della congiura dei    Vespri Siciliani,    resse le città di Girgenti (Agrigento) e di Naro a nome di re Pietro    d’Aragona, per i servigi resi venne nominato barone da re Federico    II d’Aragona nel 1325; Pellegrino combatté contro gli    Angioini di Napoli e con 12 galee affrontò l’ammiraglio Guglielmo di    Lauria, comandate delle a flotta napoletana, nel 1300 ma venne fatto    prigioniero preso l’isola di Ponza; Ansaldo barone in    Messina, cavaliere di re Ludovico d’Aragona; Nicolò signore    di Scaletta, di Foresta, di Fraina, Attilia e Guidomandri;    Giovanni signore del feudo di Placa, gran siniscalco di Sicilia;    Italiano cavaliere dell’Ordine Militare di Malta nel 1492;    Bartolomeo senatore in Messina, barone di Linguaglossa;    Ansaldo senatore di Messina, barone di Belvedere, tra i    fondatori dell’Ordine Militare della Stella, nonchè confratello    della “Compagnia della Pace” di Palermo; Scipione cavaliere    dell’Ordine di Malta, morì in combattimento all’assedio di Malta    tenuto dadi saraceni; Andrea senatore in Messina, principe    dei Cavalieri dell’Ordine Militare della Stella nel 1644; GIOVANNI    cavaliere dell’Ordine di Malta nel 1566; Domizio giudice    della Regia Gran Corte; Bartolomeo minore conventuale,    maestro in Teologia, vescovo Badense; Carlo cavaliere di    Malta nel 1710; Francesco duca di Sorrentino “pari” del Regno    di Sicilia, poeta e cultore di medicina; il ramo dei duchi di    Sorrentino si estinse col matrimonio di Carolina Patti con il    casato Settimo. Il casato edificò in Messina l’Ospedale di San Luca.    Vincenzo guardia del corpo a cavallo della ”Compagnia delle    Reali Guardie del Corpo” nei ruoli attivi dell’Esercito del Regno    delle Due Sicilie anno 1860.  
   Rappresentate del casato nei primi anni del XX secolo Giuseppe    barone del Piraino, vivente in Palermo. 
Arma:        spaccato    d’oro e di rosso, alla sbarra d’azzurro sul tutto. 
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Titoli: Conte, barone,    signore d’Aragona, patrizio bizantino, nobile di Valenzana, di    Rutigliano, di Conversano, di Locorotondo, di Bitritto, cavaliere    ereditario, col trattamento di don e donna 
Dimora: Toscana, Puglia. 
Motto: “Per vim et    honorem” 
Antichissima casata di origine    ellenica, si stabilì in Magna Grecia in epoca remota, precisamente    in terra di Bari. Sin dal XIV secolo la si trova iscritta tra le    nobili famiglie pugliesi. Il primo personaggio di cui si hanno    notizie certe è il “Magister” Giuseppe di Conversano che si    trasferì a Valenzano, dove sposò nel 1640 Porzia Azzone; tra i suoi    figli vanno notati: il vescovo don Vitoantonio (1643-1724) ,    il medico Domenico Antonio (1644 – 1724), il figlio ed il    nipote di quest’ultimo furono medici: Vito Antonio (1682 –     1718) e Domenico Antonio che si trasferì a Bitritto, il    figlio don Nicola Pasquale canonico. 
La famiglia ascritta alla nobiltà    di Valenzano, Rutigliano, Conversano, Locorotondo e Bitritto,    vantando il titolo di patrizio bizantino e del trattamento di don e    donna; il casato diede tre badesse: donna Angelica Teresa,    donna Maria Vittoria e donna Maria Severa; ed inoltre    tre governatori di Valenzano: il “Magnificus” Vito Francesco    (1681 – 1744) nel 1730/1, il figlio Nicola Pasquale (1717 –     1768) nel 1747/8 e Domenico Antonio nel 1755/6. 
Ai primi del XVIII secolo    costruirono la cappella della “Vergine del Rosario ed Anime del    Purgatorio”, nella strada di Trappeti in Valenzano, con un legato di    un cospicuo lascito. Ai primi del XIX secolo si trasferì il casato    in Matera, dove il 3 novembre 1821 nacque Gianbattista, il    quale a 27 anni partecipò alle barricate del 1848 a Napoli, indossò    la divisa militare; partecipò alla prima guerra d’indipendenza con    importanti incarichi nel campo delle telegrafia, venne ferito a    Vicenza; nel 1850 fu istruttore degli allievi telegrafisti in    Piemonte, ed incaricato di redigere un manuale di telegrafia e di    ispezionare gli uffici telegrafici, nello stesso tempo compì studi    nel campo che gli valsero la laurea in dottore in fisica. Nominato    tenente colonnello, insignito del titolo di conte, cavaliere di    numerosi ordini equestri, tra cui l’Ordine di SS. Maurizio e    Lazzaro. Senatore del regno d’Italia, si occupò di comunicazione    telegrafiche,ideò e pose in opera il cavo telegrafico sottomarino    tra la Sicilia e la Sardegna e sullo stretto di Messina; partecipò    alla terza guerra d’indipendenza da valoroso, nel 1864 tornò a    Matera come ispettore capo dei telegrafi. La città gli offrì una    medaglia d’oro per il suo patriottismo, intitolandogli strade,    scuole e piazze; diede inizio alla collezione di armi antiche. Ai    primi del XX secolo la famiglia si trasferì in Toscana per la    gestione del patrimonio, in quel di Firenze. 
N.d.A.: si ringrazia il dottor    Michel Pentasuglia per le preziose notizie fornite relative al    casato 
Arma:    inquartato: nel primo e quarto d’oro a cinque losanghe nere poste 1,    3, 1; nel secondo e terzo d’azzurro al leone d’oro armato e linguato    di rosso. 
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    Titoli:          barone di San Marco, marchese 
    Dimora:          Trapani, Palermo, Messina 
Di     origine greca, venuta nel Napoletano con Bernardo nel     1302 a seguito dell’invasione ottomana delle sue terre natie, e     che a quanto riferisce il Mugnos, si trasferì in Sicilia dove     per i servigi resi come cavaliere presso re Federico II, ottenne     feudi e la nomina di regio giustiziere in Siracusa nel 1306,     passò in Catania dove diede inizio alla sua stirpe. Godette     nobiltà in Palermo, Catania, Siracusa, Messina; possedette i     principati di Cutò, Larderia, Rosolini; la ducea di Belmurgo; il     marchesato di Mezzoiuso; la contea di Sant’Antonio; le baronie     di Boscaglia, di Cattasi, Cefali, Churca, Cipolla, Imposa,     Longarini, Mazzarone, Melia, Morbano, Nadore, Passaneto, Pojura,     Priolo, Recattivo, Riddidini e Almidara, Risichilla,     Roccapalumba, Rosabia e Raffo, Salto dei molini di Piazza, San     Marco, Sannini e Cugno di Combaudo, Scirinda, Solarino, Terrati     e Cavaleri, i Mezzigrani sulle tonnare di Arenella, San Giorgio,     San Nicola e Solanto l’ufficio di detentore dei libri della     deputazione del Regno di Sicilia, ecc. ecc. A noi però risulta     che, nel 1366, Francesco era notaro in Sicilia nel 1366,     Paolo acatapano nobile di Catania 1466. Antonio     benedettino vescovo di Malta nel 1412; Battista giudice     della Gran Corte nell’anno 1434, signore di Iaci, ambasciatore     al re Alfonso e al pontefice Eugenio III, presidente del Regno     di Sicilia nel 1436; Giulio Sancio (figlio del     precedente) barone di Iaci, fu stratigoto (giudice criminale) di     Messina negli anni 1441-42, 1451-52; Tommaso patrizio di     Catania negli anni 1445-46, 1451-52 e strategoto di Messina nel     1453 e 1454; Bernardo senatore di Catania negli anni     1459-60, 1466-67, 1470-71; Giovanni Ferrante patrizio     della stessa città nel 1462-63; Luigi tenne la carica di     senatore in detta città negli anni 1465-66, 1472-73, 1479-80;     Pietro patrizio di Catania nel 1467-68; Antonio     senatore di Catania negli anni 1481-82, 1535-36 e capitano di     giustizia nel 1500-501; Blasco senatore di Catania negli     anni 1483-84, 1496-97; Giaimo la stessa carica nella     stessa città nel 1490-91; Givan Battista fu patrizio di     Catania negli anni 1497-98, 1503-504; Pietro giurato in     Messina negli anni 1500-01, 1519-20, 1530-32 e senatore negli     anni 1530-31, 1539-40; Ferdinando senatore di Siracusa     nel 1504-505; un fu senatore di Catania nell’anno 1509-10;     Girolamo senatore in Catania negli anni 1524-25, 1552-53;     Girolamo, barone d’Imposa, giurato di Siracusa negli anni     1537-38, 1545-46, 1549-50 e senatore nel 1556-57; Cesare     capitano di giustizia di Palermo nel 1537-38; Antonio Giacomo     senatore della stessa città nel 1537-38; Giovanni,     dottore in legge, fu sindacatore di Randazzo nel 1550;     Ludovico giurato di Siracusa negli anni 1555-56, 1560-61,     1566-67 e senatore negli anni 1563-64, 1574-75 e, con privilegio     del 18 dicembre 1560, ottenne il titolo di “regio cavaliere”; Giovanni giurato di Siracusa negli anni 1556-57, 1584-85,     1590-91 e forse egli stesso fu giudice della Gran Corte     nell’anno 1559-60; Guglielmo senatore di Catania negli     anni 1560-61, 1563-64; Carlo tenne la stessa carica in     Palermo negli anni 1566-67 e 1574-75; Galeotto con     privilegio dato il 3 maggio esecutoriato il 23 novembre 1575,     ottenne il titolo di nobile col Don, fu giudice della Gran Corte     negli anni 1575-76 e 1579-80-81, ecc., deputato del regno nel     1585, e capitano di giustizia in Catania nell’anno 1590-91;     Silvio capitano di giustizia di Siracusa nel 1578-79;     Cesare senatore di Catania negli anni 1576-77; Francesco,     barone di Mazzarrone, senatore di Siracusa nel 1582-83;     Francesco, da Catania, con privilegio del 31 agosto 1589,     ottenne il titolo di “regio cavaliere”; Vincenzo senatore     di Palermo negli anni 1609-10, 1615-16; Andrea, barone di     Priolo, fu giurato di Siracusa nel 1614-15, senatore nel 1626-27     e capitano di giustizia negli anni 1629-30, 1630-31;     Salvatore, barone di Cefali, senatore in Siracusa nel     1655-56; Biagio fu capitano di giustizia in Siracusa nel     1660-61; Gaspare Platamone e Romano proconservatore della     detta città nel 1661; Cesare capitano di giustizia in     Catania negli anni 1659-60, 1665-66; Francesco, barone     del Priolo, fu senatore di Siracusa negli anni 1667-68, 1672-73,     capitano di giustizia nel 1668-69; Filippo giurato nobile     in Siracusa negli anni 1683-84, 1685-86, 1689-90 e capitano di     giustizia nel 1670-71; Antonio principe di Rosolini,     senatore di Siracusa nel 1685-86; Carlo senatore di     Palermo negli anni 1688-90; Graziano senatore di Palermo     nel 1695-96 e 1703-704; Giovan Battista giurato nobile in     Siracusa negli anni 1695-98, 1700-01; Antonino giurato di     Licata nel 1701-2; Gaspare senatore di Palermo negli anni     1705-6, 1714-15 e maestro razionale di cappa corta del Real     Patrimonio; Nicolò, già capitano di giustizia in Vizzini,     concorreva agli uffici nobili di detta città nel 1731;     Lorenzo giurato nobile di Siracusa negli anni 1747-48,     1754-55 e sindaco di detta città nel 1750 al 1752; Michele     Platamone e Lucchese con investitura del 18 giugno 1748     ottene i titoli di duca di Belburgo, barone di Passaneto, di     Nardore, dell’ufficio di Detentore dei Libri della Deputazione     del Regno; Baldassare, (figlio del precedente) duca di     Cannizzaro e Belmurgo per investiture del 7 febbraio 1780 e del     27 febbraio 1787, senatore di Palermo negli anni 1777-78,     1782-83, pretore di detta città negli anni 1792-94, gentiluomo     di camera; Alessandro capitano di giustizia di Licata nel     1786-87; DIEGO, barone di Pojura, senatore di Piazza nel     1797-98; Giuseppe acatapano nobile di Piazza nel 1798-99;     LIBORIO senatore di Piazza nel 1799-800; Giovan Battista,     barone di S. Marco, fu senatore e patrizio di Siracusa nel     1804-805; Michele Platamone e Moncada (figlio di     Baldassare, duca di Belmurgo), fu investito il 16 marzo 1803 dei     titoli di principe di Larderia, principe di Rosolini, conte di     Sant’Antonio, barone di Roccapalumba, barone di Cipolla, barone     dell’Imposa, barone di Longarini, signore di Buscaglia,     Ritibillini e Almidara, Sannini e di onze 51 annuali sui porti e     caricatori del regno ed a 18 novembre 1805 di quello di signore     di Recattivi per precedete investitura “maritali nomine” del     padre che aveva sposato Rosalia Moncada e Branciforte;     Francesco Platamone e Moncada (fratello del precedente)     ottenne, con real rescritto del 24 agosto 1829, concessione del     titolo di duca di Belmurgo. Giuseppe (dec.1859), senatore     di Piazza nel 1799-800, commissario per il Governo Nazionale nel     1848-49. Con Decreto Reale dell’11 agosto 1897 seguito da Regie     Lettere Patenti del 15 maggio 1898 venne concesso ad Enrico     Platamone, (figlio del precedente), nato in Trapani a 3     gennaio 1841, il titolo di marchese con trasmissibilità maschi     da maschi in linea e per ordine di primogenitura, consigliere     provinciale di Trapani, medaglia di bronzo per benemerito della     salute pubblica: figli: Giuseppe (1876) , tenente     colonnello della Milizia territoriale del regio Esercito     Italiano, podestà della città di Trapani nel ventennio fascista;     Enrico Angelo Maria (1908). 
    Iscritta nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana e nell’Elenco     Ufficiale Nobiliare Italiano anno 1922, ed inoltre nell’elenco     ufficiale definitivo delle famiglie nobili e titolate della     Regione Siciliana. È iscritto, con il titolo di barone di San     Marco, Nicolò Gaetano Platamone, di Giovan Battista.      
Arma:     d’oro, al monte di nero, di cinque vette, sormontato da tre     conchiglie montanti, ordinate in fascia, queste sormontati da un     giglio, il tutto di rosso. 
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Rodinò 
 
Titoli: nobile, barone di    Miglione, predicato di D’Acrari Migilione 
Dimora: Napoli, Polistena,    Calabria 
Motto: “In virtute Robur” 
Originaria della Grecia e    trasferitasi in Francia, venuta nel Napoletano con gli Angioini nel    1265 in persona di Giulio Cesare. Passò in Calabria dove    possedette fin dal 1593 il feudo di Miglione ed iscritta al Registro    delle famiglie feudatarie da oltre duecento anni con il relativo    titolo di barone, nobile in Catanzaro, Reggio, San Giorgio di    Polistena. Giovan Francesco occupò cariche amministrative    nella provincia di Reggio Calabria. Luigi, barone di Miglione,    maggiordomo di re Ferdinando II, “pari” del Regno nel 1848, gran    cordone dell’Ordine di Francesco I, commendatore dell’Ordine di San    Gregorio Magno; Giovan Francesco gentiluomo di camera di S.M.    Siciliana, cavaliere Costantiniano, commendatore dell’Ordine San    Gregorio Magno; Carmelo guardia a cavallo della “Compagnia    delle Regie Guardie del Corpo”, figlio del barone LUIGI, partecipò    alla difesa del Regno delle Due Sicilie quale aggregato al “9°    Battaglione Cacciatori” compiendo tutta la campagna del 1860/61 in    prima linea, capitolando con i resti dell’’Esercito in Gaeta il 14    febbraio 1861; Giovan Francesco cavaliere di giustizia del    S.M.O. Costantiniano, commendatore dell’Ordine del Santo Sepolcro,    cameriere secreto di spada e cappa di Sua Santità; Giulio    (Napoli 1871 – Roma 1946), barone di Miglione, avvocato, cavaliere    di Gran Croce Cordone dei SS. Maurizio e Lazzaro, Gran Cordone della    Corona d’Italia, cavaliere dell’Ordine di Cristo del Portogallo,    deputato al Parlamento, Ministro della guerra e Ministro di    Giustizia e dei Culti, vice presidente della Camera dei Deputati    anni 1919/21, 1924/26, vice presidente del Consiglio dal dicembre    del 1944 al giugno 1945 del Regno del Sud, alla sua persona è    dedicata una piazza in Napoli nel quartiere Chiaia. 
Iscritta nell’Elenco Ufficiale    Nobiliare Italiano anno 1922. 
Arma:    partito 1° d’oro alla mezza aquila di nero col volo abbassato e    coronata di nero, 2° di verde con al capo tre rose di rosso ed in    punta due rami d’alloro posti in decusse d’oro. 
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Titoli:        nobile di    Lucera 
Dimora:        Lucera 
Famiglia    originaria dell’Albania, venuta nel Napoletano, nel XV secolo, al    seguito di Giorgio Scanderbech, quali truppe in aiuto di re Ferrante    d’Aragona per difenderlo dai baroni ribelli. Giorgio si    stabilì in Lucera, ove venne iscritto nella sua nobiltà; possedette    il feudo di Palmori, maestro giurato e luogotenente del governatore    di Lucera; Nicolò cacciatore maggiore della provincia di    Capitanata (Foggia) nel 1598; Diego ottenne le “60 some di    terraggio” spettanti ai nobili della città, venne inviato, quale    notabile della città, nel 1702 ad omaggiare re Filippo V, il quale    gli riconfermò i privilegi e gli donò 500 scudi; Giuseppe    autore della “Vita pubblica dei Romani”, governatore della    provincia di Capitanata e giudice della Sommaria. 
Arma:        non    reperita. 
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   Titoli:     barone di    Bugnano e Casapuzzano, conte e duca di Mottola 
   Dimora:     Napoli,    Bari, Giovinazzo 
Famiglia    di origine greca, venuta nel napoletano nel XIII secolo a seguito    dell’invasione mussulmana del Peloponneso, feudataria al tempo di re    Manfredi di Svevia con Pietro e Riccardo “inquisiti”     da re Carlo I d’Angiò per la loro fedeltà agli Svevi; Berardo    cavaliere alla corte di Carlo I d’Angiò; Gualtiero cameriere    di re Carlo I d’Angiò, preposto (responsabile amministrativo) alle    fabbriche del Regno; Arrigo giustiziere dell’Abruzzo, tra i    cavalieri che seguirono re Roberto nell’impresa della “guerra di    Sicilia”; Roberto cavaliere dell’Ordine del Nodo (suggestivo    Ordine Cavalleresco di casa d’Angiò, conferito a chi ritornava dal    voto di crociato in Terrasanta); Antonio e Iacopo    maggiordomo e cameriere di re Ladislao e della regina Giovanna II;    Sergio ammiraglio di Rodi, Rallio di Santa Eufemia, tesoriere    generale dell’Ordine Gerosolimitano, luogotenente del Gran Maestro    dell’Ordine di Malta in Castellamare nel 1468; Tesco    commendatore di Orta dell’Ordine gerosolimitano nel 1502;    Girolamo I (1493 – 1563) generale dell’Ordine degli Agostiniani,    arcivescovo di Salerno nel 1554, poi elevato al rango cardinalizio    di Santa Susanna da papa Pio IV il 26 febbraio 1561, presente al    Concilio di Trento, ambasciatore per Napoli alla corte    dell’imperatore Carlo V nel febbraio del 1553, col compito di far    riconoscere e ripristinare i privilegi relativi alle autonomie    locali che il vicerè don Pietro da Toledo aveva ignorato, riuscì    nella sua missione: “Gratie immunità et privilegi… concesse et    espedite… per il R. P. Hieronimo Seripanno oratore de la detta città    nel presente anno     1554”        (dal    tomo: Il Santo Uffizio, pag. 222 di Ludovico Amabile). 
 
Pompeo    valoroso capitano d’arme nel 1572; Girolamo cardinale e    prefetto della Propaganda, nel 1715 donò una ricchissima biblioteca    al Monastero della chiesa di San Giovanni a Carbonara in Napoli, la     “Biblioteca Seripandina”, andata dispersa nel bombardamento della    chiesa dell’agosto del 1943 da parte dell’aviazione Alleata. Esiste    ancora oggi, secolo XXI, la Cappella Seripando del “SS. Crocefisso a    Carbonara” eretta nel 1533 annessa alla chiesa di San Giovanni a    Carbonara in Napoli tutt’ora non visitabile, utilizzata nella prima    metà del XX secolo come “Congrega dei Giovani Studenti”, nel suo    interno si “potrebbe” ammirare il cinquecentesco mausoleo di    Antonio Seripando, con la presenza sull’altare di un prezioso    Crocifisso su tavola opera del pittore toscano Giorgio Vasari. 
Sorgono    monumenti celebrativi del casato in Napoli: nel Duomo, nelle chiese    di San Giovanni a Carbonara, di San Lorenzo Maggiore e di San    Gaudioso. 
 
Arma:        di rosso    al leone d’oro tenente con la zampa destra un crescente (mezza luna)    dello stesso, col rastrello (lambello) a tre pendenti d’azzurro in    fascia attraversante il tutto. 
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   Titoli:     nobili,    baroni, 
   Dimora:     Napoli 
Famiglia    di origine greca, rifugiatasi nel Napoletano al tempo dell’invasione    ottomana delle terre d’Epiro nel XIII secolo. Le prime memorie si    hanno con Filippo barone di Zuncoli, che nel 1240 fu tra i    baroni chiamati presso il Parlamento Generale in Foggia; il casato    venne ascritto presso il seggio di Capuana in Napoli. Da    Passarello Siginulfo ebbe origine la famiglia Passarelli che    godette nobiltà in Catanzaro ed investita del titolo di baroni di    Brocentoro, Motta e Paganica si estinse nel XV secolo. I Siginulfo    furono conti di Caserta nel 1308 e di Telese nel 1296, baroni di    Zuncoli, Mondragone, Pascarola, Teverola, Brusciano, Melito ed altri    feudi. 
   Giovanni        feudatario di re Manfredi, in seguito divenne cavaliere di Carlo    d’Angiò e creato “secreto” di Principato, maestro portulano in    Puglia e vicerè di Terra di Lavoro e del Molise; Gualtiero    sindaco di Napoli per concessione di re Carlo d’Angiò; Cesare    grande almirante (ammiraglio) di Carlo II d’Angiò; Giovanni “Passarello”     maestro razionale di Corte, maestro ostiario (addetto alla cura    degli appartamenti reali) e vice ammiraglio del Regno; Sergio    sindaco di Napoli, ciambellano, consigliere e cavallerizzo maggiore,    grand’ammiraglio; Bartolomeo conte di Caserta e Telese, gran    condottiero combattè nella “guerra di Sicilia” dove venne fatto    prigioniero e riscattato da re Carlo II in cambio di Giovanni    Chiaromonte; innamoratosi della principessa Tomar, moglie di Filippo    principe di Taranto, e fratello di re Roberto, tentò di uccidere il    principe, messo in catene in Castel Sant’Angelo di Pozzuoli riuscì a    fuggire e condannato a morte in contumacia, i suoi beni vennero    requisiti: la contea di Caserta data ai della Ratta e gli atri beni    ai de Niana di Aversa. Giovanni luogotenente del Gran    Camerario del regno al tempo di re Roberto d’Angiò; Gurello    gran ciambellano vicerè e gran capitano d’Abruzzo; Filippo     “familiare” di re Carlo l’Illustre, maresciallo nella “guerra di    Sicilia”; Marino tra i baroni che accompagnarono re Ladislao    in Abruzzo, suo “familiare” ed in seguito anche della regina    Giovanna II. Esistono monumenti del casato eretti nel Duomo e chiesa    di Santa Restituta in Napoli, ed in Bari nella chiesa di San Pietro    Maggiore. 
Arma:        non    reperita. 
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Titoli:        principe    e duca di Spadafora, signore di San Pietro li Curri, patrizio    veneto, nobiluomo, nobildonna. 
Dimora:        Messina,    Taormina, Palermo, Mazzara, 
Motto:        Prodes in    bello 
Famiglia    di chiarissima nobiltà, di origine greca proveniente da    Costantinopoli portata in Sicilia da Basilio, esarca -     èxsarchos - (governatore civile e militare delle province    dell’impero bizantino) per l’imperatore Isauro Isacco Commeno nel    1058 e capitano della guardia dell’imperatore stesso; sposò Umfrida    nipote dei duca normanno Roberto e del conte Ruggiero. Il casato    occupò le più importanti cariche del regno di Sicilia e possedette    un gran numero di titoli e di feudi, godendo ovunque nobiltà, tra    cui notiamo i principati di Maletto, Mazzarà, Venetico, Spatafora;    la ducea di Spatafora; i marchesati di San Martino, Roccella; la    contea di Sclafani; le baronie di Bavuso e Rapano, Caccione e    Michinesi, Calamita e Sant’Andrea, Carcaci, Cassaro e Didino,    Cerami, li Currii di San Pietro, Cutò, Ferla, Feudarasi, Maletto,    Martini, Mazzarà, Roccella, Sant’Andrea, San Martino, Scordia    Soprana, Solanto, San Giorgio, Arenella e San Nicola, Venetico,    Vigna del Re, ecc. ecc. Tra i membri di detta famiglia, degni di    menzione per le cariche sostenute ci sono: Matteo senatore di    Messina nell’anno 1358; Corrado stratigoto di detta città nel    1395; Galeotto o Gulotto capitano di Corleone nel    1396; Federico maestro razionale del real Patrimonio da re    Alfonso e per i servigi resi all’Ordine di Malta ottenne il diritto    alla “croce in perpetuum”per se e d i suoi eredi in linea    maschile e femminile; Federico, milite, capitano e castellano    di Taormina nel 1391/99, giustiziere del Val Demone nell’anno 1403,    che, con privilegio dato il 12 maggio 1409, ottenne dal doge Michele    Steno e dal senato la iscrizione per se e suoi al patriziato veneto    per i servigi resi; Tommaso pretore di Palermo negli anni    1412-13, 1419-21, 1424-25; Corrado, che tenne la stessa    carica in detta città negli anni 1418-19, 1426-28, 1436-37; GERARDO    capitano di giustizia di Palermo nel 1421-22; Guglielmo, che    tenne la stessa carica in Caltagirone nel 1430-31, senatore di    Messina negli anni 1433-34, 1438-39, 1443-44, 1447-48, 1456-57;    Corrado, barone di Venetico, pretore di Palermo nel 1436,    stratigoto (giudice criminale) di Messina nel 1443; Federico    senatore di Messina negli anni 1441-42; Gerardo, capitano di    giustizia di Palermo nel 1482-83; Annibale vescovo di Lipari    nel 1485 ed archimandrita (titolo di ecclesiastico superiore di    monastero nella Chiesa di rito bizantino) di Messina; Corrado    cavaliere dell’ordine di Malta nel 1485; Antonino senatore di    Messina negli anni 1496-97, 1510-11; Pietro che tenne la    stessa carica in detta città nel 1514-15; Guglielmo, senatore    di Palermo nel 1517-18, pretore negli anni 1525-26, 1528-29,    1534-35, 1539-40 e capitano di giustizia nel 1521-22; Scipione,    senatore in Messina negli anni 1528-29, 1541-44 , maestro marammiere    del Terzanà e Real Palazzo di Messina nel 1593; Giovan Vincenzo    senatore di Palermo negli anni 1533-34, 1549-50, 1553-54;    Berardo capitano giustiziere di Messina nel 1546-47; Nicolò    Antonio senatore di Palermo nel 1552-53, pretore negli anni    1564-65, 1570-71, 1579-80 e capitano di giustizia nell’anno 1587-88;    Ludovico senatore di Palermo negli anni 1567-68, 1572-73,    1599-600, che, con privilegio dato il 13 luglio 1573 esecutoriato il    17 febbraio 1574, ottenne concessione del titolo di nobile col Don e    capitano di giustizia in Palermo nel 1576-77; Guglielmo che    tenne la stessa carica in detta città nel 1574-75; Pietro    senatore di Messina negli anni 1574-75, 1579-80, 1583-84;    Annibale, che tenne la stessa carica in detta città nel 1579-80;    Michele, barone di Maletto, con privilegio dato il 23 giugno    esecutoriato il 23 novembre 1579, ottenne la concessione del titolo    di marchese della Roccella, e, con privilegio dato il 2 aprile 1619    esecutoriato il 14 settembre dello stesso anno, ottenne la    concessione del titolo di principe di Maletto e fu pretore di    Palermo negli anni 1601-3; Federico Spadafora e Moncada,    barone di Venetico, provveditore delle fabbriche del regio palazzo    di Messina nel 1594; Giuseppe Spadafora Branciforti e Moncada,    che, con privilegio dato in Madrid il 23 luglio esecutoriato in    Messina il 22 settembre 1622, ottenne concessione del titolo di    marchese di San Martino; Francesco Spadafora Branciforti    Moncada e Ruffo, marchese di San Martino, che, con privilegio dato    il 10 novembre 1629 esecutoriato il 6 luglio 1630, ottenne la    concessione del titolo di principe di Venetico; Ludovico    capitano di giustizia di Palermo nell’anno 1632-33; Giuseppe    senatore di Messina negli anni 1650-51, 1659-60; Pietro    Spadafora e Moncada, che, con privilegio dato IL 27 febbraio    esecutoriato il 27 marzo 1653, ottenne concessione del titolo di    principe di Mazzarrà; Federico, con privilegio dato in Madrid    il 7 agosto esecutoriato in Messina il 23 settembre 1672, venne    nominato maestro razionale di cappa corta del tribunale del Real    Patrimonio, e, con privilegio dato in Madrid il 29 maggio 1673    esecutoriato in Messina l’11 agosto 1673, ottenne la concessione del    titolo di duca di Spadafora; Muzio Spadafora e Spadafora, con    privilegio dato in Madrid il 7 marzo 1710 esecutoriato in Messina il    4 maggio 1713, ottenne la concessione del titolo di principe di    Spadafora; Matteo senatore di Palermo nel 1715-16; Muzio    Spadafora e Branciforti, principe di Maletto, di Venetico, e    relativi altri titoli, gentiluomo di camera di re Vittorio Amedeo,    capitano di giustizia di Palermo nel 1717-18, maestro razionale del    tribunale del Real Patrimonio, deputato del regno nel 1720, 1723;    Federico Spadafora e Gaetani dei principi di Maletto, cavaliere    gran croce dell’ordine di Malta,deceduto nel 1794; Federico    Spadafora e Moncada, principe di Maletto, ecc., cavaliere    dell’ordine di Malta, ministro della nobile “Compagnia della Carità”     di Palermo nell’anno 1775; Mariano e Salvatore    Spadafora e Monroy dei principi di Spadafora, che, l‘8 agosto 1796,    ottennero attestato di nobiltà dal senato di Palermo. Con rescritto    del 17 aprile 1841 vennero riconosciuti i titoli di principe e duca    di Spadafora a Gaetano Spadafora (di Muzio) padre di Muzio,    riconosciuto con rescritto del 19 maggio 1851 nei detti titoli. Con    Decreto Ministeriale del 22 luglio 1901 vennero riconosciuti in    persona di Pietro Maria, di Michele, Spadafora (Spatafora),    da Palermo i titoli di principe e duca di Spadafora, signore di San    Pietro li Curri, patrizio veneto, quest’ultimo trasmissibile ai    discendenti d’ambo i sessi, per continuata linea retta mascolina, e    gli altri agli eredi e successori, secondo l’antico diritto    siciliano; con D.M. del 22 luglio 1920 i su indicati titoli vennero    riconosciuti al fratello Rodriguez padre di Michele,    podestà di Palermo nel ventennio fascista, che ottenne con D. M. del    4 luglio 1929 l’autorizzazione di usare per anticipata successione    il titolo di duca di Spadafora. 
Il casato    è iscritto nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana e nell’Elenco    Ufficiale Nobiliare Italiano anno 1922. 
Arma:    di rosso, al braccio armato, tenente una spada, posta in sbarra, il    tutto al naturale. 
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Stratigò    Cozzo 
 
Titoli:    conte di Gallitano, barone di Galassi 
Dimora:    Palermo, Grecia 
Originaria    della Grecia con uno Stratigò o Straticò (cognomizzazione di una    professione che indicava in Sicilia la carica di giudice della corte    criminale); insignita della baronia di Galassi e della contea di    Gallitano per successione della famiglia Cozzo, di cui aggiunse il    cognome, che ne aveva avuto il titolo il primo nel 1771 e il secondo    nel 1809. Nella prima metà del XX secolo ne erano titolate    Giuseppina e Caterina, figlie di Niccolò e    Assiotea Cozzo, per eredità materna con RR. LL. PP. (Regie Lettere    Patenti) di Assenso del 16 settembre 1926 e Regio Riconoscimento del    1902. 
Iscritta nel    Libro d’Oro della Nobiltà Italiana, iscritta nell’Elenco Ufficiale    Nobiliare Italiano anno 1922. 
Arma:    partito: d’oro all’aquila al naturale (Stratigoto); troncato d’oro e    di rosso, il secondo a tre monti di rosso (Cozzo). 
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    Titoli: nobile di Reggio Calabria 
    Dimora: Reggio Calabria 
Si vuole     di origine bizantina giunta a Reggio dopo la caduta di     Costantinopoli (Tradizione familiare vuole che a     simboleggiare tale memoria nell’arma il leone è “rivoltato”      perchè mira ad oriente la patria perduta – il sole). Dette     alla città nel corso dei secoli molti personaggi di toga, d’armi     e di studi partecipando alla vita amministrativa con sindaci,     magistrati e deputati della nobiltà. Il canonico Giuseppe     Morisani, storico insigne, (1720-1777), la indica come la     famiglia che introdusse a Reggio la coltivazione del bergamotto     alla fine del XV secolo (– varie fonti – riportato da:     Mottareali, l’Italia agricola – 1875 ). Il casato appartenne     ad ambedue le confraternite nobili della città, degli Ottimati e     dei Bianchi; titolare di oratorio e cappella nel proprio palazzo     gentilizio in Reggio, come da concessione di Papa Pio VI del 23     aprile 1776 ( F. Russo – Regesto Vaticano per la Calabria –      vol.XII n. 66936). Passò per l’Ordine di Malta quale quarto     (Pasquale Catanoso-Genoese – Cavalieri Gerosolimitani di     Reggio Calabria – processo nobiliare di fra Felice Musitano     cavaliere di Giustizia nell’anno 1774, quarti nobili –      Musitano-Guerrera-Valentino-Monsolino) nell’anno 1794.     Figura tra le famiglie ammesse nella “Compagnia delle Guardie     d’Onore” di Calabria Ultra seconda, in persona di Giovanni     di Felice – (archivio provinciale RC – elenco 1837,     n. 28) Nel 1610 il dottor fisico Giovandomenico, Priore     della Confraternita di S. Nicolò de Puteo, fu Sindaco della     città, sposo della nobile Pompilia Rota e fratello del Regio     Giudice Nicola Maria. Lo Spreti nella sua enciclopedia     araldico-nobiliare ricorda il dottor “utroque” Felice     figlio del dottor “utroque” Alberto ascritto ai ruoli dei     Nobili nei libri del Reggimento dell’Università di Reggio (Libri     del reggimento della Università di Reggio – Archivio di Stato –      anno 1699 – 1721 – 1734 – rif. Notaio Zuccalà – ruoli nobiliari).     Era padre di Domenico sindaco dei Nobili nell’anno     1751/52, (Nei ruoli nobiliari del 1737 – 1742 – 1755 – 1757 –      Archivio di Stato – Spanò Bolani Domenico – storia di Reggio     Calabria) che resse la città in momenti di grande     difficoltà, superando con abilità un periodo caratterizzato da     aspre contese sociali. Dal Catasto Onciario del 1748 si rileva     che la famiglia, oltre ad essere tra le più cospicue, si alleò     con quelle più influenti della città. Inoltre si imparentò con     famiglie nobili della vicina città di Messina. Appartengono al     casato Giuseppe alfiere del 7° Reggimento Fanteria di     Linea “Napoli”, Pasquale alfiere dell'8° battaglione      “Cacciatori” hanno partecipato alla difesa del Regno     dall’invasione piemontese nella campagna del 1860/61. E’ del     1797 il matrimonio tra il patrizio reggino don Giuseppe e     la nobile di Messina Lucrezia Granata, il cui figlio Felice,     magistrato e letterato, sposò la nobile messinese Agata Donato     dei Baroni di Migliardo; patriota fervido, di pensiero ed     azione, visse tra persecuzioni e pericoli, nel 1848 fu     segretario del comitato rivoluzionario locale; durante la     dittatura di Garibaldi fu nominato giudice di Gran Corte e dopo     l’Unità d’Italia presiedette a Catanzaro la prima Gran Corte     Criminale che funzionò nell’Italia meridionale. Il figlio On.     Giuseppe, avvocato e oratore insigne, entrò nella vita     pubblica: fu eletto la prima volta consigliere comunale a 24     anni e venne sempre riconfermato fino alla istituzione del     podestà. Più volte assessore e sindaco della sua città;     consigliere e Presidente dell’Amministrazione Provinciale;     deputato del Regno al Parlamento. Unico sindaco nella storia di     Reggio Calabria ad essere eletto unanimemente dall’intero     Consiglio. Il suo nome resta indissolubilmente legato alla     ricostruzione di Reggio, dopo il catastrofico terremoto del 28     dicembre 1908. Famiglia riconosciuta nobile col titolo di nobile     di Reggio Calabria con D. M. del 7 giugno 1928.  
Iscritta     nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana, iscritta nell’Elenco     Ufficiale Nobiliare Italiano anno 1922. 
    N.d.A.: si ringrazia il signor Francesco Valentino per le     ulteriori notizie fornite che hanno ampliato la storia del     casato 
Arma:     d’azzurro al leone al naturale rivoltato, movente dalla cima     di un monte di verde, mirante il sole nel cantone sinistro del     capo (Riconoscimento del 7 giugno 1928). 
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Titoli: nobile 
Dimora: Palermo 
Si crede che questa famiglia     discenda dai Paleologo, imperatori dell’impero Romano d’Oriente,     e sia discesa due volte in Sicilia, la prima volta ai tempi di     Federico II d’Aragona, poi con Alfonso; Vassallo, figlio     di Giacomo, possessore del feudo di Bavuso nel 1296;     Giovanni giurato di Siracusa negli anni 1403/4 e 1406/7;     Stefano senatore di Palermo anni 1517/8 1526/7; Giovan     Matteo capitano d’arme nel 1601; Ludovico governatore     del Monte di Pietà di Palermo anni 1611/13, governatore della     Tavola Pecuniaria (Banca centrale) nel 1616, senatore in Palermo     1615/6; LUIGI con privilegio del 3 settembre 1670 ottenne il     titolo di barone di San Bartolomeo; Nicolò barone di Lago     di Scicli in data 3 marzo 1778; Bartolomeo senatore di     Palermo anni 1756/76, rettore ospedale Grande, rettore     dell’Opera di Navarro nel 1777, governatore della Tavola     Pecuniara 1785; Giuseppe Maria cavaliere dell’Ordine di     Malta; Ignazio senatore di Palermo 1824. 
Iscritta nell’Elenco     Ufficiale Nobiliare Italiano anno 1922. 
    Arma:          d’azzurro troncato da un filetto di nero: nel 1° alla croce     d’oro, caricata nella parte superiore del monogramma     costantiniano di rosso, ed accostata in punta da due mezzelune     montanti d’argento; nel 2° al leone accompagnato in punta da due     gigli ed attraversato da una sbarra, il tutto d’oro. Intorno     allo scudo la bordura d’oro carica del motto “In hoc signo     vinces” di nero, intramezzato da quattro torri dello stesso     cimate da una bandiera d’argento, crociata di rosso, svolazzante     a sinistra. 
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Titoli:      conte di Salso, di Santa Maria Ingrisone 
Dimora:      Napoli, Benevento 
Di origine ellenica, venuta nel     Napoletano nel XIII secolo a seguito dell’invasione turca     dell’Epiro. La prime notizie certe si hanno dal 1255 con     l’iscrizione del casato al seggio di Porto tra le famiglie     Acquarie. Egidio giustiziere di Terra di Lavoro e del     Contado del Molise nel 1268; Alfonso “familiare” di re     Carlo II d’Angiò, giustiziere di Terra di Bari; Cola tra     i diplomatici inviati da Napoli in Francia per chiamare Renato     d’Angiò alla successione della regina Giovanna II; Paolo     familiare del Re, ambasciatore in Roma, Francia, Polonia, ed     Ungheria,giustiziere in Abruzzo, provveditore generale     dell’esercito nella guerra contro Carlo VIII di Francia;     Luigi tra i cavalieri che parteciparono alla riconquista di     Gaeta nel 1496. Ferrante capitano di ventura nelle     Fiandre nel 1594; Pietro cavaliere dell’Ordine di San     Giacomo nel 1624. Il casato ricevuto nell’Ordine di Malta dal     1644. Francesco Antonio capitano i galee morì eroicamente     in combattimento nella battaglia di Lepanto del 5 ottobre 1571. 
    Arma:      di     verde al leone d’argento a tre bande di rosso attraversante il     tutto. 
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 dell’Ufficio Tecnico del Comune di    Napoli dal 1883 al 1900, ispettore delle opere del “Risanamento”     della città di Napoli, perito tecnico dell’Avvocatura Municipale,    direttore dell’Ufficio Tecnico del Risanamento 1900/7, professore    onorario della Scuola Superiore di Architettura delle Belle Arti di    Napoli, autore della prima ricerca documentata sulle profondità e    caverne della città di Napoli con il tomo dal titolo “Napoli    Sotterranea” edito nel 1889; Emanuele ideatore della prima    linea ferroviaria dell’Appennino (Napoli – Bari – Brindisi) di cui    ne ebbe la concessione da re Ferdinando II di Borbone; Giulio    Cesare progettò per la città di Napoli via Partenope, via    Caracciolo, la ferrovia Cumana a fine del XIX secolo. 







































