di Andrea Giacobazzi - http://radiospada.org/
Piuttosto frequente risulta essere l’analisi volta ad indagare l’influenza dell’eresia sulla politica, ovvero come l’errata teologia tenda – procedendo dall’alto verso il basso – a determinare una degenerazione di stampo ideologico e, inevitabilmente, politico. Più raro, ma forse più interessante, risulta essere lo sguardo inverso, ovvero: come la prassi politica – talvolta - consolidi e agevoli la strutturazione delle eresie.
Appare ormai assodato il rapporto tra peccato, o meglio, tra il vizio privato e la sua pubblica apologia, tra quest’ultima e la sua generale accettazione e, a coronamento, la proposizione teorica dell’accettabilità o addirittura della necessità dello stesso. Si attribuisce a François de La Rochefoucauld la famosa frase: “L'ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù”. Il concetto è inoppugnabile: l’ipocrisia, pur da condannarsi moralmente, rappresenta l’ultimo argine che contiene la dilagante accettazione dell’errore, essa rimarca la coscienza della gravità di un fatto. La decadenza post-medievale fu il lento e progressivo svilupparsi di questa dinamica: ciò che prima era considerato sbagliato fu prima tollerato, poi istituzionalizzato.
Più che di vizi privati però in queste poche (e non esaustive) righe si vuole puntare l’occhio sulle scelte sociali. Difficile non riconoscere nella radice dell’ecumenismo e dell’indifferentismo quella tolleranza religiosa seguita alla pace di Westfalia del 1648 - quando si sancirono i principi della “coabitazione” continentale tra cattolici e protestanti - e quello del cujus regio ejus religio. La scelta politica del resto fu inevitabile, fu il “male minore” verso il quale si optò per scongiurare una guerra fratricida che avrebbe decimato la popolazione dell’epoca. Ma insinuò l’idea dell’indifferenza: “quella regione è protestante perché il re è protestante”. La tolleranza religiosa, pur accettabile in sé, fu il primo passo per il liberalismo religioso. A Westfalia troviamo la radice - ineludibile ma indigesta - della nascita dell'Europa per come la intendiamo, ovvero l'anti-Cristianità. Sancire lo stato di fatto ha avuto il significato di elevarlo simbolicamente, quindi legittimarlo.
Se l'Inghilterra tradì con lo scisma di Enrico VIII non fu solo per una ragione estemporanea, per “le mogli del re”. Certamente vi era un vizio privato che venne elevato a sistema, certamente quello che era stato definito il “Defensor Fidei” tradì personalmente la sua Fede, ma ciò che accadde in quel tempo fu probabilmente anche il risultato di un processo di sedimentazione che procedeva dal martirio “anti-romano” di San Tommaso Becket, oltre che da elementi di “utilità” generale.
Non si può non rinvenire in un certo protonazionalismo, magari ancora accettabile e dalle tinte più “patriottiche” che particolariste, la radice del nazionalismo stesso e infine della filosofia che determinò la “statolatria pagana” condannata da Pio XI. Da molte parti addirittura il Cardinale Richielieu fu indentificato come uno dei fautori politici inconsapevoli del futuro dilagare del particolarismo nazionale.
Sempre restando in ambito francese, non si può considerare un caso il fatto che nel bel mezzo della Guerra dei Cent’anni i francesi si fecero un loro "Papa" causando lo Scisma d’Occidente, ancor meno casuale è la sbandata anti-universalista - quindi anti-cattolica - che determinò il gallicanesimo, le cui implicazioni sull’autorità romana non sono solo scismatiche ma sostanzialmente eretiche, dato l'indebolimento del ruolo del Pontefice che esse sottendono.
Ogni scisma nasce dalla negazione di un elemento di Fede condivisa circa questo o quell’aspetto dell’autorità, ma - anche in funzione dello sviluppo politico - uno scisma può favorire in maniera quantitativamente e qualitativamente diversa l’insorgenza d’eterodossia. Facendo una brutale semplificazione, si può notare come gli scismatici orientali, accomunando alla diversa posizione sull’autorità una diversa posizione geografica, diedero luogo a risvolti sociali, intellettuali e teologici minori rispetto alla deflagrazione del luteranesimo nel cuore del Continente. Non solo perché la dottrina ne risultò meno alterata ma perché determinarono una commistione sociale inferiore, non causando quella “liberale” e “reciproca” condivisione che avrebbe poi reso più accettabile un certo indifferentismo. Oltre a questo si tenga presenta la “contaminazione” ideologica favorita dagli scambi continui in un dato territorio: valga per tutti l’esempio della protestantizzazione del clero tedesco e olandese negli ultimi decenni.
Che dire poi dell'eresia americanista condannata da Leone XIII? Non è essa il frutto della mentalità politico-sociale degli Stati Uniti? Non ne è, in larga parte, la trasposizione teologica? L'attivismo e il carattere "multiconfessionale" non ne sono le radici?
Facilmente si può notare come nel caos della modernità le cause si intreccino talvolta con gli effetti e si saldino vicendevolmente nella confusa spirale cui assistiamo. Del resto, sempre restando in tema di americanismo - non solo religioso - risulta arduo non riscontrare come il luteranesimo, così come il calvinismo o l'anglicanisemo abbiano corrotto i popoli, ben oltre la loro prospettiva teologica. Si può dire che sia la loro mentalità ad aver trionfato, più che la loro "ideologia". La prostestanizzazione della società, pur in assenza di adesioni formali a queste comunità ormai ridotte ai minimi termini, è continuamente riscontrabile: il mondo risente di un certo "liberalismo" post-protestante, più di quanto la "comunità dei popoli" possa approvare la fede eretica di Lutero e del ginevrino.
Anche in relazione alla Massoneria va riscontrato come, sebbene essa sia una delle cause degli sviluppi nefasti della modernità, le implicazioni di molte sue battaglie siano state determinate o largamente favorite da approcci politici che ne hanno preceduto la fondazione operativa o che, in modo indipendente, ne hanno accompagnato la crescita. Il carattere teologico-indifferentista della setta non avrebbe avuto uguale fortuna senza la frammentazione dell'unità religiosa del Vecchio Continente e probabilmente non avrebbe avuto nell'area nordamericana la sua terra-madre adottiva se in quei territori non fosse stato sistematizzato nell'ordine sociale precedentemente descritto (dove la Chiesa era deliberatamente separata dallo Stato).
In conclusione è inevitabile ribadire come in molti contesti l'ortoprassi politica non solo sia un argine volto a trattenere (katéchon, dal greco antico τὸ κατέχον: ciò che trattiene) e depotenziare gli effetti determinati dagli errori dottrinali di tipo prepolitico e metapolitico ma possa essere un valido antidoto allo sviluppo di ulteriori devianze. Va però contemporaneamente notato che, in campo sociale, l'accettazione o la tolleranza del "male minore" - quandanche non in contraddizione con i principi cattolici - abbia frequentemente determinato la legittimazione politica di "mali maggiori" nei tempi successivi.