giovedì 11 luglio 2013

“Gabriel Garcia Moreno: la politica al servizio della Regalità sociale di Cristo”

 
 
 
162° Conferenza di formazione militante
a cura della Comunità Antagonista Padana
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
Giovedì 27 ottobre 2011 ore 15.30
Università Cattolica del Sacro Cuore
Dopo un’ampia ed appassionata ricostruzione biografica della vita del presidente equadoregno, sono stati letti e commentati da Roberto Marcante ampi stralci del necrologio pubblicato da “La civiltà cattolica” in occasione del suo barbaro omicidio (per mano di sicari massonici).
 
La Civiltà Cattolica, serie IX, vol VIII, fasc.609, 26 ottobre 1875, pagg. 257-269, Firenze 1875
GARCIA MORENO
I.
L’atroce misfatto, commesso sulla persona di Garcia Moreno, presidente della repubblica dell’Equatore, contristò di acerbo dolore tutti gli animi bennati. I soli liberali lo narrarono nei loro fogli con indifferenza; e non mancò tra loro chi intitolasse l’annunzio che ne dava: Una vittima del Cuor di Gesù; alludendo, con la procace ironia, all’atto, onde quel pio avea consecrato il popolo, da lui retto, al Cuore adorabile del Signor nostro. Ma, tranne queste anime nere, le quali, poichè odiano Dio, non possono amare gli uomini; niuno che avesse almeno ammirazione per la morale grandezza, ha potuto contenersi dal deplorare la morte di quest’uomo straordinario. Morte tanto più da compiangersi, in quanto avvenuta, non per necessità di natura, ma per vile assassinio, ordinato dai nemici del bene, che nel Moreno odiavano non meno il sapiente politico che il perfetto cattolico. Il Times da un dispaccio di Parigi del 5 di ottobre riporta la seguente comunicazione. «Da informazioni autentiche ricevute, sembra che Garcia Moreno, già presidente della repubblica dell’Equatore, sia stato assassinato da una Società segreta, che ha le sue ramificazioni in tutta l’America meridionale ed anche in Europa. Si tirò a sorte chi dovesse essere l’uccisore, il quale penetrò nel palazzo presidenziale del Quito. Uno dei complici, un uffiziale, il quale fu arrestato dopo l’assassinio, venne assicurato dal presidente della Corte marziale, prima di essere processato, che avrebbe salva la vita se denunciasse i suoi complici. –– La mia Vita? egli rispose, sarebbe indarno; poichè se voi la risparmiaste, i miei complici non lo farebbero. Preferisco morire fucilato ad essere pugnalato [1].» Questa decisione settaria di assassinarlo fu conosciuta dal Moreno, prima della sua morte, e notificata al Sommo Pontefice in una sua lettera, che riporteremo più sotto.
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Gabriel Garcia Moreno.
L’illustre uomo avea retta la repubblica dell’Equatore per ben quindici anni; prima in qualità di Dittatore, e poscia due volte consecutivamente in qualità di Presidente; al quale ufficio veniva ora rieletto la terza volta, per voto unanime di quella nazione. Egli avea ricevuto lo Stato in condizione oltremodo miseranda, ed attesa l’altezza del suo genio, la solerzia del suo operare, la costanza de’ suoi propositi, e soprattutto la sua pietà e confidenza in Dio, l’avea riordinato non pur nei costumi, ma in tutte le parti della politica amministrazione, e reso modello di una società veramente civile e cristiana. Egli si proponeva di condurre a termine l’opera incominciata; e ben poteva fare assegnamento sul concorso del suo popolo, da cui era venerato ed amato fuor di misura. Ciò non poteva tollerarsi dal moderno Liberalismo [2]; il quale vedeva così felicemente, in un angolo del nuovo mondo, risoluto il problema, che tanto si studia di ravviluppare, dell’armonia tra la civiltà e il cattolicismo, tra la prosperità temporale e la pietà religiosa; tra l’obbedienza alla legge civile e l’illimitata soggezione alla santa Chiesa di Dio. Ciò era uno scandalo da non tollerarsi nel moderno progresso; e tanto più, in quanto colla forza dell’esempio avrebbe potuto contrariare anche in altri paesi tutti i disegni della setta.
Essa dunque decise la morte dell’uomo, che osava tanto, e che non era possibile arrestare per altra via; giacchè tutti i tentativi, fatti per intimorirlo, o almeno per discreditarlo presso il popolo, erano tornati in vano. Il Moreno presentì il colpo che lo attendeva; ma lungi dallo sgomentarsene, ne trasse conforto a persistere irremovibile nell’impresa, riputando somma ventura il dar la vita per una causa sì santa. Nell’ultima lettera, che egli scrisse al Pontefice, poco prima d’esser colto dal ferro dell’assassino, tra le altre cose scriveva: «Imploro la vostra Apostolica benedizione, o Santissimo Padre, essendo stato, senza mio merito, rieletto a governare per altri sei anni questa cattolica Repubblica. Quantunque il nuovo periodo non abbia principio che al 30 di agosto, perchè in quel giorno io presto il giuramento costituzionale, ed allora soltanto sarebbe mio dovere darne officiale partecipazione alla Santità Vostra; ciò nonostante voglio fin da quest’oggi comunicarle la mia rielezione, affin di ottenere dal cielo la forza e i lumi, di cui più che qualunque altro, ho bisogno per conservarmi figliuolo del Nostro Redentore e leale obbediente al suo Vicario infallibile. Ora che le Logge dei paesi vicini, istigate dalla Germania, vomitano contro di me ogni sorta d’ingiurie atroci e di orribili calunnie, procurando segretamente i mezzi di assassinarmi, ho più che mai bisogno della protezione divina, per vivere e morire in difesa della nostra santa religione e di questa diletta Repubblica, che Iddio mi ha confidato a governare. Qual fortuna è per me, Beatissimo Padre, quella d’essere abborrito e calunniato per cagione del nostro divin Redentore; e quale immensa felicità sarebbe per me, se la Vostra benedizione mi ottenesse dal cielo di spargere il mio sangue per Colui, che, essendo Dio, volle versare il suo sulla Croce per noi [3]!» L’eroico desiderio del fervente cristiano, fu esaudito; egli è stato, trucidato dai nemici di Cristo, in odio del suo zelo per la restaurazione della civiltà cristiana, e del suo fervente amor per la Chiesa. Egli è vero martire di Cristo. E non sono per simil causa annoverati tra i martiri san Venceslao re di Boemia, e san Canuto re di Danimarca? Ambidue questi principi furono uccisi nel tempio; e nel tempio, d’onde poco innanzi era uscito, fu ricondotto il Moreno ad esalar la grand’anima in seno a Dio.
II.
La civiltà massonica vuole la società senza Dio. Le conquiste del progresso, da lei appellate preziose, sono state fin qui la separazione dello Stato dalla Chiesa, la libertà dei culti, la secolarizzazione della pubblica beneficenza, l’esclusione del Clero dall’educazione e dall’insegnamento, la soppressione degli Ordini religiosi, la supremazia della legge civile, senza verun rispetto alla legge evangelica. Non altrimenti che per questa via può conseguirsi la felicità dei popoli, la prosperità dello Stato, gl’incrementi della moralità e della scienza. Son queste le massime fondamentali della coltura liberalesca. Ora il Moreno avea dimostrato col fatto, e sempre più andava dimostrando che, tutto al contrario, la società tanto più godrà pace, prosperità, grandezza, quanto più sarà devota a Dio e obbediente alla Chiesa. Che la soggezione all’uno e all’altra, lungi dal menomare, tutela ed aggrandisce la vera libertà dell’uomo. Che l’ingerenza del Clero assicura e promuove, non solo la moralità de’ popoli, ma ogni sorta d’incremento nelle lettere e nelle scienze. Che gl’interessi terreni non mai stanno meglio, che quando sono subordinati agli interessi del cielo. Che l’amor della patria non è mai così operoso, come quando è nobilitato dall’amor della Chiesa.
Uomo di altissimo ingegno, ampiamente coltivato nell’Università di Parigi, il Moreno nella sua patria era salito per tutti i gradi della scala sociale. Egli era stato professore di scienze naturali, rettore dell’Università, deputato, senatore, comandante in Capo dell’esercito, dittatore, presidente della Repubblica. In quest’ultimo ufficio, in cui forse per la volontà della nazione sarebbe stato ritenuto tutta la vita, egli mostrò ciò, che possa il genio avvalorato dalla religione. Sua prima cura fu di ristabilir la pace nel paese, senza la quale non è possibile verun progresso civile; e vi riusci, non coi compromessi, come si suole oggidì, e coll’amalgama mostruosa dei diversi partiti, ma colla leale e ferma proclamazione dei principii di morale e di giustizia e coll’aperta e piena professione del Cattolicismo. L’esito fu sì felice, che in breve tempo lo Stato dell’Equatore giunse a si stabile tranquillità, che sembrava un prodigio tra le agitate e turbolente Repubbliche circonvicine.
Tranne alcuni locali e inefficaci tentativi di sommossa nel tempo della sua prima presidenza (a sedare i quali bastò porre per soli cinquanta giorni in istato d’assedio alcune province meridionali), in tutto il resto del suo lungo Governo lo Stato dell’Equatore non fu turbato da nessuna sedizione. Ciò avveniva, perchè la luce delle sue virtù private e pubbliche era sì sfolgorante, che vinceva ogni nebbia, addensatavi intorno dall’invidia o dal livore, e gli attirava l’affetto fin de’ suoi avversari politici. Egli casto, magnanimo, giusto, imparziale, di perspicacità sì notoria, che spesso i popolani lo fermavano per le vie, acciocchè decidesse lì su due piedi le loro private contese, e ne accettavano la sentenza. Il suo disinteresse sembrerebbe favoloso, nella smodata cupidigia de’politici moderni. Nei sei anni della sua prima presidenza non volle toccar soldo della lista civile, contento di vivere del modesto suo patrimonio. Nella seconda presidenza accettò lo stipendio; ma lo erogò quasi tutto in ispese di pubblica utilità. E a questa pubblica utilità egli consacrava tutto il suo tempo; sicchè a coloro, i quali lo esortavano a non logorarsi la vita con sì diuturno lavoro, soleva rispondere : –– Se Iddio vuole che io mi riposi, mi manderà una malattia o la morte.
Con questa infaticabile assiduità e col suo ardente amore del pubblico bene, egli potè imprendere e terminare opere che sembrerebbero incredibili, se l’evidenza del fatto non escludesse ogni dubbio. Nel numero 1375 dell’Univers, troviamo un elenco delle principali cose, operate da questo grand’uomo in poco tempo. Esso enumera le seguenti:
–– Riforma della Costituzione.
–– Esazioni delle dogane convertite in rendita nazionale, e non più, come per l’innanzi, provinciale.
–– Rappresentanza nazionale fondata sulla popolazione totale del paese, e non sul privilegio delle città.
–– Stabilimento d’una Corte di conti.
–– Organizzazione delle Corti di giustizia.
–– Fondazione d’una grande scuola politecnica, affidata in parte a professori Gesuiti.
–– Creazione d’uno Osservatorio astronomico, costruito e diretto dai Gesuiti. Cotesto stabilimento è uno dei più belli e dei meglio forniti che siavi al mondo. A causa della posizione del Quito, Garcia Moreno, versatissimo nelle scienze matematiche, volle renderlo incomparabile. Egli comprò col proprio danaro la più parte degli strumenti.
–– Strade di comunicazione e vie. Garcia Moreno ha fatte e pressochè finite cinque grandi strade. La principale, quella da Guayaquil a Quito, si stende per ottanta leghe. Essa è lastricata e conta centoventi ponti. È un lavoro solido e stupendo, le cui difficoltà sembravano insuperabili.
–– Fondazione di altre quattro nuove Diocesi.
–– Concordato colla Santa Sede.
–– Riforma del Clero regolare. Ristabilimento della vita comune e dello Stato monastico.
–– Formazione dell’armata. L’armata era un ammasso, che non aveva nè organizzazione, nè disciplina, nè uniformità, nè perfin calzatura. Essa ora è organizzata alla francese, abbigliata, calzata e disciplinata; essa è l’esempio e la salute del paese.
–– Stabilimento d’un faro a Guayaquil. Non v’era innanzi alcun faro in tutta la costa.
–– Riforma dell’amministrazione delle dogane. Moralità ristabilita, rendita triplicata.
–– Collegi in tutte le città; scuole fin nei villaggi più piccoli; per tutto i Fratelli della dottrina cristiana.
–– Scuole per le ragazze; Suore della Carità, del Sacro Cuore, del Buon Pastore, della Provvidenza, Piccole Suore dei poveri.
–– Pubblici Spedali. Durante la sua prima presidenza, Garcia Moreno destituì il direttore dell’Ospedale di Quito, il quale avea ricusato di ricevere un povero ed era molto negligente nel suo ufficio. Quindi si fece nominare direttore in suo luogo. Egli visitava l’ospedale tutti i giorni; riformò il servizio e lo pose sopra buon piede. Egli vi esercitò molti atti di eroica carità.
–– Mantenimento ed accrescimento delle Congregazioni laicali. Egli era membro attivo della Congregazione dei poveri.
–– Creazione di quattro Musei.
–– Il protettorato cattolico, vasta e magnifica scuola di arti e mestieri, a norma di S. Michele di Roma, tenuta dai Fratelli della dottrina cristiana.
–– Convenzioni postali con diversi Stati.
–– Abbellimento e ripulimento delle città. Guayaquil e soprattutto Quito sembrano interamente trasformate.
E tutte queste cose egli ha compito, non solo senza crescere le imposte, ma scemandone alcune. Ecco perchè il popolo lo amava tanto, e lo acclamava qual padre della patria, e ristoratore della Repubblica. Ma ciò appunto costituiva in lui un peccato gravissimo, irremissibile, da punirsi prontamente con esemplare gastigo; sicché incutesse spavento a chiunque si sentisse per avventura tentato d’imitarlo nel governo dei popoli. La civiltà massonica ne sarebbe stata altrimenti rovinata nella pubblica opinione.
III.
Il Moreno fu sì amante della patria e sì operoso in bene di lei, perchè era profondamente religioso. Chi ama Dio, ama il prossimo; e chi ama focosamente Dio, ama in egual modo il suo prossimo e sacrifica sè stesso in bene di lui, perchè in lui mira l’immagine e l’eredità di Dio.
Già fin da quando attendeva agli studii in Parigi, si fe’ ammirare per la sua pietà religiosa. In patria, tra le continue e gravi cure del Governo, sapea trovare il tempo per assistere al divin sacrifizio ogni mattina, e recitare il rosario la sera. Nei familiari discorsi parlava spesso di Dio, della religione, della virtù, e con sì focose parole da scaldarne il petto di quanti lo udivano. Prima di recarsi agli affari, entrava in Chiesa ad implorare lume dal fonte d’ogni sapienza; e dalla Chiesa appunto usciva, allorchè il ferro omicida lo attendeva in agguato. Questo suo fervor religioso produceva in lui quello zelo per la gloria di Dio, e quella devozione illimitata al Vicario di Cristo, che più non avria potuto il più amoroso figliuolo verso il proprio padre. Basti dire, che quando trattossi di conchiudere il Concordato colla Santa Sede, mandò a Roma il suo incaricato con un foglio in bianco, da lui sottoscritto, colla commissione di dire al Papa, che vi scrivesse tutto ciò che credeva giusto e conducente al ben della Chiesa e alla felicità vera del popolo. Tanta era la fiducia, che egli collocava nel Vicario di Cristo; verso cui la mondana politica non sa usare che diffidenza stoltissima e gelosia, quasi che trattasse con un ambizioso straniero e non col padre comune dei fedeli. Allorchè poi la rivoluzione trionfante entrò in Roma per la breccia di Porta Pia, Garcia Moreno fu il solo, tra i Governanti, che osò protestare solennemente contro la sacrilega invasione, ed a sussidio dello spogliato Pontefice fe’ sancire dal Parlamento una somma non lieve, da offrirglisi mensilmente qual tributo di amore.
Ma la pietà verso Dio e l’amor filiale verso la Chiesa, più che dalle nostre parole, può rilevarsi dal messaggio, che poche ore prima della morte il Moreno avea finito di scrivere, per recitarlo in Parlamento, e che dopo l’assassinio gli fu trovato indosso, intriso del proprio sangue. Benchè lungo, stimiamo di doverlo qui riportare, come monumento imperituro, da servire almen di rimprovero ai falsi politici presenti e futuri. Il messaggio diceva cosi:
«Senatori e Deputati. Tra tutti i grandi beni, che Iddio accorda alla nostra Repubblica nell’inesauribile abbondanza della sua misericordia, io stimo massimamente quello di vedervi riuniti sotto la sua protezione tutelare, all’ombra della pace, che ci concede e ci conserva, ancorchè noi non siamo nulla, non possiamo nulla, e non sappiamo rispondere alla sua paterna bontà, che con inescusabile ed ontosa ingratitudine.
«Sono appena trascorsi alcuni anni, che l’Equatore ripeteva ciascun giorno le tristi parole, che il liberatore Bolivar indirizzava, nel suo ultimo messaggio, al Congresso del 1830: Io arrossisco di confessarlo: l’indipendenza è il solo bene, che noi abbiamo acquistato, a prezzo di tutti gli altri.
«Ma dopo che, mettendo in Dio tutta la nostra speranza, noi ci siamo allontanati dalla corrente d’empietà e d’apostasia, che trascina il mondo in quest’epoca d’accecamento, e che nel 1869 ci siamo riorganizzati in nazione veramente cattolica; tutto va cangiando di giorno in giorno pel bene e per la prosperità della nostra cara patria.
«L’Equatore era altra volta un corpo, da cui si ritirava la vita; e che, a guisa de’ cadaveri, si vedeva divorato da quella moltitudine d’orridi insetti, che la libertà della putrefazione fa nascere continuamente nell’oscurità del sepolcro. Ma oggidì all’impero di quella voce sovrana che comandò a Lazzaro di uscire dalla sua fetida tomba, esso altresì ritorna alla vita, ancorchè ritenga tuttavia i ligamenti e il lenzuolo della morte, cioè a dire i residui della miseria e della corruzione, nella quale noi eravamo sepolti.
«Per giustificare le mie parole, basterà che io vi renda un conto sommario dei progressi, da noi fatti in questi due ultimi anni. rimettendomi alle informazioni speciali di ciascun ministero per tutto ciò che ne concerne i documenti ed i particolari. Ed affinchè si vegga esattamente quanto noi ci siamo avanzati in questo periodo di rigenerazione ; io paragonerò lo stato presente col punto, da cui prendemmo le mosse; non per glorificar noi, ma per glorificare Colui, al quale noi dobbiamo tutto e che noi adoriamo come nostro Redentore e nostro Padre, come nostro Protettore e nostro Dio.»
(Qui viene l’enumerazione di tutti i vantaggi ottenuti, quindi prosegue)
«Alla libertà perfetta, di cui gode la Chiesa presso noi, e allo zelo apostolico dei nostri virtuosi Pastori noi dobbiamo la riforma del Clero, il miglioramento dei costumi e la diminuzione dei delitti; sicchè in una popolazione di più d’un milione d’abitanti non si trova un numero di rei, bastevole ad abitare la penitenzieria.
«Alla Chiesa noi dobbiamo ancora queste corporazioni religiose, che producono sì gran copia di felici frutti per l’insegnamento dell’infanzia e della gioventù e pel soccorso, di cui son prodighe agl’infermi ed ai derelitti. Noi siamo loro debitori sì del rinnovamento dello spirito religioso in quest’anno di Giubileo e di santificazione, e sì della conversione alla vita cristiana e civile di 9,000 selvaggi della provincia orientale, ove è urgente, a motivo della sua immensa estensione, di stabilire un secondo Vicariato. Se voi mi autorizzate a sollecitare questa fondazione dalla Santa Sede, noi consulteremo poi intorno a ciò che è opportuno per promuovere il commercio di questa provincia, estirpandone, come è stato di già fatto, le speculazioni e le esazioni violente, a cui i suoi poveri abitanti sono esposti per la crudeltà di trafficanti inumani. Tuttavia mancano gli operai; e per formarli nel modo che conviene, egli è giusto che veniate in aiuto annualmente al nostro venerando e zelantissimo Arcivescovo, per la costruzione d’un gran Seminario, che egli non ha esitato a cominciare, confidando nella protezione del cielo e nella nostra efficace cooperazione.
«Non perdete mai di vista, o legislatori, che tutti i nostri piccoli successi sarebbero effimeri ed infruttuosi, se noi non avessimo fondato l’ordine sociale della nostra repubblica sulla roccia, sempre combattuta e sempre vincitrice, della Chiesa cattolica. Il suo insegnamento divino, che nè gli uomini nè le nazioni non possono mai rinnegare senza perdersi, è la regola delle nostre istituzioni, è la legge delle nostre leggi. Figli docili e fedeli del venerando Vegliardo, del Pontefice augusto ed infallibile, che tutti i potenti abbandonano, mentre che una vile e codarda empietà l’opprime, noi abbiam continuato ad inviargli ciascun mese il piccolo soccorso pecuniario, che voi gli avete destinato nel 1873. Poichè la nostra debolezza ci obbliga a restare spettatori passivi del suo lento martirio, questo nostro povero dono gli sia almeno una prova del nostro affetto, della nostra affezione, e gli sia pegno della nostra obbedienza e della nostra fedeltà.
«Io compirò tra pochi giorni il periodo del mandato pel quale io fui eletto nel 1869. La repubblica ha goduto sei anni di pace, interrotta solamente per alcuni giorni a Riombamba pel sollevamento della razza indigena contro la razza bianca nel 1872; e in questi sei anni ella ha camminato spigliatamente per le vie del vero progresso, sotto la protezione visibile della Provvidenza. I risultati ottenuti sarebbero stati certamente più grandi, se io avessi posseduto, per governare, le qualità che sventuratamente mi mancano, o se, per fare il bene, bastasse desiderarlo con ardore.
« Se io ho commesso difetti, io ve ne domando perdono mille e mille volte, ed io lo dimando con sincere lacrime a tutti i miei compatriotti, essendo ben persuaso che la mia volontà non ci ha avuto parte. Se al contrario voi credete che io sia riuscito in qualche cosa, attribuitene da prima il merito a Dio e all’Immacolata dispensatrice dei tesori inesauribili della sua misericordia, e poscia in secondo luogo attribuitelo a voi stessi, al popolo, all’armata, e a tutti quelli che, nei differenti rami dell’amministrazione, mi hanno secondato con intelligenza e fedeltà nel compimento de’ miei difficili doveri.
Quito Agosto 1875.
Gabriele Garcia Moreno.»
Ecco come sa parlare un governante cattolico, anche nel secolo decimonono. Vi sembra proprio di udire il linguaggio di san Ferdinando Re di Castiglia, o di alcun altro dei santi Re dei tempi più felici del cristianesimo. Giustamente dunque il Governo dell’Equatore, nel pubblicare cotesto messaggio, trovato, come dicevamo, indosso al cadavere del Moreno, il fe’ seguire dalla seguente nota: «Il messaggio, che precede, è la voce solenne di un morto, o per dir meglio, è il suo testamento suggellato materialmente col suo proprio sangue; poichè il nobile magistrato lo avea poco prima scritto di propria mano, quando venne assalito dagli assassini. Le ultime parole del suo messaggio sono quelle d’un padre in agonia, che benedicendo i suoi figliuoli, volge ad essi uno sguardo supremo, oscurato dalle ombre della morte, e loro dimanda perdono, quasi che egli avesse fatto altro, che colmarli de’ suoi benefizii. Profondamente commossi e turbati dal dolore ci è impossibile trovar parole, capaci d’esprimere i sentimenti del nostro amore e della nostra venerazione per lui. La posterità onorerà senza dubbio la memoria sovrana del gran magistrato, del sapiente politico, del nobile patriota, del virtuoso difensore della Fede, che ci è stato strappato. La patria, degnamente rappresentata dai suoi legislatori attuali, verserà lacrime sopra questa tomba, che racchiude tante virtù e tante speranze, e riconoscente imprimerà sopra un marmo e sopra un bronzo eterno il nome glorioso di questo figlio, che prodigo del proprio sangue non visse che per lei e fu per lei immolato.» Elogio splendidissimo, e che fa degnamente eco alla corona di gloria, onde Iddio avrà cinto certamente nel cielo questo suo martire nell’era moderna.
IV.
Il lettore avrà veduto come questo messaggio di Garcia Moreno è un vero programma di reggimento cristiano; di cui egli fece applicazione alla repubblica dell’Equatore, in opposizione perfetta colle idee e colle aspirazioni del liberalismo moderno. Tutti i capi di esso sono il contrapposto più spiccato del programma liberalesco. Anche a pericolo di ripeterci, vogliamo istituirne qui brevemente il confronto; attesa l’importanza delle conseguenze, che ogni uomo d’intelletto può trarne.
Il Moreno comincia da Dio, e Dio vuole a capo del governo del suo popolo. Il Liberalismo vuole lo Stato ateo, e si vergogna perfino di nominar Dio ne’ suoi pubblici atti. Il Moreno vuole un’intima unione colla Chiesa cattolica, dichiarando che sopra di lei dee fondarsi l’ordine sociale, e che il divino insegnamento della medesima è la norma delle istituzioni umane, e la legge delle leggi civili. Il Liberalismo non pur separa lo Stato dalla Chiesa, ma lo eleva anco sopra di lei; e delle leggi civili fa la norma a cui debbono conformarsi le leggi ecclesiastiche. Fin gli ordinamenti più essenziali della Chiesa assoggetta al capriccio dell’uomo. Il Moreno vuole la libertà piena dei sacri Pastori, e da essa ripete la riforma del Clero e la morigeratezza del popolo. Il Liberalismo vuole inceppata l’azione episcopale, sollecita a ribellione il Clero inferiore verso il Clero superiore, e si sforza di sottrarre il popolo dall’influenza dell’uno e dell’altro. Il Moreno non solo sostiene ma cresce il numero degl’Istituti religiosi. Il liberalismo li abolisce. Il Moreno rispetta la proprietà ecclesiastica, e promuove con sussidii pecuniarii la fondazione di nuovi seminarii, dicendo che non altrove che in essi possono convenientemente formarsi i sacri ministri. Il Liberalismo confisca i beni della Chiesa, e chiude i seminarii e manda i giovani leviti ad educarsi nelle caserme e tra il dissipamento e la licenza della vita militare. Il Moreno affida al Clero ed agli Ordini religiosi l’educazione e l’istruzione, della gioventù. Il Liberalismo secolarizza interamente l’una e l’altra, e prescrive l’esclusione d’ogni elemento religioso. Il Moreno rimuove da un popolo cattolico ogni insidia o scandalo di falso culto. Il Liberalismo promulga la libertà de’ culti ed apre l’adito ad ogni eresia, ad ogni laidezza corrompitrice dei pubblici costumi. Il Moreno riconosce in sè la debolezza, propria dell’uomo, ed attribuisce a Dio tutto il bene che fa. Il Liberalismo, tronfio di orgoglio satanico, si crede capace di ogni cosa e tutto ripete dalle forze dell’uomo. Insomma l’antagonismo tra l’uno e l’altro programma è universale e perfetto.
Or che ci dice l’esperienza? Ci dice che l’applicazione del programma del Moreno ha prodotto la pacificazione, la floridezza, il ben essere morale e materiale d’un popolo, la felicità insomma sociale. Per contrario l’applicazione del programma liberalesco ha prodotto la divisione, degli animi, colla moltiplicità dei partiti, la miseria comune, coll’enormezza dei balzelli, l’immoralità nel popolo, coi pubblici scandali, ed ha spinta la società sull’orlo del precipizio. La libertà che esso ha dato, è quella sì ben definita dal Moreno: la libertà del cadavere, vale a dire la libertà della putrefazione.
E qui salta agli occhi di ognuno la scellerata nequizia e il sozzo modo di argomentare della setta liberalesca. Essa dice che i principii, da essa appellati del medio evo (e sono i principii cattolici, i principii affermati nel Sillabo del Santo Padre, Pio IX) non sono applicabili ai tempi moderni, nè possono più produrre la felicità dei popoli. Or eccoti un governante, Garcia Moreno, che sbugiarda la bestiale sentenza, e coll’evidenza irrecusabile dei fatti dimostra che la felicità de’ popoli vien prodotta coll’applicazione appunto di quei principii. Che risponde a sì cospicua dimostrazione la setta liberalesca? Si adopra da prima a screditare colle invettive e colle calunnie il pericoloso avversario; e vedendo che non riesce per tal via a rimuoverlo dalla vita pubblica, te lo uccide. In tal modo pretende far vera la sua tesi; e quindi torna a gridare con maggior lena, che i principii cattolici non sono adattabili al progresso dei nostri tempi. Certamente, se uccidete quelli che li adattano con buon successo. Che dire pertanto, o lettore, di una setta così fatta, e della sua argomentazione? O pazienza di Dio e degli uomini sì turpemente abusata!
NOTE:
[1] Vedi l’Opinione n. 275.
[2] Diciamo Liberalismo invece di Massoneria; perchè, come si sa, la Massoneria non è altro che il Liberalismo, dotato di organismo settario.
[3] Vedi L’ Osservatore Romano, n. 231.
 
Fonte : http://progettobarruel.zxq.net/novita/11/Garcia_Moreno.html