mercoledì 1 maggio 2013

Un combattente implacabile contro il modernismo: Padre Guido Mattiussi

anonstmichael
 
 
Per ricordarci da dove viene l’attuale crisi ecclesiale –per la sua ampiezza senza precedenti- in ogni suo aspetto,  e in seconda battuta la crisi della cultura occidentale, propongo alcuni passi dalle lezioni di “Apologia della religione” di padre Guido Mattiussi S.J. (1852-1925), attivissimo antimodernista al tempo del grande Papa San Pio X.
In questi passi, come del resto in tutta la sua opera intellettuale ed umana, padre Guido si scaglia con l’ardore del grande apologeta certissimo nella sua Fede contro l’eresia, anzi contro la “sintesi di tutte le eresie”, cioè il modernismo.
E’ infatti sempre da ricercarsi nel gran moto modernista di inizio novecento l’origine prossima di tutta la crisi ecclesiale e anche intellettuale odierna: cento anni fa tutte le derive tremende che noi viviamo quotidianamente e nella Chiesa e nella società era già presenti e praticate.
Con la differenza che allora l’ Autorità vigilava sul gregge e si adoperava in ogni maniera per soffocare gli errori, così da far trionfare la Verità.
 
Il modernista ha i suoi principi filosofici; anzi quelli assume come dottrina fondamentale, per adattarvi tutto il resto che pensa, anche in materia religiosa.  E in filosofia ha raccolto i frutti del mal seme kantiano, ed è venuto all’agnosticismo. Professa dunque di non saper nulla di tutto ciò che passa i fenomeni; non sa nulla dell’anima e della vita avvenire, nulla di Dio. Se nomina Iddio nomina alcunché d’ignoto; non solo quanto al riconoscerne l’infinito eccesso, e nel grado e nel modo, su gli umani pensieri (che sarebbe giusto); ma ancora quanto al non sapere se sia semplice, se sia anima del mondo, se sia distinto dall’universo: checché voglia dire, né pur ne conosce la propria esistenza, ed è vero ateo.
(…)
(Esponendo il modo di ragionare dei modernisti) Che se chicchessia, qualunque cattolico conservatore, la gerarchia della Chiesa, il Pontefice Romano, si ostinino alle formole una volta sancite, certamente è lodevole il loro zelo costante; ma è da disprezzare il pensiero fisso in quelle formole, quasicchè in esse fosse posta la religione. Non sono che simboli, da adattare ai tempi, ai paesi, ai popoli; sono essenzialmente mutabili secondo le condizioni di coloro che vogliono essere religiosi; debbon giovare agli uomini per elevarsi in alto, e per questo debbon seguirli nel loro modo di pensare e di sentire. Che se la Chiesa vorrà ostinarsi a ritenere ciò che valeva pei tempi antichi, il mondo andrà innanzi senza di lei; ovvero essa vivrà miserabile con il rifiuto della umanità, e più non avrà l’assenso di nessuna anima evoluta.
Così essi. E poi hanno voluto applicare l’esposta dottrina al cristianesimo. Gesù di Nazareth, anima squisita, e potente nella sua soavità a influire sugli altri, ebbe l’esperienza religiosa della divina paternità che ha cura di tutte le cose e gli uomini particolarmente. Questo suo sentimento egli comunicò a’suoi discepoli, nei quali perciò si formò il sentimento che quel medesimo Gesù fosse una manifestazione dell’inconoscibile. E perché come giudei avevan pure il pensiero d’un Messia che verrebbe, questo incarnarono in Gesù; egli così diventò oggetto religioso e sacro sotto la forma messianica. Poi quel sentimento di fraternità, sotto la cura del Padre celeste, che è l’essenza del cristianesimo, passò alle regioni ove fioriva la cultura di Grecia; né per esprimere la superiorità di Gesù e l’elemento divino onde pareva dotato, si potè pensare ad altro di meglio che il concetto platonico del Logos, da noi tradotto nel Verbo. Centro della Chiesa diventò Roma, e qui predominava la ragione giuridica, e non si credette di poter onorare Gesù meglio che dicendolo figlio di Dio. In cotali idee si fissò al tradizione cristiana: ma pei nostri tempi, liberi da quei pregiudizi, e portati a concepir tutto con un senso più reale, dicono di voler esaltare Gesù, la più grande figura sorta finora, anzi consentono a chiamarlo Dio, nel senso che egli meglio di tutti si elevò a sentire il divino e ad operare quasi divinamente. – Il filosofo e lo storico rimane certo che Gesù non fu diverso dagli altri mortali; il credente pensa che in lui qualche speciale relazione con l’Inconoscibile ci fosse; il teologo modernista raccoglie che, per chi ci crede, è Gesù un simbolo del divino, simbolo foggiato secondo umani pensieri. Quindi verità simboliche tutti i dogmi di là derivati; quindi riti simbolici quelli che noi diciam sacramenti. E le profezie, varie impressioni dei credenti, riferite all’avvenire; e i miracoli, altre impressioni riferite a fatti storici traviati; e la Chiesa, l’adunanza di quelli che partecipano alle impressioni portate dal Cristo, come i buddisti partecipano l’esperienza interna dell’antico Gotamo Budda,
(…)
Contro l’errore fondamentale che i dogmi dipendano dall’umana filosofia, e che il mantenimento della divina rivelazione sia affidato allo studio e all’ingegno umano, con la conseguenza che deve mutarsi e svolgersi d’età in età, eran già fulminati gli anatemi del Concilio Vaticano, e ora è volto il quarto punto del giuramento (antimodernista). Qui si giura,
1. di ritenere immurata con lo stesso senso delle parole e con lo stesso pensiero, quella dottrina di fede, che dagli Apostoli pei Santi Padri ci fu tramandata;
2. di respingere l’eretica sentenza, che afferma l’evoluzione dei dogmi intesa così che questi passino da uno ad altro senso, facendo mutevoli nel significato le espressioni usate nella Chiesa;
3.di respingere ugualmente l’eresia che invece della santa Chiesa pone a custode della rivelazione, e lo studio filosofico, e la coscienza che l’uomo da sé si va formando, con progresso indefinito.
Tutto questo esplicitamente era già stato detto dal Concilio Vaticano; e soltanto ora (col giuramento antimodernista) si aggiunge quel cenno della coscienza, mentre una volta pareva che con i dogmi avesse da fare solo la scienza. Particolarmente notevole era l’ultimo canone: 
Si quis dixerit fieri posse ut dogmatibus ab Ecclesia propositis aliquando, secundum progressum scientiae, sensus tribuendus sit alius ab eo quem intellexit et intelligit Ecclesia, anathema sit.;con il quale è dannata l’intima essenza del modernismo.
 
 
(Padre Guido Mattiussi s.j. Apologia della religione. Appunti alle lezioni del p.G.M. s.j. tenute nella scuola sociale cattolica. Bergamo 1911. Bergamo stabilimento tipografico s. Alessandro 1912 .pagine 159, 161, 162, 164, 165.)
  
Pacificus.  
 
Fonte: