domenica 7 aprile 2013

Conoscere l'islam (3° ed ultima parte)

CAPITOLO VI
CULTO E ISTITUZIONI

 
l Introduzione
 
Dopo le difficoltà che abbiamo incontrato nel tentativo di definire la teologia dell'islam (molto più complessa e, allo stesso tempo, molto più confusa di quel semplice monoteismo che talvolta si tenta di far credere), questo capitolo dovrebbe apparire meno arduo al lettore. In effetti, il culto, gli obblighi religiosi dell'islam, e - in una certa misura - le sue istituzioni, sembrano molto più semplici da presentare.
 
l Il culto e gli obblighi religiosi
 
preghiera islamica
 
- I cinque pilastri dell'islam
I doveri religiosi essenziali del musulmano sono cinque. Data la loro gravità, essi vengono chiamati i «pilastri» (in arabo arkàn) dell'islam. Essi obbligano il musulmano sotto pena di infedeltà, e sono:
  • La professione di fede (shahàda);
  • La preghiera rituale (salàt);
  • L'elemosina (zakàt);
  • Il digiuno nel mese di ramadàn (sawàn);
  • Il pellegrinaggio alla Mecca (hagg).
A questi conviene aggiungere «il sesto pilastro»:
  • La guerra santa (gihàd).
- La professione di fede
Si tratta di una formula: «Allah è Allàh (Allah è unico) e Maometto è il suo profeta» (in arabo rasùl, e cioè il suo inviato). La prima parte di questa breve formula, colloca l'islam nel gruppo delle religioni monoteiste, mentre la seconda lo contraddistingue affermando la missione profetica di Maometto. Pronunciarla con fede è il primo atto di ogni convertito 129.
 
- La preghiera rituale
Essa è di tre specie: alla prima appartiene la preghiera individuale libera. Ogni credente può, in qualsiasi momento, indirizzarsi ad Allah, senza formule o riti particolari. Alla seconda appartengono le preghiere rituali (salàt): «La tradizione ha fissato il numero di cinque salàt quotidiane: quella dell'alba, quella di mezzogiorno, quella tra mezzogiorno e il tramonto, quella del tramonto, e quella della notte fonda» 130. Dovendo essere eseguite in stato di purezza rituale, esse sono precedute da abluzioni e accompagnate da riti la cui minuzia è indubbiamente imparentata con il ritualismo cavilloso e farisaico dell'ebraismo. Il fedele dev'essere girato in direzione della Mecca (qibla). Egli si inginocchia e si prosterna su di un tappeto, su cui vengono spesso ricamati alcuni versetti del Corano 131. Alla terza, infine, appartiene la preghiera collettiva del venerdì. Essa viene fatta alla moschea, a mezzogiorno, ed è obbligatoria per ogni maschio adulto (le donne non vi partecipano, benché l'accesso alle moschee non sia loro interdetto). Essa è preceduta da allocuzioni pronunciate in arabo dal presidente dell'assemblea (in arabo khatib, ossia «portavoce» o «oratore»). Negli stati musulmani, tale compito viene assolto dal capo di Stato.
 
- L'elemosina
É una specie di tassa sul patrimonio, il cui importo è soggetto ad una precisa regolamentazione. Essa dev'essere destinata a scopi umanitari (ai poveri e agli orfani), ai volontari della guerra santa, o ai potenziali convertiti all'islam. È forse tale obbligo che ha contribuito ad inculcare nei musulmani questa disposizione d'animo che ben conoscono coloro che li hanno frequentati: in un contesto normale, nella routine della vita quotidiana abituale, quando nessun disordine (terrorismo, agitazione politica, ecc...) viene a turbare i rapporti umani, il musulmano è per sua natura caritatevole, accogliente e generoso.
 
- Il digiuno
Il digiuno dura un mese. Esso è unicamente diurno. Il credente deve astenersi totalmente dal cibo, dal bere, dal tabacco e dai rapporti coniugali. Giunta la notte, tutto ridiventa permesso. Esso comincia all'alba e termina al tramonto; diversi mezzi vengono impiegati (i muezzin, i colpi di cannone, ecc...) per dare il segnale dell'inizio e della fine della giornata di digiuno 132. Alcune dispense temporanee sono previste per i casi di malattia, di viaggio, di guerra santa, ecc..., ma si deve poi recuperarli con altrettanti giorni di digiuno supplementare 133.
 
- Il pellegrinaggio
Esso si effettua nell'Hegiaz, e in special modo alla Mecca. Salvo dispensa (per i minorenni, per le donne prive di accompagnatore, o se incombono gravi pericoli), il pellegrinaggio è obbligatorio. Vestito di un indumento speciale, il pellegrino, costretto a determinate astinenze, effettua un itinerario rituale che lo porta in diversi santuari (al piccolo villaggio di Minà e alla valle di Arafat), compresi alcuni giri da farsi attorno alla Caàba. L'ottemperanza a quest'obbligo religioso gli consentirà, in seguito, di fregiarsi dell'invidiato titolo di haggi («pellegrino»), che egli potrà anteporre al proprio cognome. Il pellegrinaggio alla Mecca costituisce il solo centro di raduno e di coordinamento dell'islam ortodosso mondiale, e si stima sia compiuto da circa il 10% dei musulmani.
 
pellegrinaggio alla mecca
 
l Il sesto pilastro: la guerra santa o gihàd
 
- Il suo posto nell'islam merita un approfondimento particolare
Al termine del nostro breve escursus sulla vita di Maometto, abbiamo sottolineato l'originalità dell'islam, che ammette - anzi esalta - l'impiego della forza, della gihàd («sforzo», «impegno»), a scopo proselitistico. Essendo un elemento tipico dunque dell'islam, la guerra santa merita che le consacriamo questo capitoletto, nel tentativo di comprendere più capillarmente il suo reale significato e le condizioni necessarie per il suo esercizio; ciò tanto più che la gihàd continua ad essere sempre più un argomento di estrema attualità di cui spesso parlano anche i media.
 
- Un pleonasmo nocivo: la «gihàd islamica»
Da alcuni anni a questa parte, e specialmente con l'avanzare del terrorismo internazionale, si sente sempre più frequentemente parlare di «gihàd islamica». In realtà, non si tratta di «gihàd islamica», ma di gihàd senza aggettivi, in quanto questa particolarità è specifica unicamente dell'islam . Che degli adepti dell'islam siano - o meno - dietro a questi attentati terroristici non è cosa che ci interessi ai fini di questo studio. Ciò che vogliamo mettere in rilievo è che la banalizzazione di questo pleonasmo annida a poco a poco negli spiriti l'idea che la gihàd (in realtà, la gente ne ha un concetto molto grossolano) sia una pratica comune a tutte le religioni; la prova di questa asserzione sta nel fatto che si parli di gihàd musulmana. Da una tale argomentazione, scaturisce la necessità di una precisazione da parte nostra su questo punto.
 
- Nozioni preliminari: il quadro della gihàd
Per meglio comprendere il concetto musulmano di gihàd, conviene enunciare subito tre concezioni proprie dell'islam, che costituiscono in qualche modo le condizioni nelle quali grava l'obbligo della guerra santa. Esse sono:
  • La divisione del mondo in Dar el-islam e in Dar el-harb;
  • La ummàh (la comunità islamica mondiale);
  • I rapporti con gli scritturali (gli ebrei e i cristiani).
- La divisione del mondo in Dar el-islam e in Dar el-harb
Per l'islam, il mondo è diviso in due parti:
  • Il Dar el-islam (dar, ossia «dimora», o, per esteso, «paese»): sono le regioni del mondo in cui regna già il diritto musulmano (Arabia Saudita, Algeria, Libia, Marocco, Egitto, Iran, ecc...).
  • Il Dar el-harb (harb, ossia «guerra»): è costituito dalle altre regioni, considerate dai musulmani territorio di guerra.
Tali zone, così come i beni dei loro abitanti, appartengono per diritto all'islam, e si dovrà tentare tutto il possibile per farle rientrare nel diritto non appena le circostanze lo permetteranno. Si tratta di una semplice questione di opportunità 134. In realtà, si tratta dello stesso concetto attuato nelle colonie e nei protettorati europei (di un tempo); è evidente che questi territori, il regime non-musulmano è un'anomalia. Non si deve tollerarlo che per quel lasso di tempo in cui non si potrà fare altrimenti 135.
 
l'islam dominerà il mondo
Manifestanti islamici ripropongono in Occidente slogan musulmani piuttosto inquietanti e tutt'altro che ecumenici: «L'islam dominerà il mondo. La libertà può anche andare all'inferno»; «L'islam conquisterà Roma». É questo l'islam tollerante?
 
- L'ummàh, comunità mondiale islamica
Con ummàh (termine arabo che significa «madre» in senso carnale, e quasi uterino), viene designata la comunità mondiale islamica dei musulmani; la sua unificazione è, come abbiamo appena visto, la grande ambizione dell'islam. La riunificazione mondiale dell'islam urta contro due ostacoli che ne impediscono la realizzazione; il primo è rappresentato dal risveglio dei nazionalismi: musulmani entrambe, nazioni come, ad esempio, il Marocco e l'Algeria sono separate da interessi economici, politici, militari diversi e opposti. Il secondo è invece rappresentato dalle differenze etniche; esse sono più sensibili mano a mano che l'islam si estende a delle razze non arabe; che cosa c'è in comune - fuorché la religione - tra un musulmano dell'Arabia Saudita e un suo correligionario dell'Indonesia? Non certamente il sangue arabo, né gli usi e i costumi, ad esempio. L'ummàh è una forma di solidarietà «contro i non musulmani» piuttosto che tra i musulmani stessi. Divisi tra loro, i musulmani si ritrovano uniti per combattere un avversario comune, soprattutto se essi lo annoverano nel numero degli «infedeli»; è il caso, ad esempio, del Libano, i cui Stati confinanti musulmani, nonostante siano divisi a causa di alcune divergenze, fanno - apertamente o subdolamente - causa comune contro i cristiani o, nel migliore dei casi, si astengono dal condannare le violenze di cui sono vittime. Tale fenomeno fu riscontrato anche in certi conflitti sociali esplosi all'interno dell'industria automobilistica francese alcuni anni fa; mosaico etnico a prevalenza musulmana, il personale era costituito prevalentemente da marocchini, tunisini, algerini, mauritani e turchi, spesso divisi nella vita di tutti i giorni da gelosie e da antipatie ancestrali. La C.G.T. (un sindacato francese; N.d.T.) riuscì così bene nel realizzare l'unione utilizzando il catalizzatore religioso (sic!), che tutti gli operai si schierarono contro la direzione della fabbrica 136, contro i quadri direttivi, contro la maestranza e, più o meno consciamente, contro il cattolicesimo.
 
l I rapporti con gli «scritturali» (ebrei e cristiani)
 
- Il Corano è talvolta testimone della simpatia accordatagli
 
Sura II (La vacca)
59. «Certo, i musulmani, i giudei, i cristiani e i sabei 137, che credono nel Signore e all'estremo giorno e operano il bene, ne riceveranno la ricompensa dalle sue mani: essi saranno esenti dal timore e dai supplizi» (F).
 
Kasimirsky da sfoggio, in una lunga nota, della sua erudizione per dimostrare che bisogna guardarsi dal concludere da questo versetto che tutti gli uomini saranno salvi, purché essi credano nell'unità divina, nella vita futura e compiano buone opere, ma al contrario «qualunque sia il vero significato del versetto in esame, il sentimento generale dei dottori musulmani è che esso sia abrogato dal versetto 79 della Sura III 138, e da altri passi del Corano in cui la fede in Allah, nella vita futura e nella missione di Maometto è considerata indispensabile per conseguire la salvezza». Ancora una volta, sottolineiamo che ciò che conta nel farsi un'idea esatta di ogni punto-chiave dell'islam, è conoscere la percezione che ne hanno i musulmani stessi, e non ciò che possiamo soggettivamente dedurre dai versetti del Corano, spesso così difficili da interpretare e da tradurre (o «abrogati» da altri versetti; N.d.T.).
 
- Tuttavia, l'ostilità verso gli ebrei e verso i cristiani domina nel Corano
 
Sura III (La famiglia d'Amram)
106. «(Voi musulmani) siete il popolo migliore dell'Universo intero. Ordinate la giustizia, punite il delitto e credete in Allah. Se i giudei e i cristiani sposassero la vostra fede, avrebbero un destino migliore. Taluni di loro credono, ma la maggior parte sono perversi» (F).
 
Sura V (La tavola)
56. «O credenti! Non stringete legami con i giudei e con i cristiani. Lasciate che essi si uniscano. Chi li accetterà come amici diverrà simile ad essi, e Allah non è la guida dei malvagi» (F).
 
Sura V (La tavola)
62. «O credenti! Non collegatevi con i cristiani, con i giudei e con gli empi che fanno del vostro culto l'oggetto delle loro beffe. Temete Allah, se siete fedeli» (F).
 
Dopo queste citazioni, affrontiamo il tema della gihàd.
 
l La Guerra Santa
 
- Obbligo per i credenti
«La guerra contro i non-musulmani [...] ha finito col diventare il "sesto pilastro" dell'islam. Quest'ultimo deve ad essa la sua espansione, nella quale "la missione" o propaganda regolarmente organizzata ha giocato un ruolo pressoché irrilevante [...]. Essa continua ad essere considerata - al contrario del "dovere personale" - come un "dovere di sussiego", [...] un obbligo non individuale, ma che lega collettivamente la collettività» 139. La gihàd diviene un dovere personale allorché tutti i fedeli vengono invitati a farne parte. «In teoria - prosegue Padre Lammens - la gihàd non dovrebbe mai essere interrotta, né terminare prima della sottomissione del mondo all'islam, del quale tutti dovrebbero riconoscere la supremazia politica. Questo concetto è uno dei più incontestabilmente popolari dell'ideale islamico».
 
- La guerra santa è spesso ordinata dal Corano
 
Sura IX (La conversione)
29. «Fate la guerra a coloro che non credono in Allah e nell'ultimo giorno, che non vietano ciò che Allah e il profeta hanno proibito, e a coloro tra gli uomini della Scrittura (gli ebrei e i cristiani; N.d.R.) che non professano la fede nella verità. Fate la guerra sino a che essi paghino il tributo, tutti senza eccezione, e che siano umiliati» 140.
30. «I giudei dicono che Ozai è il figlio di Allah; i cristiani dicono lo stesso del Messia. Parlano come gli infedeli che li precedettero; che Allah gli faccia la guerra! Essi sono dei mentitori»! (K).
 
jihad islamica
 
- Lo sconfitto non è obbligato a convertirsi all'islam; gli fissa in quel caso lo stato di dhimmi
Al versetto 29 della Sura IX, abbiamo già sottolineato l'opzione teoricamente offerta all'infedele uscito sconfitto dalla gihàd, che consiste:
  • nel convertirsi all'islam, nel qual caso si ritiene che egli debba diventare «cittadino a pieno titolo» 141;
  • conservare la sua religione, nel qual caso gli verrà attribuito lo statuto di dhimmi, ovvero l'aggravio di un'imposta speciale (dîme) da una parte, e dall'altra l’assoggettamento ad alcune misure discriminatorie od umilianti (vietato l'accesso alle funzioni ufficiali, proibizione di detenere un'arma, di montare a cavallo, ecc...). É il caso, ad esempio, dei cristiani copti in Egitto, dei siriaci nell'Iraq e dei greci nella Siria.
jihad- É dunque possibile parlare di un islam tollerante?
Se la storia è ricca di esempi sanguinosi di guerre sante musulmane, non mancano altre situazioni in cui l'islam, trionfante e saldamente installato, ha dato prova di magnanimità verso i popoli cristiani assoggettati, o ha chiesto il loro concorso per la realizzazione di alcuni progetti di cui non possedeva le capacità tecniche. Questo fu, ad esempio, il caso della Spagna. Carra de Vaux, dopo aver scritto che «l'apostolato facendo uso della forza è dunque ammesso da questa religione, e ciò costituisce uno dei tratti che gli conferisce un aspetto molto barbaro», minimizza la sua precedente affermazione aggiungendo che «bisogna tuttavia riconoscere che, in pratica, le autorità musulmane hanno spesso usato molta tolleranza nei confronti di quei cristiani che avevano sconfitto» 142. Senza dubbio, non si deve generalizzare abusivamente; resta tuttavia da domandarsi se il termine «tolleranza» sia esatto per qualificare - in ogni epoca - una condiscendenza verso i non-musulmani che esiga comunque le contromisure viste poc'anzi. É anche altrettanto vero che, ai nostri giorni e in certe regioni del mondo, tale coercizione è stata apparentemente attenuata, ed è stata adottata una forma di persecuzione più insidiosa e larvata. Così, in alcuni Stati centrafricani passati sotto il governo islamico, il cristiano che desidera ottenere un posto nell'amministrazione, o che si appresta a sostenere un esame universitario, ha doppiamente interesse - come ci è stato spesso riportato - a convertirsi per tempo o almeno esteriormente all'islam. Infine, quando si viene a conoscenza dei divieti cui sono soggette le più piccole manifestazioni di appartenenza cristiana in quei Paesi arabi in cui l'islam regna incontrastato - come, ad esempio, in Arabia Saudita - non ci si può astenere dal sorridere sentendo parlare di «tolleranza»! Per non citare che qualche esempio, riporto ora alcuni fatti basati sulla testimonianza di persone degne di fede e, per di più, non particolarmente praticanti: il divieto assoluto di portare un crocifisso, di portare nei bagagli una Bibbia, di festeggiare il Santo Natale mettendo delle ghirlande di lampadine alle finestre, e persino di fare il cenone natalizio al ristorante, ecc... Che si smetta dunque una volta per tutte di alterare l'immagine dell'islam; il vero volto che esso porta è quello che esso stesso si è dato e che intende certamente conservare 143.
 
- Non c'è martirio che nella gihàd
La nozione di martirio non è concepita che nel quadro della gihàd: «Martire ("shaìd") è quel musulmano che cade durante la gihàd», e che «è ucciso dopo aver ucciso» 144. L'islam trae questo concetto di martirio dal seguente versetto del Corano:
 
Sura IX (La conversione)
112. «Allah ha ricomprato la vita e gli averi dei fedeli, il cui prezzo è il paradiso. Combatteranno e uccideranno i loro nemici, e cadranno sotto i loro colpi» (F).
 
l Le istituzioni
 
Come faceva notare Padre Lammens, «l'islam è essenzialmente una religione legale» 145. La fede basta a tutto. Essa non ha bisogno che di interpreti (dottori, uléma, ecc...) e di un potere temporale che la metta in pratica. Così, non ci si stupisce nel non trovare nella religione islamica né una liturgia, né un clero e né una gerarchia ecclesiastica; in una parola, nulla che assomigli ad un potere spirituale distinto dal potere temporale.
 
- Niente liturgia
«Questa lacuna viene particolarmente dissimulata da un rituale minuzioso che regola l'esercizio della preghiera e del pellegrinaggio, mediante delle complicate prescrizioni relative alla purezza legale» 146. Molto meno prescrizioni regolano, ad esempio, la preghiera collettiva del venerdì.
 
- Niente sacramenti
L'islam non conosce né il battesimo, né la Comunione, né la confessione, ecc... La circoncisione è un semplice atto rituale che non esige l'intervento di alcun ministro del culto; al limite, un barbiere è più che sufficiente. Il matrimonio musulmano è privo di carattere religioso: il cadî basta alla sua registrazione. Di conseguenza:
 
- Niente clero
L'islam non può ammettere un sacerdozio intermediario, gerarchico e unico dispensatore di grazie spirituali. Quest'ultimo concetto, così come la necessità di una gerarchia ecclesiastica, gli sembrano inconciliabili con i diritti imprescrittibili e con il dominio assoluto di Allah sulle sue creature 147. Anche il protestantesimo più rigido, messo a confronto con questo monoteismo intransigente, che esclude ogni intermediario tra l'uomo e il suo Dio, sembra una religione quasi sacerdotale 148. I ministri che esercitano presso le moschee (muftì, imàm o muezzin) non possono essere paragonati ad un clero; essi non sono che dei semplici funzionari (che in Marocco, ad esempio, vengono stipendiati dallo Stato). Secondo il Dizionario Robert, il califfo è «un sovrano musulmano, successore di Maometto». Questa definizione sottolinea adeguatamente l'assorbimento dello spirituale nel temporale; è un sovrano - ossia un capo politico - che viene considerato come un successore di Maometto. «Sentinella avanzata dell'islamismo», egli non è un pontefice, ma il difensore laico della sharìa.
 
muezzin- Nell'islam, il temporale assorbe lo spirituale
O più esattamente, come scrisse Ernest Renan - un personaggio, come abbiamo visto, certamente non sospetto di simpatie verso la Chiesa - «per il musulmano, spirituale e temporale sono inseparabili». Alcuni esempi attuali, illustrano questo concetto così tipico dell'islam. É il Ministero dell'Educazione Nazionale del Regno del Marocco che ha fatto pubblicare l'Istructione islamique ad uso delle scuole secondarie; vi immaginate un ministro della Pubblica Istruzione europeo nell'atto di promuovere un catechismo ad uso dei licei? Porre una domanda, comporta anzitutto dare una risposta! Un telegiornale della televisione ufficiale di uno Stato musulmano africano è stato recentemente mandato in onda da una emittente televisiva francese; lo schermo si è illuminato, ed è apparso il volto bruno del presentatore che, prima di tutto, ha recitato in arabo la seguente formula: «Lodato sia Allah, potente e misericordioso», seguito dal «buonasera» ai telespettatori e dal notiziario. Sui nostri schermi, un simile preambolo avrebbe provocato una sommossa telefonica! In precedenza, abbiamo parlato del Messaggio per l'Anno Nuovo che il Colonnello Muammar Gheddafi ha creduto di dover indirizzare ai capi di Stato del mondo intero all'inizio del 1984; vistane l'importanza, tale documento è riportato in Appendice al termine del presente studio. Come si potrà constatare, questo messaggio non contiene nient'altro che un'esortazione a leggere il Corano - citato spesso dallo stesso Colonnello - per conoscere la verità... su Cristo e sul Vangelo! Certamente, altri capi di Stato - come ad esempio l'ex presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan (1911-2004) - non hanno esitato in più occasioni a parlare di Dio nei loro discorsi ufficiali. Tuttavia, Gheddafi fà del tema religioso il motivo centrale e quasi esclusivo del suo «messaggio» e - al di là degli atteggiamenti eccessivi, e talora paranoici del noto leader libico - resta che solo un capo di Stato musulmano può, soprattutto ai nostri giorni, permettersi il lusso di un tale gesto senza esporsi al rischio di essere universalmente ridicolizzato dai mezzi di comunicazione.
 
CAPITOLO VII
LA DONNA NELL'ISLAM
 
Il lettore non rimarrà certamente sorpreso dal fatto che consacriamo un intero capitolo di questo scritto alla condizione della donna musulmana. Una civiltà si caratterizza anche dalla maniera in cui essa concepisce il ruolo assegnato alla donna nella società. Andiamo dunque ad esaminare il posto e lo statuto riservati alla donna nel Corano, il quale le attribuisce numerose prescrizioni, limitandoci a citare alcuni esempi.
 
l Superiorità dell'uomo sulla donna
 
- Fondamento dottrinale di questa superiorità
Il dogma della superiorità maschile è enunciato dal Corano al seguente versetto:
 
Sura IV (Le femmine)
38. «Gli uomini sono superiori alle donne perché Allah diede loro il predominio sopra di esse, ed essi le dotino dei loro beni. Le donne devono essere obbedienti e tacere i segreti dei loro sposi, poiché il cielo le ha destinate alla loro custodia. I mariti che abbiano a soffrire la loro disubbidienza possono castigarle, abbandonarle sole nel loro letto e anche picchiarle. La sottomissione delle donne deve porle al sicuro dai maltrattamenti. Allah è grande e sublime» (F).
 
Così, questa superiorità 149 si fonda su due cause di ordine decrescente: la volontà divina, che conferisce all'uomo - se così si può dire - una superiorità «essenziale», e il fatto che il fidanzato versi la dote al padre della sua futura sposa, contrariamente a ciò che accadeva fino a pochi anni fa nella nostra società. Nella logica musulmana, è dunque normale che l'uomo goda di una certa superiorità - e di diritto - sull'essere che ha acquistato pagandolo.
 
chador
 
- Le donne sono imperfette
 
Sura XLIII (L'acconciamento)
17. «L'Eterno sarà forse il padre di un essere capriccioso, di una figlia la cui giovinezza trascorre tra gli ornamenti e tra i vezzi»? 150.
 
- Il shadòr (il velo portato sul viso) è prescritto dal Corano
 
Sura XXX (I greci)
57. «O profeta! Prescrivi alle tue spose, alle tue figlie e alle mogli dei credenti di lasciar cadere un velo sul loro volto. Esso sarà il segno della loro virtù, e un ritegno contro i discorsi della gente. Allah è buono e misericordioso» (F).
 
- La nascita di una figlia è considerata come una disgrazia
Insorgendo contro il politeismo dei suoi contemporanei, Maometto si indignava specialmente per il fatto che il loro pantheon comprendesse tre divinità femminili! Da qui, le sue invettive contro i meccani:
 
Sura XLIII (L'acconciamento)
15. «Allah avrebbe preso delle figlie tra le sue creature, e vi avrebbe scelto come suoi figli?
16. «E tuttavia, quando si annuncia ad uno di voi la nascita (di una figlia) la sua figura si copre di tristezza ed egli è oppresso dal dolore» (K).
 
Nell'Hegiaz preislamico, vigeva l’usanza presso certe tribù di uccidere le figlie dalla nascita, bruciandole o seppellendole vive 151. L'avvento dell'islam mise fine a queste pratiche, evocate e condannate dal Corano.
 
- Le donne avranno accesso in paradiso?
Il solo fatto che gli obblighi religiosi siano imposti anche alle donne, permette di pensare che, contrariamente ad un'opinione diffusa presso alcuni studiosi occidentali, l'accesso al paradiso musulmano non sia affatto riservato ai soli uomini. Tuttavia, ci chiediamo: come può l'islam conciliare ciò con la presenza delle hùri, di queste vergini perenni promesse ai credenti maschi? Si tratta di una questione alla quale siamo incapaci di dare una risposta, e che, a dire il vero, saremmo tentati di porre a un musulmano.
 
l Matrimonio e poligamia
 
- Le donne sono state create da (e per) gli uomini
 
Sura XXX (I greci)
20. «La creazione delle vostre femmine, formate con il vostro sangue, perché dimoriate insieme, [...] annunciano la sua bontà a quelli che riflettono» (F).
 
- Essi ne dispongono a loro piacimento
 
Sura II (La vacca)
223. «Le vostre donne sono il vostro campo. Coltivatelo ogniqualvolta vi piacerà» (F).
 
- La poligamia è autorizzata, ma limitata a quattro mogli
Nell'Hegiaz, la poligamia preesisteva all'islam, il quale la conservò e regolò nel Corano:
 
Sura IV (Le femmine)
3. «Se temete di essere ingiusti verso gli orfani, temete di esserlo anche verso le vostre donne. Non sposatene che due, tre o quattro» 152.
 
poligamia nell'islam
 
Nonostante il carattere relativamente condizionale di questo versetto, è su esso che si fonda la regola che limita a quattro (più le concubine che non si contano 153) il numero delle spose che può avere simultaneamente un musulmano. Molti sono i versetti che trattano del matrimonio; vediamoli brevemente.
 
- Il Corano proibisce il matrimonio entro certi gradi di parentela
Il versetto 27 della Sura IV proibisce al credente di sposare sua madre, le sue figlie, le sue sorelle, le sue sorelle, le sue zie, le sue nipoti, le sue nutrici, le sue matrigne, o di sposare due sorelle.
 
- Ma Maometto beneficiò di alcune deroghe
 
Sura XXXIII (I congiurati)
47. «O Profeta! Ti è concesso di sposare le femmine che avrai dotate, le prigioniere che Allah fece cadere nelle tue mani, le figlie dei tuoi zii e delle tue zie che fuggirono con te, e ogni femmina fedele che ti aprirà il suo cuore. è un privilegio che noi ti concediamo. Conosciamo le leggi del connubio che stabilimmo per i credenti. Non temere di essere colpevole usando dei tuoi diritti. Allah è buono e misericordioso» 154 (F).
 
- Come bisogna trattare le spose
 
Sura IV (Le femmine)
23. «O credenti! [...] se ripudiate una donna, non riprendetevi la sua dote [...]. Siate buoni nel vostro modo di agire verso di loro. Se tra le vostre donne ve n'è una per la quale provate indifferenza, può darsi che proviate indifferenza per una cosa nella quale Allah ha deposto un bene immenso» (K).
 
- Il castigo delle donna adultera
 
Sura IV (Le femmine)
19. «Se qualche vostra moglie è caduta in adulterio, chiamate quattro testimoni. se le loro testimonianze concordano contro di lei, chiudetela in casa vostra, sino a che la morte consumi la sua carriera mortale» (F).
 
occhio nero
 
- Esso è meno severo per la donna schiava
A quest'ultima, infatti, il Corano prescrive di non infliggere che la metà della pena, il che dimostra che la sanzione per l'adulterio non sia sempre la morte.
 
- Ma è più severo per le mogli di Maometto
 
Sura XXXIII (I congiurati)
28. «O spose del Profeta! Se qualcuna di voi si macchia di un delitto, subirà un castigo più rigoroso. Tale vendetta è facile per Allah» (F).
 
- Il ripudio (in arabo talaq) è autorizzato
In effetti, «Allah non vi castigherà per una parola sfuggita nei vostri giuramenti» (Sura II, 225). Esso è oggetto di meticolose prescrizioni, delle quali ne riportiamo alcune:
 
Sura II (La vacca)
228. «Le donne ripudiate lasceranno passare il tempo di tre mestrui prima di risposarsi. Esse non devono nascondere di essere gravide, se credono in Allah e nel giorno del giudizio. É più equo allora che il marito le riprenda, se desidera una sincera riconciliazione. Bisogna che le femmine si contengano con conveniente decenza e i mariti abbiano superiorità su di loro».
229. «Il ripudio non avverrà che due volte. I mariti custodiranno le loro donne con umanità e le rinvieranno con giustizia».
230. «Chi ripudierà tre volte una donna non potrà riprendersela se non dopo che essa avrà giaciuto con un altro sposo che l'avrà ripudiata» (F).
 
l La situazione della donna musulmana è cambiata?
 
La donna è ancora ritenuta inferiore all'uomo? La sua condizione nei Paesi islamici è ancora regolata dalle norme che abbiamo appena letto? Nelle sue manifestazioni esteriori, la concezione musulmana dello stato della donna (il shadòr, le relazioni con l'esterno, la partecipazioni ad attività salariate, ecc...) varia sensibilmente da uno Stato all'altro. Presso alcuni di essi, essa tende - anche se fino ad un certo punto - a divenire meno rigida e più liberale. Se da una parte rimane molto difficile distinguere tra l'evoluzione apparente e l'immobilismo reale di fondo, dall'altra, determinate correnti tendono a ripristinare le regole coraniche e tradizionali laddove sembrava che si fossero attenuate. Lo studio caso per caso di queste situazioni ci porterebbe oltre i limiti assegnati a questo studio. Ecco tuttavia qualche esempio che ci aiuterà a farcene un'opinione.
 
- Evoluzione verso uno statuto più liberale?
In Tunisia, esso è già stato realizzato; nondimeno, alcuni giovani tunisini esponevano di recente - e non senza veemenza - ad un nostro amico di passaggio a Sfax, che essi contestavano il lassismo dei costumi europei, e che intendevano agire in favore di un ritorno alle regole dell'islam autentico. Essi aggiungevano: «Non vogliamo che le nostre donne diventino delle p... come le francesi del Club Méditerranée sulle nostre spiagge». In Algeria, si dice che il nuovo Codice di Famiglia sia più liberale per la donna; questo è almeno ciò che leggevamo su di una piccola rivista parrocchiale dell'Est della Francia, che salutava questo avvenimento. Tuttavia, un mese dopo ci venne mostrata una vigorosa protesta di un club algerino di donne (esistono dunque dei club femminili?) che denunciava l’ipocrisia dei compilatori «maschilisti» di questo nuovo Codice! Sotto apparenze liberali - esse accusavano - questo Codice rappresenta in realtà per la donna musulmana un balzo indietro di molti secoli! Dobbiamo credere alla rivista parrocchiale o a queste contestatrici? A nostro avviso, più alle seconde, molto più addentro alla questione della prima...
 
il velo è la liberazione della donna
 
- Immobilismo, status quo coranico?
In uno Stato dell'Arabia, la tariffa delle indennità che il responsabile di un incidente mortale automobilistico deve versare alla famiglia della vittima è stato recentemente reso noto; ciò che ci ha colpito maggiormente non è stata né la moneta corrente, né le cifre precise, ma le seguenti proporzioni:
 
Vittima musulmana
Uomo: 1.000
Donna: 500
Vittima non musulmana
Uomo: 250
Donna: 125
 
Un giovane industriale francese, di ritorno dalla Giordania, dove aveva trascorso qualche settimana, ci raccontava: «Alcune ragazze francesi hanno sposato dei giordani molto simpatici, conosciuti a Parigi alla facoltà universitaria. Ma, ahimè, arrivate ad Amman, capitale di questo Stato, ebbero una terribile delusione: esse furono immediatamente rifiutate dalla famiglia (in quanto sono e resteranno cattoliche); nessuna relazione o amici furono tollerati, che non fossero donne. Così isolate, esse si consacrarono ai loro bambini (messi al mondo in serie, uno all'anno), ma ahimè un'altra volta, non gli furono lasciate che le figlie, mentre i figli maschi gli furono sottratti per essere cresciuti nell'islam»; casualmente, alcune di queste ragazze scoprirono all'arrivo «che il loro marito era già sposato, senza che egli le avesse messe al corrente».
 
- Un'evoluzione apparente
E in Europa? A contatto con la nostra società, tali concezioni si indeboliscono nell'immigrato musulmano? In effetti, sembra che ci sia stata un'evoluzione, naturalmente più profonda in quelli della seconda generazione e, ancor di più, in quelli della terza 155. Sempre più spesso, si vedono delle donne musulmane svolgere all'esterno mansioni, o commissioni che i loro mariti, al lavoro, non possono portare a termine: fare un vaglia postale, spingere un carrello in un supermercato, ecc... ma ciò avviene in Europa, al di fuori del contesto religioso familiare e tribale del luogo di provenienza; le stesse donne, ricondotte in questo contesto, oserebbero comportarsi in questo modo? É lecito dubitarne, quando si sentono alcuni immigrati raccontare i loro ricordi di soggiorno. Laggiù, non si permette ciò che invece qui è permesso, perché mal visto dalla famiglia.
 
- Ma la situazione di fondo e i riflessi sussistono
Ecco, tra i tanti, un esempio significativo. In occasione di un conflitto sociale che interessò uno stabilimento della Renault della regione parigina, un'emittente televisiva francese invitò un membro del personale di questa industria - un marocchino di circa trentacinque anni, delegato sindacale della C.G.T. - a venire ad esprimere le proprie opinioni di fronte alle telecamere. Trattandosi di una trasmissione molto seguita (mandata in onda alle ore 20:00), la C.G.T. aveva scelto accuratamente il suo uomo: egli diede prova di una perfetta disinvoltura e si espresse molto bene. Si assistette, dunque, alla solita requisitoria contro i vice-responsabili, contro i responsabili, contro la Renault, contro la Francia, ecc.... Niente di più normale. Poi l'intervistatore entrò nell'ambito familiare:
 
- Intervistatore: «Parliamo di voi, signore: siete sposato»?
- Marocchino: «Sì».
- Intervistatore: «Avete dei figli»?
- Marocchino: «Sì, tre...»
- Intervistatore: «Maschi o femmine»?
 
Il volto del musulmano si incupì bruscamente:
 
- Marocchino: «Tre femmine - rispose seccato - di undici, tredici e quindici anni».
- Intervistatore: «Le lasciate uscire dopo la scuola»?
- Marocchino: «Ah, no»!
 
Il grido accorato - riflesso - sgorgò istantaneamente senza che egli riuscisse a controllarsi, facendo una gaffe davanti a milioni di telespettatori francesi. Eppure egli stato «addestrato» e aveva seguito i corsi della C.G.T. (registratore e dialettica); qualche attimo di esitazione, e il meccanismo funziona:
 
- Marocchino: «Ah, no!... perché... perché... se ci sono dei vetri rotti nella casa, si dice ancora che sono "sale arabe" (case di tolleranza; N.d.T.)»!
 
In uno studio realizzato dalla rivista Documentation Française 156 sono stati segnalati come «spesso drammatici e pertanto offesa ai diritti della persona» i casi di adolescenti musulmane sottratte dopo i quindici anni d'età, alla scuola dell'obbligo su presentazione di un certificato medico attestante che la madre affaticata aveva bisogno di un aiuto in casa. É facile intuire che lo stato della madre non sia altro che un pretesto, e che in realtà si tratti di un'applicazione della tradizione musulmana; la figlia deve restare in casa finché resta nubile 157.
 
velo islamico- La condizione della donna non sembra evolversi
Alcuni autori si danno molta pena per convincersi che, contrariamente ad un'immagine molto diffusa, l'islam ha fatto molto per la liberazione della donna. Così, ad esempio, scrive l'orientalista Marc Bergé (1929-2011): «L'islam ha liberato la donna, ma l'ha protetta eccessivamente [...]. Tuttavia, l'uguaglianza di base tra l'uomo e la donna, e tra tutti gli esseri umani, è suggerita nel Corano quando si parla della creazione: "Temete Allah che vi ha creati con lo stesso soffio, e che con questo stesso soffio ha creato una coppia da cui derivano molti uomini e molte donne"» 158. Nondimeno, qualunque sia il bisogno di liberazione che ancora oggi prova la donna musulmana, è importante misurare tutto ciò che l'islam ha apportato all'essere umano - uomo o donna che sia - quanto a dignità e uguaglianza. Le prescrizioni riguardanti la donna «rappresentano, nel momento, nel momento in cui il Corano fu rivelato, la legislazione più "femminista" del mondo civilizzato 159 [...]. In nessuna civiltà si può affermare che, sul piano del diritto, la donna e l'uomo siano stati definitivamente liberati» 160. La lettura dei versetti del Corano, oltre all'osservazione costante dei fatti, porta a delle conclusioni sensibilmente diverse da quelle formulate da questo autore. L'islam è una religione fatta da un uomo, regolamentata da lui e da altri uomini, a beneficio di altri uomini. Nessuno stupore, dunque, quando constatiamo la naturale ripugnanza di questi stessi uomini a modificare la condizione della donna, e che l’evoluzione dell'islam a questo riguardo sembri così lenta rispetto a ciò che avviene nelle altre società.
 
CAPITOLO VIII
LA PRINCIPALE SÈTTA DELL
'ISLAM: GLI SCIITI
 
Lo studio delle numerose sètte 161 che dividono l'islam ci sembra oltrepassare i limiti di questo studio. Ad ogni buon conto, l'importanza dello scisma sciita merita che gli consacriamo questo breve capitolo. Il principale gruppo ad essersi distaccato dall'islam ortodosso all'indomani della sua costituzione, più che una sètta costituisce una delle maggiori tendenze dell'islam. Il mondo musulmano è in effetti tagliato in due tronconi: i sunniti, ovunque in maggioranza (tranne che nell'Iran e in Iraq), e gli sciiti. Questi ultimi sono a loro volta suddivisi in sètte e sotto-sètte. A grandi linee, ci limiteremo ad analizzare quelle che si oppongono al sunnismo.
 
l Origini degli sciiti
 
Il termine «sciita» deriva dalla parola shìa, che in arabo significa «partito». Originariamente, si trattava dei seguaci di Alì, della shìa Alì.
 
- All'origine, dissensi sulla successione
«Al contrario di quello che è accaduto per il cristianesimo, non si tratta di diatribe dottrinali, ma di dissensi politici che hanno immediatamente dato vita agli scismi e alle eresie in seno all'islam» 162. Per gli sciiti, l'imàm 163 (l'equivalente sciita del califfo) dev'essere scelto non solo nella parentela, ma nella filiazione diretta di Maometto, che riservò tale dignità ai soli discendenti di Alì e di Fatìma. Ora, (come abbiamo visto al cap. III) il gruppo di fedeli incaricato di designare i primi successori di Maometto scartò per ben tre volte la candidatura di Alì. A causa di questo, i califfi vengono considerati dagli sciiti degli usurpatori. Tali divisioni diedero a loro volta origine a lotte sanguinose durante i primi due secoli dell'ègira, lotte che ebbero le loro ripercussioni anche sul piano religioso.
 
- Le ripercussioni religiose
Gli sciiti fecero degli «alidi» uccisi in combattimento dei veri e proprî martiri; la morte di Husayn (morto nel 680), nipote di Maometto, caduto in combattimento durante gli scontri di Kerbela, nei paesi sciiti, è ricordata con un giorno di lutto nazionale. La sua tomba - e quella di Alì - sono per gli sciiti dei luoghi di pellegrinaggio sacri allo stesso modo in cui lo sono tutte le città sante dell'Hegiaz. Ma questa non fu l'unica ripercussione.
 
l Tratti caratteristici degli sciiti
 
mousavi khomeini- Credenza sciita nell'imàm invisibile
Stando alla tradizione sciita, il secondo discendente di Husayn sarebbe misteriosamente scomparso in un sotterraneo all'età di dieci-dodici anni, senza lasciare discendenti. Onde sopperire a questa «vacanza», gli sciiti hanno inventato la teoria dell'«occultamento»: essi credono nell'esistenza di un imàm invisibile, immortale e presente, al quale giurano fedeltà oltre che ad Allah e a Maometto. Tale fedeltà è posta allo stesso livello dei «cinque pilastri». Nel libro 164 scritto dall'ayatollàh Mousavi Khomeini (1902-1989) durante il suo soggiorno a Neauphle-le-Chateau, che costituisce un sorta di Mein Kampf, il termine «occultamento» ritorna spesso sotto la penna dell'ayatollàh. Inoltre, le assemblee sciite iniziano con preamboli di questo genere: «In presenza dell'imàm invisibile, ci riuniamo...». Recentemente, un dignitario sunnita si faceva beffa di questi sciiti arretrati che «tutti i venerdì portano un cavallo bianco sellato alla moschea di Kerbela, in attesa dell'imàm; poi, siccome l'imàm non arriva, si riconduce il cavallo alla scuderia, e ciò accade ormai da secoli».
 
- A parte questo, le differenze sono minime
Le diversità o i disaccordi tra i sunniti e gli sciiti - eccetto il problema della successione - si limitano ad alcuni dettagli relativi alle abluzioni rituali e ai funerali.
 
- Ripartizione mondiale degli sciiti
Essi sono disseminati un po' ovunque, e principalmente nello Yemen del Nord, ma sono ampiamente in maggioranza in Iraq e in Iran. Il territorio di questi due Paesi ricopre grosso modo quello dell'antica Persia. Alcuni storici ritengono che i persiani subirono l'islamizzazione, ma rifiutarono di essere «arabizzati», e dunque non accettando che un imàm-califfo discendente autentico del fondatore dell'islam, e non gli intriganti meccani. La dottrina sciita avrebbe costituito per essi una forma di protesta e di originalità. Da notare che Husayn, l'eroe degli sciiti, annoverò fra le sue spose una figlia dello scià di Persia.
 
CAPITOLO IX
ASCETISMO E MISTICA NELL
'ISLAM: IL SUFISMO
 
Tutto quanto abbiamo fin qui visto porta a pensare a priori che l'islam non incoraggi il musulmano ad allontanarsi dal quadro del dogma stretto e da un ritualismo rigoroso, per poter sviluppare l'unione spirituale dell'anima con Allah; tale cammino - passando per l'ascesi - costituisce il fondamento di molte religioni, e com'è noto, anche del cristianesimo. Occorre tuttavia chiedersi se, e in quale misura, alcuni musulmani abbiano tentato di provare questa esperienza mistica.
 
l L'islam è una religione mistica?
 
- L'islam condanna la vita monastica
 
Sura LVII (Il ferro)
27. «Sono loro (i cristiani) che hanno inventato la vita monastica; noi non abbiamo prescritto che di piacere ad Allah» (K).
 
Aggiunge Kasimirsky: «Come abbiamo visto, Maometto condanna la vita monastica; si tratta di un aforisma ripetuto spesso dai musulmani: "Là rahabaniïeta fil-islàmi", punto di vita monastica dell'islam» 165.
 
- Nel Corano non si parla affatto di mistica
«Il Corano non tratta per nulla la questione mistica. A dire il vero, Maometto e i suoi primi discepoli non furono dei mistici, ma semplicemente degli uomini animati da una viva fede, sensibili a due o tre concetti fondamentali: l'unità e la potenza divina, la sopravvivenza dell'anima e la retribuzione nell'al di là. Essi non erano affatto abituati a coltivare la vita interiore, ma erano dei guerrieri» 166.
 
- L'islam non è una religione interiore
«Il Corano, con le sue stipule legali, con i suoi inviti alla guerra santa, e con le sue invettive contro gli infedeli, non sembra eccitare la sensibilità interiore e propriamente spirituale. La sharìa - continua Padre Lammens - non legifera per il foro interno. Essendo una disciplina sociale e una sorta di legge superiore, essa si limita a riunire tutti i fedeli attorno ai riti e alle osservanze della comunità islamica, senza curarsi di entrare nei dettagli della vita interiore [...]. Essa non esamina e non sorveglia che l'adempimento delle forme esteriori e delle modalità rituali» 167.
 
l Il sufismo
 
- Origini del sufismo
Alcune spiriti reagirono alla rigidità imposta dall'islam; fu così che nacque la disciplina del sufismo. «Questi fedeli aspiravano ad un'esperienza personale più intensa delle verità religiose, che avrebbe dovuto facilitare l'ascesa graduale dell'anima verso Allah. Tali tendenze, quasi per nulla soddisfatte dall'islam ufficiale, sfociarono nella nascita di una disciplina mistica, il "Tasawwuf", o sufismo» 168.
 
 
- Misticismo e influenze cristiane: Ghàzàlì
Il più celebre dei rappresentanti del sufismo ortodosso è Abù-Hàmid al-Ghàzàlì (1058-1111), teologo, giurista e filosofo. Il sufismo, così come egli lo preconizzò, presenta strane analogie con il cristianesimo, di fronte al quale egli non esitò a proclamare la propria simpatia. Esso esortava il credente alla vita interiore, proclamava la necessità di «vincere sé stessi», consigliava la scelta di un direttore spirituale, la pratica della penitenza, l'esame di coscienza quotidiano, e tutti quei metodi che concordano in maniera singolare con quelli che più tardi applicò il fondatore della Compagnia di Gesù, Sant'Ignazio di Loyola (1491-1556). Tale conversione interiore non poteva operarsi che grazie all'esercizio della meditazione, e i consigli di Ghàzàlì si avvicinavano molto a quelli di Sant'Ignazio, tanto nella forma, quanto nella sostanza; vi si ritrova lo stesso incitamento alla prudenza e alla diffidenza verso sé stessi. «Secondo Ghàzàlì, la vita spirituale trova il suo alimento più sostanziale nella meditazione, o "tafakkor". Si applicano le tre potenze dell'anima: memoria, intelligenza e volontà [...]; essa inizia con la "composizione di luogo" [...]. Si consiglia di evitare di perdersi in inutili speculazioni teologiche [...]. L'importante è trarne risoluzioni pratiche [...]. Se si vogliono evitare le illusioni o i dubbi contro la fede, si raccomanda anche di non scegliere come materia di contemplazione l'Essenza divina» 169.
 
- Il sufismo: eccessi e deviazioni
In assenza di una qualsiasi gerarchia, la temperanza consigliata dal saggio Ghàzàlì non venne osservata ovunque: «Ciò che mancò al sufismo - affermava lo scrittore e politico francese Maurice Barrès (1862-1923) - fu la sorveglianza da parte di una gerarchia debitamente autorizzata. Come nel cattolicesimo, il suo intervento avrebbe captato la fonte, e l'avrebbe incanalata prima che essa divenisse un torrente fangoso in piena. Essa avrebbe inoltre imposto il rispetto di regole morale, scoraggiando un'estasi sterile che non fosse un mezzo di perfezione» 170.
 
- Le sanzioni dell'islam ortodosso
Fin dal 922, dato che le confraternite di questa natura si moltiplicavano, l'ortodossia islamica decise di colpire inesorabilmente questa sètta, condannando a morte Husayn ibn Mansur al-Hallàg (858-922), il più celebre degli adepti del sufismo, secondo il quale la sofferenza è la grande forza nella quale si manifesta lo stesso Allah; flagellato, mutilato e appeso ad una croce, egli fu infine decapitato, e il suo cadavere venne bruciato. Tuttavia, il sufismo non tardò ad inoltrarsi contemporaneamente nell'esoterismo e nella ricerca della più stravagante illuminazione (vedi, ad esempio, le pratiche dei dervisci ai nostri giorni 171). Tali deviazioni servirono come pretesto ai musulmani ortodossi, e gli permisero di adottare delle misure contro il sufismo (e contro le diverse confraternite mistiche che ne erano derivate), troppo nettamente colorate di cristianesimo. Così, ad esempio, in Egitto, i sultani, oltre a sorvegliare la dottrina dei sufi, nominarono uno «sceicco» supremo onde evitare la loro entrata nella vita politica. L'impero ottomano li ha sempre trattati con diffidenza, anche se li ha utilizzati per la propaganda panislamica. L'attuale governo dell'Egitto ha mantenuto l'istituzione dello «sceicco» supremo delle confraternite sufi.
 
abù-hàmid al-ghàzàlìmaurice barrèssant'ignazio di loyola
al-GhàzàlìMaurice Barrès Sant'Ignazio di Loyola
 
- Regressione attuale del sufismo
Tuttavia, Padre Lammens, osservando questo declino, evidenzia il fatto che esso è soprattutto accentuato nei Paesi musulmani aperti agli influssi occidentali.
 
- Influenza della Massoneria in questa regressione
È noto il ruolo determinante della sètta massonica nella laicizzazione della Turchia con l'avvento del kemalismo 172, di cui essa fu l'ispiratrice e l'organizzatrice: «Furono le Logge del Partito "Unione e Progresso" che prepararono il "Movimento della Giovane Turchia" e l'avvento del kemalismo. La Massoneria penetrò profondamente l'élite musulmana, senza tralasciare i circoli dei Salafyya, pilastri portanti dell'ortodossia ufficiale di tutte le confraternite e organizzazioni sufi, confiscando i loro beni» 173.
 
- Sull'essenziale, il sufismo resta radicalmente separato dal cristianesimo
Dopo ciò che abbiamo appreso circa le ispirazione iniziali del sufismo e sul metodo «pre-ignaziano» preconizzato da Ghàzàlì, il lettore cristiano non è forse preso da una dolorosa emozione? Non vede forse nel sufismo la grande «occasione mancata» dall'islam? Percependo punti in comune con la propria fede, non è forse tentato di dire fra sé che, poiché questi fratelli sembrano così vicini, forse un giorno il sufismo li condurrà alla verità integrale? Al fine di essere più obiettivi possibile, bisogna fare attenzione, e ben misurare quanto l'ostacolo che sbarra questa strada sia, almeno per ora, insormontabile. Esso è stato posto da Ghàzàlì stesso, ahimè, insufficientemente illuminato, il quale lo ha eretto allorché la simpatia e l'attrazione che provava verso il cristianesimo, gli hanno ispirato queste parole: «Il cristianesimo potrebbe essere l'espressione assoluta della verità, se non fosse che per il suo dogma della Trinità, e per la sua negazione della missione divina di Maometto» 174. Si noti come Ghàzàlì, con questa frase, sia rimasto interamente fedele alla shahàda, la professione di fede dell'islam:
  • «Allah è Unico» (niente Trinità);
  • «Maometto è il suo inviato» (il Corano è la rivelazione).
Proposizioni, come abbiamo visto in precedenza, radicalmente inaccettabili per un cristiano.
 
CONCLUSIONE
 
moscheaEccoci finalmente giunti al termine di questo brevissimo studio; ci chiediamo: dopo questa lettura, è possibile formulare un giudizio globale dell'islam? No, senza dubbio, per chiunque desiderava - prima di emettere un verdetto d'insieme su quest'ultimo - esaminare e prendere in considerazione non solamente il contenuto religioso dell'islam, ma anche l'aspetto economico, storico, ecc... No, indubbiamente, per il lettore semplicemente agnostico e che non si accontenta di uno studio incentrato principalmente sul fatto religioso. Ma nell'immediato, il presente studio, destinato innanzitutto ad un pubblico cattolico, voleva essere il più conciso possibile. In effetti, se «l'islam è innanzitutto una religione», è evidente che le «esitazioni» - ed è il meno che si possa dire - si moltiplicano, soprattutto tra molti cattolici disorientati, quando si tratta di valutare l'islam da un punto di vista religioso, e in rapporto alla propria religione. É per tale motivo che occorreva lasciare innanzitutto la parola all'islam, affinché ci rivelasse lui stesso il suo contenuto dogmatico, quello in cui crede, quello che nega, quello che rigetta e quello che combatte. Nelle righe precedenti, abbiamo potuto vedere l'islam reale prendere le distanze, in modo sempre più impressionante, dal cristianesimo. Trattando, ad esempio, della paternità e della misericordia divina, del peccato originale e della redenzione, della resurrezione della carne, del paradiso o della visione beatifica, è emersa la profondità incolmabile di queste divergenze che non finiremmo mai di analizzare in maniera esauriente. Ma, in qualche modo, tale analisi diventa superflua nell'istante i cui si prende atto del fatto che l'islam nega in modo radicale (esattamente come il giudaismo post-biblico) la divinità di Gesù Cristo, e che la rifiuta senza ambiguità, fermamente, facendo di questo diniego, così spesso riaffermato nel Corano, la chiave di volta del suo edificio dottrinale.
 
V «Io sono la Via, la Verità e la Vita» (Gv 14, 6)
Queste parole - occorre qui ricordarlo - sono di Nostro Signore Gesù Cristo stesso. Ne consegue ineluttabilmente che ogni dottrina che rifiuta Gesù Cristo porta alla cecità, all'errore e alla morte spirituale.
 
V «In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati», afferma solennemente San Pietro, il Principe degli Apostoli (At 4, 8-12).
 
V «Perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e nell'inferno», gli fà eco San Paolo... (Fil 2, 10-11).
 
Z «Poco manca che i cieli non si schiantino a queste parole, che la terra non si spacchi e le montagne spezzate non crollino. Essi attribuiscono un figlio al Misericordioso, e non potrebbe averne» (Sura XIX, 92-93).
 
Z «Quelli che dicono che il Cristo, figlio di Maria, è Dio, sono infedeli», replica l'islam (Sura V, 19).
 
Quell'islam che - rigettando Cristo - guida da tredici secoli centinaia di milioni di uomini verso la cecità, verso l'errore e verso la morte spirituale. Salvo a voler contraddire l'insegnamento di Cristo stesso, riaffermato dai suoi Santi Apostoli Pietro e Paolo e dalla Sua Santa Chiesa, ogni cristiano non può considerare diversamente l'islam che una falsa religione, come «l'ombra della morte», seguendo la terribilepadre charles de foucauld formula di Padre Charles de Foucauld 175. Ci duole di dover rammentare queste verità così evidenti, ma non è certamente senza un motivo che lo facciamo. Anche se Dio, nella Sua bontà e misericordia infinita, accoglie gli uomini che l'hanno cercato in buona fede, o che hanno semplicemente vissuto nel rispetto della legge naturale, resta il fatto che sarebbe un terribile errore per il cristiano far leva su questa argomentazione per accreditare l'islam elevando al rango di religione salvifica. Di fronte ai suoi fratelli fuorviati dell'islam, il cristiano può far molto di meglio che tentare di penetrare, in modo quasi sacrilego, nel mistero della misericordia divina, a dispetto degli insegnamenti fermi e privi di ambiguità che abbiamo appena rievocato. In realtà, il cristiano deve incaricarsi di un duplice dovere: pregare per la conversione dei musulmani, e operare perché questa conversione divenga possibile. Nessuna autorità al mondo ha il diritto di distoglierlo da questa duplice mansione che scaturisce direttamente dall'ordine dato da Cristo stesso ai Suoi Apostoli: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura». «Ad ogni creatura». Abbiamo mai pienamente misurato la portata di questo comando? Forse che qualcuno ha mai potuto leggere nel Vangelo che Gesù abbia ordinato ai Suoi Apostoli: «Andate, predicate la Buona Novella; ma se incontrate dei popoli che professano già una religione - una religione monoteista, almeno - allora lasciateli in pace! Fate marcia indietro... essi sono già serviti...». No, il mandato del Signore è stato molto chiaro: «ad ogni creatura». Questo ordine si impone al cristiano. Nessuno ha il diritto di dispensarlo da questo obbligo; dopo questa vita, gli sarà chiesto conto del suo compimento. Certo - specialmente quando si cerca di convertire dei musulmani - si tratta di un compito difficile, e la strada è irta di ostacoli. Ma su questa via, il peggiore scoglio non è quello che si immagina. Il peggiore impedimento sarà quello di credere che, per un non si sa qual nuovo e lassista decreto divino, d'ora in avanti, noi siamo dispensati dal prendere per mano i nostri fratelli musulmani e di condurli nell’unica vera luce, quella di Cristo Gesù.
 
APPENDICE I
CARTA GEOGRAFICA DELL
'ARABIA
 
arabia saudita
 
APPENDICE II
MESSAGGIO DEL COLONNELLO GHEDDAFI
AI CAPI DI STATO DEL MONDO
(gennaio 1984)
 
 
«Mi rallegro con voi in occasione del nuovo anno che cade millenovecentottantatre anni dopo la nascita di Gesù - la pace sia su di lui - di cui non sapremmo nulla se la rivelazione non fosse discesa su Maometto - le preghiere e la pace di Allah siano su di lui - al quale Allah ha raccontato tutta intera la storia di Gesù, e quella di su madre Maria, figlia di Amram; da allora, noi musulmani abbiamo creduto - tramite il Corano disceso su Maometto - che, purtroppo per voi (cristiani), non avete riconosciuto - alla nascita miracolosa di Gesù e alla sua profezia che non ci erano pervenuti con chiarezza né dalla Toràh, né dal Vangelo, poiché il libro dell'Antico e del Nuovo Testamento, attualmente in circolazione, è stato falsificato. Esso è stato modificato e deliberatamente amputato del nome del profeta Maometto, e di molte altre cose, in quanto nella vera Bibbia, indirizzandosi ai figli d'Israele che lo hanno rinnegato e che lo volevano uccidere, Gesù disse: "Sono l'apostolo di Allah, ripeteva agli ebrei Gesù, figliolo di Maria. Vengo a confermare la verità del Pentateuco che mi precedette e ad annunciarvi la felice comparsa del profeta che verrà dopo di me. Ahmed è il suo nome" (Sura LXI, 6). In questa sacra circostanza, invito dunque le nuove generazioni del mondo cristiano ad orientarsi verso la lettura del Corano per conoscere la verità sul Messia Gesù - la pace sia su di lui - e su sua madre Maria, sorella di Aronne 176; come Gabriele sia venuto ad annunciarle la nascita di Gesù quando ella era vergine; come essa abbia partorito in un luogo lontano; come Allah le abbia procurato bevanda e nutrimento da un ruscello e da una pianta di datteri; come la sua tribù l'abbia denigrata; come Gesù neonato abbia parlato dalla culla e convinto le genti che egli era profeta - benedetto e leale - e che Maometto sarebbe stato profeta dopo di lui...
 
Poi, come i figli d'Israele lo abbiano rinnegato, abbiano tentato di ucciderlo, e come abbiano crocifisso un sosia credendo di averlo crocifisso, mentre invece Allah lo aveva elevato a sé... Come egli abbia resuscitato i morti con il permesso del suo Signore, guarito i lebbrosi e il cieco, tra tante prove miracolose... e altrettante precisazioni che hanno fatto sì che - noi musulmani - credessimo alla nascita miracolosa di Gesù, alla sua profezia, alla sua venuta e alla sua scomparsa, alla guerra che gli hanno fatto gli israeliti e al sostegno che gli hanno dato gli apostoli. Tutto ciò, noi (musulmani) lo abbiamo appreso unicamente mediante il Corano [...], quel Corano che voi (cristiani) non avete mai letto e a cui non avete prestato fede a causa del fanatismo cieco contro al nazione araba, a causa della fuorviante propaganda israeliana [...], a causa dell'ignoranza derivante dal fatto che non avete preso conoscenza della verità del Corano e della verità del profeta Maometto, al quale Allah ha dettagliatamente raccontato la storia di Gesù Cristo e quella degli altri profeti del santo Corano. È per tale motivo che faccio appello alle nuove generazioni del mondo cristiano al fine di provocare una rivoluzione culturale nel pensiero e nei concetti del mondo cristiano, il quale ha registrato una regressione e comincia a disgregarsi... E in questo caso, esso ha nuovamente bisogno di un Savonarola, di un Martin Lutero, o di un Calvino. La pace sia su colui che segue il retto cammino» 177.
 
 
Colonnello Muammar Gheddafi
Guida della Gloriosa Rivoluzione
del Primo Settembre


APPENDICE III
L
'ISLAM E IL CONCILIO VATICANO II
 
concilio vaticano IIIl 28 ottobre 1965, ovvero a poco meno di due mesi dalla chiusura del Concilio Vaticano II, i Padri conciliari riuniti in quell'assise approvavano quasi all'unanimità la Dichiarazione Nostra Ætate, sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, un documento basilare per chi voglia comprendere la portata del cosiddetto «dialogo ecumenico» e la direzione impressagli a viva forza e portata avanti a tutti i livelli dalle massime autorità ecclesiastiche in questi ultimi cinquant'anni. Nel secondo paragrafo, questo documento, dopo aver ricordato che «la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo nelle altre religioni», e che «essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini», passano ad esaminare singolarmente prima la religione musulmana (§ 3), indi quella ebraica (§ 4). Rileggendo quanto questa Dichiarazione affermi a proposito della religione di Maometto alla luce dei fatti e delle conclusioni che via via sono emersi nel corso di questo breve compendio, non si può fare a meno di chiedersi se la religione di cui si parla con tanta «stima» - a nostro avviso, del tutto immotivata - sia la stessa di cui parla il Corano, o se si tratti di un altro credo, frutto di chimeriche fantasie ecumeniche di insignificante valore teologico e storico, lontane mille miglia dalla realtà descritta in questo studio. Certi del fatto che la lettura del paragrafo relativo all'islam costituisca il primo passo per cogliere in profondità l'attuale modus operandi della Gerarchia e di buona parte del clero, e il conseguente smarrimento di non pochi buoni cristiani, riportiamo per intero la parte che questa Dichiarazione dedica ai seguaci di Allah.

 
l La religione musulmana
 
3. «La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del Cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri vi si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come un profeta; onorano la sua Madre Vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno. Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà».
 
Fine...
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NOTE
 
129 Secondo il consigliere dell'arcivescovado di Parigi per gli affari musulmani, è stato necessario ricordare che, nei matrimoni misti, il coniuge cattolico, che non vuole abbracciare l'islam, non potrebbe - anche solamente per migliorare la convivenza del momento - pronunciare questa formula, perché essa ha la portata di un'iniziazione. Questo richiamo è stato reso necessario in seguito ad alcuni comportamenti erronei.
130 Cfr. H. Lammens, op. cit., pag. 77. Il Corano non specifica quante devono essere le salàt quotidiane: due sicuramente, e forse tre.
131 Se manca l'acqua per le abluzioni, il musulmano può purificarsi con la sabbia, mentre in mancanza di un tappeto, egli utilizzerà, come succede in moltissime fabbriche francesi, un semplice pezzo di cartone da imballaggio, il quale simbolizza - come il tappeto - il «sacro suolo della Mecca».
132 Come farà quel credente che non può disporre di questi segnali? Abbiamo conosciuto delle tribù che vantavano il «trucco» del filo e nero e del filo bianco: «Tu li metti vicino l'uno all’altro: al mattino, quando potrai distinguerli, significa che è il momento di iniziare il digiuno. Al calare della notte, ovvero quando non sarà più possibile distinguerli, allora sarà finita la giornata di digiuno».
133 Così, una donna delle pulizie che, mentre che tutti i suoi correligionari festeggiavano l'ìd-al-fitr (la fine del ramadàn), si rifiutò ostinatamente di pranzare. «"Perché Erkia? Non sai che il ramadàn è finito"? "Sì, ma tu sai bene che sono stata ammalata un giorno e che quindi devo recuperarlo"»!
134 Cfr. H. Lammens, op. cit., pag. 82.
135 Ibid., pag. 83.
136 In certi stabilimenti, la pratica religiosa musulmana, scesa dopo diversi anni al 3 o al 4%, ritornò nel giro di alcuni mesi al 100% o quasi, in occasione di avvenimenti simili a quello appena descritto.
137 Kasimirsky precisa in nota che si tratta della sètta cristiana dei sabei, e non dei sabei adoratori degli astri, e dunque politeisti.
138 Sura III, 79: «Chi professerà un culto che non sia l'islamismo, non ne caverà alcun frutto e sarà nel novero dei riprovati. Come mai Allah illuminerebbe quelli che, dopo aver creduto, e resa testimonianza alla verità del profeta, dopo esser stati testimoni dei divini oracoli ritornano all'infedeltà? Allah non guida i malvagi. Loro mercede sarà la maledizione di Allah degli angeli e degli uomini. Ne saranno eternamente coinvolti. Il loro supplizio non si addolcirà e Allah non li guarderà mai».
139 Cfr. H. Lammens, op. cit., pag. 82.
140 Nella nuova edizione del Corano di Kasimirsky si è creduto opportuno di sostituire il termine «umiliati» con «sottomessi», rendendone così insipido il significato.
141 L'esperienza mostra, tuttavia, che il cristiano che si è convertito all'islam viene raramente accettato nella comunità in modo completo.
142 Cfr. B. Carra De Vaux, op. cit., pag. 1142.
143 A ciò si aggiunga, ad esempio, che a quelle poche chiese presenti in Arabia Saudita è assolutamente proibito suonare le campane o esporre sulla loro sommità la Croce.
144 Cfr. H. Lammens, op. cit., pag. 82.
145 Ibid., pag. 108.
146 Ibid., pag. 136.
147 Ibid., pag. 140.
148 Ibid.
149 «La donna è inferiore all'uomo o, per essere più precisi, ne vale la metà. Perciò, in tribunale, due testimoni di sesso femminile ne valgono uno di sesso maschile» (cfr. B. M. Scarcia, in Il Corriere della Sera, del 12 febbraio 1991).
150 «La donna, a causa della sua ragione difettosa, è sempre disposta a cercare dei guai senza motivo» (nota di Kasimirsky presente nella sua traduzione di questo versetto).
151 Uno dei nostri interlocutori si indignò retrospettivamente di queste pratiche abominevoli. Gli facemmo tuttavia notare che, dopo venti secoli di cristianesimo, la Legge Veil (che in Francia regola l'interruzione volontaria della gravidanza; N.d.T.) ha fatto molto di peggio in seguito.
152 «Quando questo versetto scese dal cielo, la maggior parte degli arabi aveva otto o anche dieci donne che spesso trattavano brutalmente» (cfr. Il Corano, nota nº 1 di A. Fracassi, pag. 61).
153 La stessa Sura, al versetto seguente così prosegue (Sura IV, 4): «Scegliete quelle che vi saranno piaciute. Se non potete mantenerle degnamente, non pigliatene che una o limitatevi alle vostre schiave».
154 Così continua la medesima Sura al versetto successivo (Sura XXXIII, 48): «Ti è concesso di ricevere nel tuo letto quella che avevi rifiutata, onde ricondurre la gioia in un cuore preso dalla tristezza (povero Maometto, che sacrificio eroico!). Il tuo volere sarà la loro legge. Essi vi si adatteranno. Allah conosce il fondo della vostra anima. Egli è saggio e vigilante. Non ne aggiungerai al numero presente delle tue spose; non potrai cambiarle con altre la cui avvenenza ti abbia rapito, ma la frequentazione delle tue schiave ti è sempre concessa. Allah osserva tutto».
155 Il ricorso - del tutto circostanziale e in mancanza di meglio - all'espressione «immigrato della seconda o terza generazione» non ci dispensa dal rilevarne di sfuggita l'assurdità.
156 Cfr. L'insertion des jeunes d'origine étrangère dans la societé française («L'inserimento delle giovani di origine straniera nella società francese»), Parigi, pag. 58.
157 Gli articolisti della Documentation Française giudicarono illegale questa pratica, auspicando l'intervento del Ministero dell'Educazione nazionale al fine di far cessare questo fenomeno, e proposero di creare dei centri per ricevere le fuggitive musulmane le cui reintegrazione nella famiglia apparisse impossibile... Dieci righe più sotto, gli stessi articolisti - affinché i bambini d'origine straniera possano «valorizzare la loro identità culturale» - proposero che l'insegnamento di queste culture, «civiltà, arte, storia e religione venga inserito nei programmi delle nostre scuole»!
158 Ciononostante, la superiorità dell'uomo sulla donna non viene solamente suggerita, ma viene a più riprese chiaramente affermata nello stesso Corano.
159 Cfr. G. Tillon, Les cousins et le harem («I cugini e l'harem»), Éd. du Seuil 1966, pag. 170; cit. in M. Bergé, op. cit.. Ma in questo caso, bisognerebbe constatare che questo progresso decisivo dell'islam segna il passo dopo tredici secoli!
160 Cfr. M. Bergé, op. cit., pagg. 571-572. A dimostrazione della totale infondatezza dell'immagine contraffatta e idilliaca dell'islam che Bergé e altri autori cercano di diffondere e di imporre in Occidente, riportiamo di seguito alcuni pareri o citazioni di quotati arabisti sulla condizione femminile e sul concetto della donna presente nel mondo islamico: «In un mercato si acquista la merce, nel matrimonio si acquista la zona genitale della donna» (cfr. O. Bucci, «La donna comprata nel matrimonio islamico», in Il Tempo, del 10 febbraio 1992); «Questa concezione piuttosto brutale dell'unione dei sessi si colora maggiormente di materialismo ove si accetti l'opinione, che è l'affermazione dei giuristi più antichi, di chi pensa essere il matrimonio null'altro che una compera della donna» (cfr. E. Bussi, Principî di diritto musulmano, pag. 93); secondo l'islamista Bianca Maria Scarcia, il matrimonio islamico, a differenza di quello cristiano, «non è finalizzato alla procreazione. Sposarsi è innanzitutto la legalizzazione dell'atto sessuale. Il Corano insiste sull'importanza del piacere e il paradiso che prevede si fonda su gioie simili» (cfr. B. M. Scarcia, in Il Corriere della Sera, del 10 febbraio 1991); «È normale che il personale femminile dell'harem (in arabo la parola harem significa «famiglia» N.d.T.) si rinnovi per divorzio annuale, perfino mensile o settimanale [...]. Quando l'uomo muore quello che era il suo harem, e di cui la sua autorità era il solo legame, si dissolve all'istante; inizia un altro harem, senza rapporto di continuità con quello che è scomparso. La famiglia musulmana è vitalizia. Non è mai la famiglia di un tale; è semplicemente l'harem di un tale» (cfr. E. F. Gautier, op. cit., pagg. 36 e 42).
161 Ecco i nomi delle principali sètte islamiche: i sunniti, gli hanifiti, i malikiti, gli sciafiiti, gli hanbaliti, i zaiditi, gli ismailiti, i qarmati, i fatimidi, i nizariti (il cui imàm porta il titolo di aga khan), i khojas, i bohora, gli imamiti, i nusairiti, i khàrijiti, gli ibaditi, i wahhàbiti (considerati non a torto tra i più intolleranti e anticristiani), gli yazidi, i drusi (che credono nella trasmigrazione delle anime), gli ahmadìya, ecc... (cfr. Enciclopedia delle religioni, pagg. 489-497).
162 Cfr. H. Lammens, op. cit., pag. 181.
163 «Secondo l'insegnamento della shìa, Maometto, poco prima di morire avrebbe iniziato ai più profondi misteri dell'islam il cugino e genero Alì, il quale avrebbe poi trasmesso questo "sapere esoterico" alla sua famiglia. I suoi diretti discendenti vengono perciò considerati imàm, ovvero "guide" e custodi di questa segreta sapienza» (cfr. Enciclopedia delle religioni, pag. 491).
164 Si tratta di un'opera non certamente priva d'interesse, ma le cui ripetizioni ne rendono la lettura straordinariamente noiosa.
165 Cfr. Le Coran, nota nº 1, pag. 450.
166 Cfr. B. Carra De Vaux, op. cit., pag. 1144.
167 Cfr. H. Lammens, op. cit., pag. 148.
168 Ibid., pag. 151. La parola «sufismo» deriva dal termine arabo suf, («stoffa di lana grezza»), materiale utilizzato per confezionare le vesti di quegli asceti e mistici da cui il movimento prese avvio (cfr. Enciclopedia delle religioni, pag. 511).
169 Cfr. H. Lammens, op. cit., pag. 157.
170 Ibid., pag. 163.
171 «La confraternita dei Mawlawìya deve la sua origine al celebre poeta e mistico persiano Gialàlùd ad-Dìn Rùmì (1207-1273); essa fu fondata in Asia Minore, a Konya, e viene designata come Confraternita di Nostro Signore. Gli appartenenti a quest'ordine - chiamati anche "dervisci danzanti" - eseguono tutti venerdì, come esercizio spirituale, danze rituali finalizzate al raggiungimento dell'estasi [...]. Oggi la confraternita è diffusa in tutta l'Africa Settentrionale. I suoi membri, che nutrono sentimenti ostili nei confronti dei cristiani e degli europei, hanno un forte spirito missionario [...]. I sufi, per il raggiungimento graduale dell'estasi, hanno dei metodi ("tarika") che, se utilizzati in modo scorretto, possono portare all'annientamento dell'io ("fanà"), mentre la loro giusta utilizzazione conduce all'unione mistica con Allah ("tauhìd"). É a questo scopo che vengono praticati gli esercizi spirituali e liturgici, singoli e collettivi, consistenti in abluzioni, musiche e danze. Presso i già citati "dervisci danzanti", i religiosi, disposti in un doppio cerchio, ruotano in una specie di girotondo - spesso con l'accompagnamento di strumenti musicali - tenendo le braccia allargate, mentre uno di essi balla al centro del cerchio, muovendosi in senso antiorario. Presso alcune confraternite, le danze sono accompagnate, oltre che dalla musica di flauti e tamburi, pure da invocazioni sussurrate, che altro non sono se non la ripetizione ossessiva del termine "Hu" (Lui", ossia Allah)» (cfr. Enciclopedia delle religioni, pagg. 513-514).
172 Questa corrente deve il suo nome a Kemal Atatürk Mustafa (1881-1938), uomo politico turco (di origine ebraica) che promosse la modernizzazione e la laicizzazione del suo Paese abolendo il califfato e riconoscendo la parità dei sessi e il suffragio universale.
173 Cfr. P. H. Lammens, op. cit., pag. 182. Quanto alla massiccia presenza della sètta massonica in terra musulmana, sarà utile ricordare l'esistenza di un rito particolare proprio della Massoneria turca, e di una Grande Loggia in Iran, fondata da Sayed Jamal al-Din, il padre del panislamismo, che annovera tra i suoi affiliati buona parte dei membri del Governo di quel Paese (compresi molti parenti e amici del defunto ayatollàh), i cui nomi sono apparsi in una lista che si trova in una lettera indirizzata dal segretario della Grande Loggia al Gran Maestro della stessa (cfr. «Tutti i massoni dell'ayatollàh Khomeini», in Chiesa Viva, nº 199, settembre 1989, pag. 8).
174 Cfr. H. Lammens, op. cit., pag. 182.
175 «Esploratore ed eremita francese (1858-1916); dopo una gioventù dissipata come brillante ufficiale e dopo aver a lungo viaggiato per le montagne dell'Atlante, Charles de Foucauld si convertì a vita religiosa ed entrò nei trappisti (1890), e per alcuni anni visse come Frate Alberico in monasteri di Francia, Siria e Algeria. Uscito poi dall'Ordine per desiderio di maggiori penitenze, fu eremita a Nazareth e a Gerusalemme; sacerdote nel 1901, se ne andò a vivere come anacoreta in Algeria, dove la sua santa vita e carità apostolica verso gli indigeni gli fecero dare il soprannome di "marabù cristiano". Fu ucciso dai tuareg nel deserto. Progettava una Congregazione di Piccoli Fratelli del Sacro Cuore di Gesù per le missioni tra i maomettani, che fu realizzata soltanto più tardi» (cfr. Dizionario Ecclesiastico, pagg. 1159-1160, voce «Foucauld»).
176 Come abbiamo già già spiegato, nella Sura XIX, il Corano sostiene che Maria fosse la figlia d'Amram, padre di Mosé e di Aronne e contemporaneamente sposo di Anna. Ci dispiace per il «profeta» Maometto, ma Miriam, la sorella di Mosè e di Aronne, è vissuta circa 4.000 anni prima di Maria, Madre di Gesù Cristo.
177 Cfr. L'Homme Nouveau, del 15 aprile 1984.
 
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