sabato 2 febbraio 2013

IDEE DIRETTRICI (Estratto dal libro di Mons. Henri Delasuss; Il problema dell'ora presente. Antagonismo tra due civiltà (I Parte - Guerra alla civiltà cristiana) )



"Il fine supremo dell'uomo è la felicità", disse Bossuet (Méditation sur l'Evangile). Ciò non è proprio di lui solamente; ma è il fine a cui tendono, senza eccezione, tutte le intelligenze. Il grande oratore ben lo riconosce : "Le nature intelligenti altro non vogliono nè desiderano che la felicità". Ed aggiunge : "Niente di più ragionevole, poichè qual cosa migliore che desiderare il bene, vo' dire la felicità?" (Euvres oratoires de Bossuet, Sernion pour la Toussaint). Perciò trovasi nel cuore dell'uomo uno stimolo invincibile che lo spinge alla ricerca della felicità, e se anche lo volesse, non potrebbe farne a meno, essendo il fondo di tutti i suoi pensieri, il gran movente di tutte le sue azioni; ed anche allora che si getta in braccio alla morte, è persuaso di trovare nel nulla una sorte preferibile a quella in cui egli vive. 

Jacques Bénigne Bossuet (Digione, 27 settembre 1627 – Parigi, 12 aprile 1704)
 


L'uomo può ingannarsi, e di fatto s'inganna assai di sovente nella ricerca della felicità, nella scelta della via che deve condurvi. "Collocare la felicità ove esiste, è la sorgente d'ogni bene - dice ancora Bossuet - coni' è la sorgente d'ogni male riporla dove non si conviene" (Méditation sur l'Evangile). Ciò è vero così per la società come per l'individuo. L'impulso verso la felicità viene dal Creatore, e Dio vi aggiunge la luce che ne rischiara il sentiero, direttamente colla sua grazia, indirettamente mercè gl'insegnamenti della sua Chiesa. Ma spetta all'uomo, individuo o società, spetta al libero arbitrio di dirigersi e pigliarsi la sua felicità là dove a lui piace di collocarla, in ciò che è realmente buono, e, superiore ad ogni bontà, nel Bene assoluto, Dio; ovvero in ciò che non ha se non le parvenze di bene, o che è un bene soltanto relativo.
Fin dalla creazione dei genere umano, l'uomo ha smarrita la via. Anzichè prestare fede alla parola di Dio ed ubbidire al suo comandamento, Adamo ascoltò la voce ammaliatrice che gli diceva di porre il suo fine in se stesso, nella soddisfazione della sua sensualità, nelle ambizioni dei suo orgoglio. "Voi sarete come dei" ; "il frutto dell'albero era buono a mangiare, bello a vedere; e d'un aspetto che ne destava il desiderio". Avendo così deviato, fin dal primo passo, Adamo travolse la sua stirpe nella falsa direzione da lui presa.
Essa si mise su tal via, si avanzò, vi si sprofondò per lunghi secoli. La storia è là per dire i mali ch'essa incontrò in questo lungo traviamento. Ma Dio ne ebbe pietà. Nel suo consiglio d'infinita misericordia e d'infinita sapienza, risolvette di riporre l'uomo sulla via della vera felicità. E a fine di rendere più efficace il suo intervento, volle che una Persona divina venisse sopra la terra per additarne il sentiero colla sua parola e tracciarlo coi suo esempio. Il Verbo di Dio incarnossi e passò trentatre anni in mezzo a noi per trarci dalla via di perdizione ed aprirci il cammino d'una felicità non fallace.


La sua parola come i suoi atti sconvolgono tutte le idee fino allora accettate. Egli diceva: Beati i poveri! Beati i miti, i pacifici, i misericordiosi! Beati i mondi di cuore! Prima di Lui si era detto: Beati i ricchi! Beati quelli che imperano! Beati quelli che tutto possono concedere alle loro passioni! Egli era nato in una stalla, erasi fatto il servo di tutti, aveva sofferto dolori e morte, affinchè le sue parole non fossero prese per declamazioni, ma bensì per lezioni, oltre ogni dire persuasive, perchè date da un Dio e da un Dio annichilito per nostro amore. 
Egli volle perpetuarle e renderle sempre parlanti ed operanti agli occhi e all'udito di tutte le generazioni venture. A questo scopo fondò la santa Chiesa. Stabilita nel centro dell'umanità, essa non cessò, mercè l'insegnamento de' suoi dottori e l'esempio dei suoi santi, di ripetere a tutti quelli che si vide passare sotto gli occhi: "Voi cercate, o mortali, la felicità, e cercate una cosa buona; badate però di non cercarla dove non è. Voi la cercate sulla terra, e non è ivi la sue dimora, non è là che si trovano quei giorni felici di cui ha parlato il divino Salmista: Diligit dies videre bonos... Qui ci sono i giorni della miseria, i giorni del sudore e del travaglio, i giorni dei gemiti e della penitenza a cui possiamo applicare le parole del profeta Isaia: "Il Popolo mio, quelli che ti dicono beato, t'ingannano e sconvolgono tutta la tua vita". Ed ancora: "Quelli che fan credere al popolo ch'egli è felice sono ingannatori". Dunque dove trovasi la felicità e la vera vita, se non nella terra dei viventi? Quali sono gli uomini beati, se non quelli che sono con Dio? Quelli si che vedono i bei giorni, perchè Dio è la luce che li illumina. Essi vivono nell'abbondanza perchè Dio è il tesoro che li arricchisce. Essi in ne sono beati, perchè Dio è il bene che li appaga, ed è tutto in tutti" (Euvres oratoires de Bossuet, Sermon pour la Toussaint).




Dal I al XIII secolo, i popoli divennero sempre più attenti a questo discorso, e il numero di coloro che ne fecero la luce e la regola della loro vita andò ognora più crescendo. Certamente, vi erano delle defezioni, defezioni di nazioni e di anime. Ma il concetto nuovo della vita rimaneva la legge di tutti, la legge che i traviamenti non facevano perdere di vista, ed a cui tutti sapevano e sentivano il bisogno dì ritornare, tosto che se ne fossero allontanati. N. S. Gesù Cristo, col suo Nuovo Testamento, era il dottore ascoltato, la guida seguita, il re obbedito. La sua dignità reale era ammessa a tal segno dai principi e dai popoli, che la proclamavano perfino sulle monete. Su tutte era impressa la croce, l'augusto segno dell'idea che il cristianesimo aveva introdotto nel mondo e che doveva governarlo, lo spirito di sacrificio opposto alla idea pagana, cioè lo spirito di godimento. 
Man mano che lo spirito cristiano penetrava negli animi e nei popoli, animi e popoli salivano verso la luce e il bene, si sublimavano per ciò solo che miravano in alto la loro felicità e vi aspiravano. I cuori divenivano più puri, gli spiriti più intelligenti. Gli intelligenti e i puri introducevano nella società un ordine più armonioso, quello descrittoci da Bossuet nel sermone sull'alta dignità dei poveri. L'ordine più perfetto rendeva la pace più generale e più profonda, la pace e l'ordine generavano la prosperità, e tutte queste cose davano adito alle arti ed alle scienze, riflessi della luce e della bellezza dei cieli. Di guisa che, come osservò Montesquieu: "La religione cristiana, che sembra non avere altro oggetto che la felicità dell'altra vita, ci rende felici anche su questa terra" (1). Del resto S. Paolo avea ciò annunziato quando disse: Pietas ad omnia utilis est, promissiones habens vitae quae nunc est et futurae. "La pietà è utile a tutto, avendo le promesse della vita presente e della futura" (Tim. IV, 8). Nostro Signore non aveva detto anch'egli: "Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, ed il resto vi sarà dato per giunta"? (Matth. VI, 33). Non era quella una promessa d'ordine soprannaturale, ma l'annunzio di conseguenze che dovevano derivare logicamente dalla nuova orientazione data al genere umano.
L'ascensione, non dirò delle anime sante, ma delle nazioni toccò il suo punto culminante nel secolo XIII. S. Francesco d'Assisi e S. Domenico, coi loro discepoli S. Luigi di Francia e S. Elisabetta d'Ungheria, accompagnati e seguiti da tanti altri, mantennero per qualche tempo il grado di civiltà cristiana che era stato raggiunto mercè gli esempi che tanti altri santi avevano dati di distacco dalle
cose di questo mondo, di carità verso il prossimo e d'amor di Dio. Ma mentre che queste nobili anime guadagnavano le più alte cime della santità, molti altri si raffreddavano nell'amor di Dio ; e sulla fine dei secolo XIV, si manifestò apertamente il movimento retrogrado che trascinò la società e produsse la situazione presente, cioè il prossimo trionfo, il regno imminente del socialismo.
Bisogna esaminare a fondo il carattere dì questo regresso e le sue peripezie per ben conoscere lo stato in cui ci troviamo.

S. Francesco d'Assisi
 
 

(1) Esprit des lois, livre XXIV, ch. III. De Tocqueville ha spiegato cosi questo fatto: "Nei secoli di fede, si pone lo scopo finale della vita dopo la vita. Gli uomini di quel tempo si avvezzano dunque naturalmente, e, per così dire senza volerlo, a considerare per lunga serie d'anni un oggetto immobile verso il quale si muovono senza tregua, ed imparano, con un progresso insensibile, a reprimere mille piccoli desideri passeggeri per giungere meglio a soddisfare questo grande e permanente desiderio che li tormenta. Allorchè questi uomini vogliono occuparsi delle cose della terra, si ritrovano queste abitudini. Essi fissano volentieri alle loro azioni di quaggiù un fine generale e certo, verso il quale tutti i loro sforzi si dirigono. Non si vedono fare ogni giorno nuovi tentativi; ma hanno intendimenti stabili che non cessano di proseguire. "Ciò spiega perchè i popoli religiosi hanno spesso compiute cose durevoli. La ragione consisteva in ciò che occupandosi dell'altro mondo, avevano trovato il gran segreto di riuscire in questo. Le religioni danno l'abitudine generale di comportarsi in vista dell'avvenire. In ciò esse non sono meno utili alla felicità di questa vita che alla felicità dell'altra. A uno dei loro più grandi lati politici. Ma a misura che i lumi della fede si oscurano, la vista degli uomini si restringe e si direbbe che ogni di l'oggetto delle azioni umane lor sembri più vicino. "Una volta che si sono avvezzati a non occuparsi più di ciò che deve accadere dopo la loro vita, si veggono ricadere facilmente in questa indifferenza completa e brutale dell'avvenire che non è che troppo conforme a certi istinti della specie umana. Appena hanno perduto l'abitudine di porre le loro principali speranze a lunga scadenza, sono naturalmente portati ad attuare subito i loro minimi desideri, e sembra che dal momento che essi disperano di vivere una eternità, siano disposti ad agire come se non dovessero vivere che un giorno solo. "Nei secoli d'incredulità, é dunque sempre a temere che gli uomini si abbandonino senza tregua all'avventura nei loro desideri quotidiani, e che rinunciando interamente ad ottenere ciò che non si può acquistare senza sforzi, non formino niente di grande, di pacifico e di durevole".