martedì 3 aprile 2012

Le verità sulle vicende "Risorgimentali" nel Regno delle Due Sicilie(1860-1861):(Parte 26°):Aneddoto su Silvio Spaventa provvedimenti di Garibaldi comportamento delle truppe stanziate a Napoli

Soldati Napoletani

Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura.

Garibaldi, tanto semplice e democratico, in Napoli la facea da Re in tutto e per tutto: spendea una somma favolosa per la sua tavola, come appare delle note fatte dal Segretario Bertani. Egli facea uso di un'autorità che non hanno usata mai i re più assoluti: egli era Dittatore ed esercitava in tutta la sua estensione questa terribile magistratura; simile a Mario e Silla, altro non gli mancava per raggiungere questi due tristi dittatori di Roma antica che le note di proscrizione e di sangue: e pure nelle province erano queste in vigore, come appresso dirò.
Il Dittatore, e per esso il medico Bertani dava fuori decreti, e neppur domandava la firma de' ministri responsabili; né stampandoli li facea distinguere da quelli proposti dal ministero. Non dava esecuzione a quelli deliberati in consiglio, e da sè decretava provvedimenti nuovi senza farne motto ad alcuno.
Spesso i decreti si contradicevano, perché Dittatore e Ministri erano affetti dalla
decretomania.
D. Liborio, capo del ministero garibaldino considerandosi il fabbro della rivoluzione, credea ancora esercitare l'alto potere come l'avea esercitato sotto Francesco II; ma Bertani tirava diritto, e poco si curava se D. Liborio avesse sbraitato; costui sotto voce accusava Garibaldi d'ingratitudine, sfogando l'animo suo con li amici ed i suoi confidenti....!
Però, Garibaldi conoscea che non avea forza per sorreggersi, e per conseguenza da
un momento all'altro la sua dittatura potea essere contrastata o abbattuta. Stava un poco in sospetto perché Persano avea fatto scendere a terra le truppe piemontesi ed avea fatto occupare l'Arsenale. Avea pure costui fatto venire in fretta da Genova un Reggimento di soldati, a' quali fece prendere possesso della Granguardia. Attesi i malumori tra repubblicani e monarchici, tra comitato d'ordine e quello d'azione, tra Garibaldi e Cavour, quelle forze regie che occupavano l'Arsenale e la Granguardia, invece di essere una guarentigia, erano un fuscellino nell'occhio del Dittatore, che non lo rendeva sicuro; quindi segnalò a' suoi volontarii che accorressero subito a Napoli.
Turr trovavasi in Ariano a comprimere la reazione. Rustow con la sua brigata trovavasi in Eboli: e questi all'ordine del Dittatore, il mattino dell'8 settembre, si affrettò a partire per Napoli. Prese carrozze, carri, muli, asini e partì per Salerno; ove la sua gente, sebbene ricevuta dalla musica locale, nondimeno era vestita tanto grottescamente che fece ridere a tutti quelli che assistettero al suo defilare. Da Salerno, Rustow con la sua brigata partì per Napoli in ferrovia, ove giunse di notte: e così le tenebre coprirono l'aspetto poco rassicurante di que' nuovi liberatori, i quali alloggiarono a Pizzofalcone, e non oltrepassavano mille uomini.
Il resto di quell'accozzaglia, detto esercito garibaldesco, vi giunse poi alla spicciolata; e i napoletani si meravigliarono di non vedere soldati ma gente famelica, disordinata, malcoperta come vincitrice del florido esercito nazionale di centomila uomini! Que' garibaldini ebbero in Napoli alloggi principeschi, e non pochi abusarono della posizione in cui il caso o la fortuna l'aveano messi.
Padre Gavazzi e Pantaleo catechizzavano il popolo nelle pubbliche piazze, cioè bestemmiavano contro la nostra santa religione. Essi vi si presentavano vestiti mezzo frati e mezzo garibaldini, mischiando pugnali, pistole e crocefissi. Quando non erano compresi dagli uditori ne aveano applausi; e qualche volta avvenne che furono obbligati a rompere in mezzo la predica e fuggire, come accadde al padre Gavazzi nella piazza del Mercatello il 30 settembre. Costui avendo bestemmiato contro la Vergine SS.a fu preso a sassate dall'uditorio, e se non fosse stato difeso da' camorristi, sarebbe rimasto vittima del suo fanatismo, e del suo zelo diabolico.
Gavazzi e Pantaleo, apostoli garibaldini, avevano con loro una turba di preti e frati apostati venuti da Sicilia e Calabria, e formavano la così detta legione sacra. Tutti questi sacerdoti del pontefice Garibaldi, andavano a celebrare in alcune chiese con quel raccoglimento e devozione che ognuno potrà facilmente supporre. Essi si presentavano vestiti in costume garibaldino con baffi e barba, con pugnali e pistole, e in queste strane foggie si cingevano degli abiti sacri, e celebravano la S. Messa ognuno a modo loro. Poveri misteri della vita e passione di Gesù, come rappresentati! s'impossessarono poi delle più ricche e frequentate chiese di Napoli; cioè di S. Francesco di Paola, di Santa Brigida, del Gesù Nuovo, de' Ss. Apostoli, ed altre.
Molti preti delle province napoletane, uniti con alcuni preti della diocesi di Napoli, fecero un Comitato ecclesiastico unitario, stamparono de' programmi contro il Papa, e proclamarono il libero esame in materie dogmatiche. Ed in verità questi due termini,
dogma e libero esame parmi che fanno a calci! ma ciò non dee recar maraviglia; i rivoluzionari sono poco scrupolosi in tutto quello che riguarda il principio di contradizione: basta che trovano il proprio tornaconto.
Però il clero garibaldino, sebbene avesse Garibaldi pontefice Massimo, il quale schiccherava decreti circa la disciplina ecclesiastica, e circa la libertà di coscienza ed altro, avrebbe desiderato un Vescovo Cattolico per meglio ingannare la plebe ignorante; e gli riuscì trovarlo nella persona di Monsignor Caputo Vescovo di Ariano. Era costui frate del dottissimo Ordine de' PP. Predicatori; più volte era stato proposto Vescovo da Ferdinando II, e Roma avea respinta la proposta, perché conosce meglio del Sovrano la condotta di quel frate. Dopo tante insistenze del Re Ferdinando, Roma per contentarlo fece Vescovo di Oppido il Caputo, e costui si comportò tanto male in quella diocesi che fu cacciato a furia di popolo, caso unico nel Regno di Napoli. Non per tanto Re Ferdinando diede a quel Vescovo la diocesi di Ariano, migliore di quella di Oppido. Caputo corrispose alla incomprensibile condiscendenza del suo Sovrano verso di lui con farsi rivoluzionario e garibaldino, scandalizzando i fedeli con la sua apostasia, e con libelli contro i suoi benefattori e contro il Papa; fu egli il solo vescovo in tutta l'Italia che si contaminò d'indisciplina ed ingratitudine, ed èvvi chi lo accusa d'avvelenamento a Ferdinando II, allorchè questi pranzò da lui quando si recò a ricevere la sposa Duchessa di Calabria Principessa Ereditaria.
Tralascio di raccontare la fine miseranda di Caputo, il quale morì come l'ateo Voltaire, cioè quando cercò un confessore autorizzato, gli fu negato da' suoi seguaci..!
Garibaldi (nuovo Robespierre che accordava l'esistenza all'Ente Supremo con un decreto) decretò la libertà di coscienza, ed annullò la Bolla Etsipastoralis del Sommo Pontefice Benedetto XIV, dando a' Greci albanesi di Sicilia la libertà di esercitare il loro culto. Garibaldi ed i suoi consiglieri diedero prova di non intendere quella bolla, la quale accordava a' Greci albanesi le immunità, libertà ed esenzioni che costui credea di dare col suo decreto papale; e non crebbe i privilegi concessi da' Papi a' Greci. Il decreto garibaldesco accordò quello ch'era stato concesso, e credè di togliere una proibizione che non esisteva; e sono questi gli uomini che celebra sapienti la rivoluzione!
Il 17 settembre si approvò una formola di giuramento pe' pubblici uffiziali, e fu questa un'altra contradizione con la decretata libertà di coscienza. Il primo a giurare fu il sempre distinto D. Liborio; che importava a costui un giuramento di più o di meno non avendo né religione né onestà naturale? Molti uffiziali ed impiegati giurarono fedeltà a Garibaldi, cioè alla pagnotta. Però, dopo il 24 settembre, quando la bufèra era già calmata, quelli uffiziali ed impiegati furono tolti via di officio con la dicitura: perché colpiti dalla pubblica indignazione, ovvero, in omaggio alla pubblica opinione. Non pochi di questi uffiziali ed impiegati, l'abbiamo poi veduti in Roma atteggiarsi a fedelissimi de' Borboni e a vittime della rivoluzione!
Tutta la magistratura di Napoli giurò fedeltà a Garibaldi. I presidenti fecero
ampollosi discorsi di libertà, tutti fecero come Moroveo Re de' Franchi, adorarono quello che aveano bruciato, e bruciarono quello che aveano adorato.
Non dobbiamo maravigliarci, è stata sempre questa la vicenda delle umane viltà: la magistratura francese giurò fedeltà al Re Luigi XVIII, dopo che l'avea giurata a Napoleone 1°, ed elassi cento giorni giurò un'altra volta fedeltà a favore di quello stesso Re.
Il presidente della Corte suprema di giustizia, il sig. Niutta, stimato e messo a quel posto da Ferdinando II, si distinse più di tutti con i suoi discorsi liberaleschi, essendosi fatto liberale di occasione per farsi di nuovo codino all'occorrenza. Pochi magistrati non giurarono fedeltà al Dittatore, tra i più noti Falcone, ed Andreana, e delle Calabrie Giovanni Maddaloni.
Tutti costoro che giurano, secondo i liberali, erano gente onesta, dotta e moralisssima: al contrario chi sprezzò la pagnotta, e non volle saper di loro, erano chiamati con i più volgari nomi. E vedete contradizione de' così detti liberali: proclamavano la libertà di coscienza, e non voleano la libertà di opinione quando questa fosse diversa da quella che essi professavano.
I rivoluzionarii avrebbero voluto che tutti i vescovi del Regno fossero stati simili a Monsignor Caputo, cioè che avessero aderito a' principii rivoluzionarii, li avessero encomiati con pastorali e li avessero predicati da' pergami. E qui un'altra barocca contradizione: i liberali dicono e sostengono che i preti non si debbono mischiare di politica, e poi pretendono che si facessero apostoli di Satana per predicare i loro principii contro la Società e contro Dio; e chi non si presta è un reazionario, un sanfedista, un prete che sconosce il Vangelo! Guai poi se i preti e i Vescovi difendono la morale e i diritti della chiesa manomessa; allora cominciano le persecuzioni le più ingiuste verso gli ecclesiastici più degni per santità e dottrina, ed i più benemeriti al vero popolo; conciosiachè i liberali temono l'influenza del vero prete santo e dotto.
I primi Vescovi ch'ebbero l'onore di essere perseguitati dal governo dittatoriale furono il cardinale di Napoli, l'Arcivescovo di Sorrento e quello di Reggio, e il Vescovo Montuoro di Bovino.
Il Cardinale di Napoli ebbe comando da Garibaldi di condiscendere all'abilitazio ne dei preti e frati garibaldini agli uffizii sacri, di armare i preti e i seminaristi a dife sa della rivoluzione: il nostro Porporato si negò risolutamente e dignitosamente. Padre Pantaleo, credendosi già persona d'importanza, si era recato più volte presso il Cardinale per importunarlo, ma vedendo che nulla ottenea, il 19 settembre menovvi ausiliario l'infelice Vescovo Caputo, tutti e due pretendeano che il primo Vescovo del Regno aderisse alla rivoluzione, ed avendolo trovato assolutamente negativo, il Pantaleo alzò ardito la voce, e quello gli disse: chi siete voi; aspettate fuori. Il frate villano rispose: mi farò conoscere, ed andò via.
Fratacchione briaco ed impertinente, ti avevamo tutti conosciuto abbastanza, e non è quindi necessario che ti dicessi cosa sei. Un pari tuo, giacchè in uno de' duchi dell'illustre famiglia di Riario Sforza non volle venerare un Cardinale della santa
chiesa romana, doveva almeno rispettare il primo gentiluomo del Regno, l'uomo caritatevole e virtuoso: ma tu fosti educato ne' campi, e nelle vigne di Castelvetrano, quindi operasti in conseguenza.
Garibaldi che predicava libertà, vedendo che il Cardinale di Napoli non era in nulla condiscendente come l'Arcivescovo di Palermo Naselli, gl'intimò l'esilio per mezzo di un certo Trecchi cremonese; ed il santo Porporato partì sull'Elettrico per Marsiglia il 21 settembre.
L'Arcivescovo di Sorrento Mons. Francesco Saverio Apuzzo, uomo dotto e semplice, amico de' poveri, e de' tribolati, dopo una visita domiciliare, fu arrestato e condotto alla Prefettura di Napoli, oggi Questura; indi al carcere della Concordia. Dopo sei giorni, senza fargli vedere un parente, o un amico, fu imbarcato e mandato a Marsiglia. Gli altri vescovi perseguitati furono pure mandati in esilio: e così la rivoluzione inaugurava la libertà!
Garibaldi, facendola sempre da Pontefice massimo, con decreto dell'1 1 Settembre abolì la benemerita Compagnia di Gesù; e con un senso retroattivo annullò tutti gli atti stipulati dalla Compagnia sin dal suo sbarco in Marsala.
Quattrocentonove benemeriti padri Gesuiti, furono buttati in mezzo la strada, e sarebbero morti, di offese e di disagio, se la carità privata non l'avesse soccorsi. Erano tra quei religiosi, vecchi, infermi logorati dagli anni e dalle fatiche per istruire la gioventù e renderla virtuosa, non che per soccorrere e consolare tante sventure occulte. Oh quanti e quanti di coloro che gridavano fuori i Gesuiti, erano stati educati istruiti e soccorsi da quelle infelici vittime!
La setta persèguita la Compagnia di Gesù, perché è dessa il martello che stritola gli empii, ed è la più dotta difenditrice de' diritti della Santa Romana Chiesa. I Gesuiti aboliti nel secolo passato, dispersi e perseguitati da tutti i governi, anche da chi doveali difendere, trovarono sicuro asilo in un impero scismatico, e da lì difendevano da valorosi, con dotte polemiche, i proprii persecutori, i re legittimi! ed i Romani Pontefici. La Compagnia di Gesù si fortifica sempre nelle patite persecuzioni, perché ha fede nel suo santo fondatore, il quale ad imitazione di Gesù Cristo, disse a' suoi figliuoli, ego mitto vos sicut agnos inter lupos.I Padri Gesuiti per essere sempre più distinti nelle persecuzioni settarie, neppure si ebbero quella modica pensione governativa, che la setta governo oggi dà agli ordi ni religiosi che abolisce. I beni de' Gesuiti furono incamerati, e si creò una Giunta all'uopo per amministrarli, cioè dissiparli. E siccome l'appetito viene o cresce man giando, i rivoluzionarii cominciarono a spogliare i luoghi pii. Un decreto del 21 Settembre dichiarò nazionali i beni delle Mense Vescovili: promise a' Vescovi una congrua non più di due mila ducati annui per ciascheduno, e il resto da dividersi al basso clero. Il risultato di quel decreto fu, che il resto se lo divisero i rivoluzionarii che non eran preti; e que' reverendi che aveano tanto coadiuvato la rivoluzione, restarono defraudati nella loro aspettativa di far grossi guadagni!
Il boccone più ghiotto pe' liberali fu lo spoglio di Casa Reale. Francesco II, dolen te di lasciare un popolo che amava, in preda alla rivoluzione, - cioè sicut agnos inter lupos -,
non curò di mettere in salvo la sua fortuna privata, e quella della sua famiglia. Garibaldi, consigliato dal Ministro Conforti, decretò la confisca di tutti i beni di Casa Borbone; si confiscarono i maggiorati de' Principi reali, le doti delle Principesse, e i beni dell'ordine Costantiniano, eredità de' Borboni avuta da Casa Farnese. Le stesse Reggie di Caserta, Capodimonte, Portici, Quisisana ed Ischia, erano state fabbricate e decorate col danaro privato de' Borboni.
Il Ministro Conforti sequestrò parecchie Cedole di rendita in ducati centoquattromila seicentoquattro, intestate ad un Rispoli controlloro di campagna. Costui fu messo in carcere, e lasciato digiuno sino a che rivelasse a chi appartenessero quelle cedole. Quest'infelice dopo tante violenze sofferte, ed abbattuto dalla fame e dalla sete, rivelò che le cedole appartenevano a Casa reale: era quanto desideravano i
redentori de' popoli, onde fecero subito il
repulisti!...Indi sequestrarono altre cedole di rendita in ducati trecentodiciassettemila centottantasei, appartenenti a' fratelli e zii del Re. Le prime e le seconde cedole di rendita sequestrate formano la somma di mezzo milione e mille e settecentonovantaquattro ducati; quale rendita, calcolata alla pari formava il Capitale di dieci milioni trentaquattromila-ottocento ottanta ducati! Si sequestrarono altre rendite appartenenti al Re, tra le quali una di ducati cinquemila quattrocento quindici, frutto di economia di quel sovrano, ed altri sessantasettemila cinquecentonove ducati di rendita, dote ereditaria di Maria Cristina di Savoia madre del Re Francesco. Questo inqualificabile spoglio di Casa Reale, il Conforti lo chiamò reintegrazione legittima di quanto i Borboni aveano rubato.Miserabile! i Borboni ladri?! dovunque avessi tu girato lo sguardo, altro non avresti veduto che danaro privato di Casa Borbone, profuso con magnificenza per rendere monumentale e ricco quel Regno che tu venisti a spogliare. Avresti dovuto dire che ti facea gola la roba de' Borboni, e non mai calunniarli su quella onestà indiscutibile a preferenza di tutti i sovrani dell'Europa.
È la più degradante viltà calunniare chi non ci può offendere, e leccar poi le zampe a' potenti del giorno!
Per cotesti spogli di casa reale, Francesco II, il 5 ottobre protestava per organi del Ministro degli esteri Casella, e tra le altre cose dicea:«Di avere unita la sua causa a quella del Popolo, e di non aver curato di porre in salvo le sue sostanze, perché avrebbe sdegnato di salvare per esso una tavola in mezzo al naufragio della patria.» Ed i rivoluzionarii perseguitano e calunniano un sovrano che nutre simili magnani mi sentimenti! Ah! lo perseguitano e lo calunniano, perché era vigile guardiano de' suoi popoli, ed impediva a' redentori di spogliarli, e perseguitarli con le leggi ecce zionali di Sicurezza pubblica
Tutta la rendita sequestrata a' Borboni, il Conforti volea intestarla a Garibaldi, ma si opposero gli Agenti di Cambio, quindi con dispiacere di quel ministro fu pel momento aggregata all'erario.
Dopo la guerra del 1866, terminata con Custoza e Lissa, i contribuenti del Regno d'Italia pagarono a pronti contanti le doti di due principesse di Casa Borbone di Napoli,
maritate con gli arciduchi di casa d'Austria, e fu questo uno de' patti della pace tra l'Italia e l'Austria; quelle doti erano quelle stesse sequestrate dal redentore Garibaldi, e dall'onesto ministro Conforti, già sperperate Iddio sa come!
Tutta la ricca argenteria di Casa reale parte sparì, parte si vendè all'incanto. Anche il magnifico letto di argento di Gioacchino Murat, che i Borboni seppero conservare come un oggetto artistico e prezioso, fu venduto al maggiore offerente. Degli altri oggetti e mobili di Casa reale, alcuni presero la via di Torino, altri sparirono, e molti oggi adornano qualche salone de' redenti ed anche di qualche nostra conoscenza!
Il romanziere Alessandro Dumas, essendosi mischiato nell'amministrazioni delle forniture dell'esercito garibaldino, avea bene guadagnato: e Garibaldi gli avea fatto molti doni or sotto un pretesto, or sotto un altro. Quando costui s'impossessò di tutto il Regno volle pagar bene tutte le menzogne di quel cervello balzano, e calunnie dette e stampate da quel francese contro gli italiani. Con una lettera, ad uso napoleonico, gli diede la regia Casina del Chiatamonte, e lo nominò direttore del Museo di Napoli. Si fa direttore del Museo di Napoli uno straniero! Oh povera Italia....! Il Dumas non seppe far altro che aprire la sala delle statue oscene tenuta chiusa dai Borboni per decenza.
I Borboni regnarono in Napoli 126 anni, e tutto il bello e il buono che si ammira ancora oggi in questa Città ed in altre, è opera di que' Sovrani. Napoli non vide i vandali, vide però i garibaldini trionfanti, ed i rivoluzionarii piemontizzati; i quali non contenti di aver tolta la secolare autonomia al Regno, non paghi di aver saccheggiati i tesori di Casa reale, gli arsenali, i Banchi, i beni ecclesiastici, tentarono pure distruggere la storia patria, guastando e distruggendo i monumenti. I liberali ridevano, e rimproveravano la polizia borbonica nemica di certe forme di cappelli, di barbe, e di alcuni colori de' gelati; però essi poi mostrarono una rabbia vandalica contro gli emblemi e gli innocui gigli; e quel che più dispiace si è, che per togliere i gigli da' monumenti han distrutto e guastato i monumenti stessi.
La gente del popolo in più luoghi diede lezioni di senno patrio a' rivoluzionarii che andavano distruggendo i gigli di sopra i monumenti. In Marcianise, i contadini si armarono e si schierarono innanzi la fontana decorata co' marmorei medaglioni di Ferdinando IV e Maria Carolina, e li salvarono dalla rabbia vandalica di que' rivoluzionarii che stavano per distruggerli.
Io non so cosa abbiano inteso di fare i così detti liberali sostituendo la Croce sabauda agli stemmi de' Borboni. Han creduto falsare la Storia Patria com'è loro costume? Era forse per essi un rimprovero che i Borboni avessero lasciato una città ricca e monumentale? Mi si potrebbe dire da qualche arrabbiato: l'abbiamo fatto per togliere la memoria de' passati tiranni: ed io rispondo, e perché conservate i monumenti di Claudio, di Nerone, di Caracalla, di Comodo, de' Vice-Re di Spagna e di altri tiranni antichi e moderni? Se in Italia si volessero distruggere tutti i monumenti de' veri tiranni o di quelli creduti tali da' rivoluzionarii, questa classica terra ammirata ed invidiata dallo straniero, per i suoi mille tesori d'arte,
e le famose glorie che possiede, resterebbe solamente con le cerulee marine, i campi floridi, ed il bel cielo che la ricopre!




(Estratto dal libro di Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).