Di Isacco Tacconi - http://radiospada.org/
Il 20 novembre scorso sul blog “Libertà e Persona” è apparso un intervento di Fabrizio Cannone, buon amico che stimo con affetto sincero, ma che mi ha lasciato piuttosto scosso per le conclusioni etico-pratiche che ne scaturiscono. Il tema è quello della moralità della scelta del male minore, la quale, secondo il Nostro, in certi casi diverrebbe ben più di un’opzione possibile bensì un dovere. Ebbene, vediamone i presupposti e i risvolti.
Cannone si scaglia contro “i puristi, o teorici del non-male minore”, che si oppongono ostinatamente ad ogni tipo di legge iniqua, per esempio, dice lui, anche ad una ipotetica legge compromesso che chiama “195”, che limiterebbe l’aborto entro il primo mese di gravidanza. Costoro, secondo Cannone, sarebbero addirittura colpevoli e responsabili dei bambini che continuano ad essere abortiti fino al terzo mese a causa della legge 194. La loro colpa risiederebbe nel non opporsi positivamente votando il governo “meno peggio” o la legge, appunto, del “male minore”. Ossia, Cannone fa un’affermazione, a mio avviso, gravissima, secondo cui coloro che votassero una legge che “limitasse” il numero degli aborti (per esempio la 195), senza eliminarli, e ne consentisse, però, un numero limitato, non sarebbero responsabili di quei “pochi” aborti, anzi prenderebbero il merito di aver fatto uccidere, per esempio, soltanto 5 bambini su 10. Mentre chi si astenesse dal votare una tale legge “compromesso” lasciando che i “cattivi” approvino una legge che consente un numero maggiore di aborti, sarebbe responsabile di tutti gli aborti commessi in seguito a tale legge, per esempio, 8 bambini su 10.
L’assurdità di questa congettura è talmente smisurata che mi sconcerta il solo riflettervi per confutarla. Ma confutarla bisogna, per onore della Verità.
La radice di questa etica del “male minore” nasce da un rassegnato giudizio di realtà secondo cui: “le cose ormai stanno così, ed è inutile pensare di vivere in una società ideale altra da quella presente, perciò sfruttiamo tutto ciò che possiamo per il bene anche se ciò comporta dei sacrifici in termini di verità e di bene assoluti”.
Questa è, a mio avviso, una tentazione umana priva di fede e di speranza soprannaturale. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la vita di ogni uomo, come quella della società, non può e non deve essere schiava di un determinismo storicista che ne detti le regole del gioco. I cattolici non potranno e non dovranno mai acconsentire ad un sistema radicalmente corrotto e anticristiano come quello democratico di stampo rousseauiano. Il cedere sulla verità tutta intera per una disillusa accettazione degli eventi ormai ineluttabili, ha portato ai mostri delle leggi 194 e 40 con i loro milioni di aborti “umanitari”.
Ma perché mai parte del mondo cattolico, diciamo, “conservatore” rifiuta ogni strenua opposizione alla dittatura liberal-democratica? Io credo perché essa ci dà l’illusione di avere un potere decisionale, di poter noi popolo in quanto popolo determinare il nostro regime di governo, di essere noi i veri “governanti” che decidono a chi affidare lo scettro del comando, se a questo o a quel candidato politico.
Tuttavia il potere decisionale, ossia l’autorità, non spetta al “popolo”, l’autorità è dispensata dall’alto e non dal basso, per questo la democrazia è contro natura. Il Diritto, sia naturale che positivo, è radicato in Dio fonte di ogni norma, e Iddio non ha dato all’uomo il permesso di mettersi al di sopra del diritto naturale divino, bensì di osservare ed applicare le leggi che Egli ha stabilito ab aeterno et in aeternum. Non sono i figli che scelgono il padre, né un padre potrebbe mai gettare la responsabilità dei propri errori sui figli, allo stesso modo non si può pretendere che la responsabilità delle colpe dei politici siano da riferire agli “elettori” giacché non spetta a loro tale onere. Tanto più sapendo, se non viviamo in un mondo ideale, che le decisioni importanti per i popoli vengono prese in luoghi e sedi che non sono le aule parlamentari. L’illusione della democrazia, ossia che il popolo sia depositario di un reale potere decisionale è il più grande inganno della Storia. E’ la vecchia menzogna satanica del “sarete come dèi”, che illude i popoli di essere loro stessi ad autodeterminarsi e a mettere a proprio capo il re, il politico, il presidente o il vitello d’oro da loro scelto o fabbricato. Se cadiamo nella trappola democratista, ovviamente dobbiamo sottostare anche alle regole del suo gioco, che non abbiamo fatto noi, né tantomeno Dio, ed accettare di conseguenza la logica del male minore.
Tale logica ci porta a pensare di dover cedere qualcosa al nemico pensando così di guadagnare poco a poco del terreno. Una sorta di partita a scacchi o meglio ancora a Risiko. Tutto questo, però, è umano, troppo umano, ossia politico e non ha niente di soprannaturale né dello sguardo di fede che un cattolico dovrebbe avere sulla Storia e gli eventi.
Consideriamo, poi, che Cannone introduce il suo articolo con una citazione di San Tommaso d’Aquino che recita: “Un artefice sapiente produce un male minore per evitarne uno maggiore: come il medico taglia un membro perché l’intero corpo non perisca”. Tale citazione, estrapolata e decontestualizzata, viene utilizzata per giustificare la tesi secondo cui una legge abortista, diciamo, di “ripiego” sia un effettivo male minore da preferire rispetto ad una legge abortista tout court. Ma proviamo ad applicarla così com’è al caso dell’aborto: il membro tagliato dal “medico sapiente” non sarebbero altro che i sei milioni di bambini abortiti dal 78 ad oggi: una tesi più machiavellica che tomista.
Non dimentichiamoci, inoltre, che fu proprio in virtù di un falso “male minore” che venne approvata l’iniqua legge 194 secondo il principio perverso: piuttosto che gli aborti clandestini meglio regolamentare l’aborto, almeno tuteliamo la salute della donna.
Inoltre, bisogna tenere presente che il male minore, sia in san Tommaso che in tutta l’etica filosofica nonché nella teologia morale, è un’eccezione non la regola dell’agire universale. Perciò è profondamente fuorviante applicare ad una legislazione l’eccezione alla norma morale.
Aggiungiamo che gli esempi addotti da Cannone nel suo articolo sono del tutto fuori luogo. La dispensa particolare tratta da un pronunciamento della penitenzieria del 1800 su un caso più unico che raro, può mai giustificare il male morale, minore o maggiore non fa differenza, al livello di una intera nazione? La sentenza richiamata nell’articolo, era rivolta al singolo, e tali casi sono riservati, non a caso, al discernimento del padre spirituale o dell’ordinario. Costui, nel caso specifico hic et nunc, saprà giudicare secondo l’epicheia o aequitas dispensando, ben attenti, in via del tutto eccezionale, da alcuni doveri per salvaguardare un bene maggiore. Ma da qui ad applicare una tale eccezione particolare alla norma universale ce ne passa.
Tanto più se comprendiamo lo scopo pedagogico-educativo che hanno le leggi. La legge non risolve soltanto i problemi immediati ma crea un precedente e stabilisce un principio morale secondo cui, in alcuni casi l’aborto è permesso. Non ci basta il triste esempio della legge 40 sulla fivet? L’hanno voluta, l’hanno celebrata come un “primo passo”, come una regolamentazione del far west della produzione embrionale, ed ora è stata logicamente superata dagli eventi, giacché gli argini etici erano già stati rimossi. Ossia, se si avalla il principio secondo cui in alcuni casi, seppur limitatissimi e ristretti, l’aborto è lecito gli argini sono stati già rotti e il vaso di Pandora scoperchiato. L’uccisione dell’innocente non sarà mai lecita neppure se fosse uno contro dieci: nessuno ci autorizza a decidere chi e in che misura sia sacrificabile per la “causa”.
D’altra parte questa è l’etica di Caifa che misura il bene in numeri, e non secondo giustizia: “Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera” (Gv 11,49-50). Fu in base a questo stesso principio che Nostro Signore fu ignominiosamente condannato a morte: la morte di Cristo era il “male minore”.
Gli altri esempi che Cannone pone a sostegno della sua tesi conducono inesorabilmente fuori strada. Infatti, il porre in opposizione la preghiera quotidiana di 5 ore a quella di 3 ore, o una Santa Messa quotidiana invece che tre Messe quotidiane non ha nulla a che vedere con il male minore giacché non sono l’una un bene e l’altra un male, ma sono due beni oggettivi, e non è assolutamente vero che sono migliori, in assoluto, 5 ore di preghiera rispetto a 3. San Francesco di Sales ne dà la prova: “Ti sembrerebbe giusto che un vescovo pretendesse di vivere come un certosino? E che dire di gente sposata che non volesse mettere da parte qualche soldo più dei cappuccini? Di un artigiano che passasse le sue giornate in chiesa come un religioso? E di un religioso sempre alla ricerca di servizi da rendere al prossimo come il vescovo? Non ti pare che una tal sorta di devozione sarebbe ridicola, squilibrata e insopportabile? […]. L’esercizio della devozione deve essere proporzionato alle forze, alle occupazioni e ai doveri dei singoli”[1]. Il confronto e la scelta, quindi, deve essere tra un bene e un male, non tra due beni.
Il nostro Cannone, poi, fa confusione tra male morale e male metafisico. Il primo è un male assoluto, mai lecito, come una bugia pietosa, mentre il secondo è un male relativo, come la morte o una malattia. Nella tesi di Cannone, dunque, il male minore, che è sempre e comunque un male morale, diviene quasi un bene oggettivo e anzi doveroso, con il risultato che si cade nel primato della prassi sulla dottrina, che è lo stesso identico principio che ha mosso le tesi del card. Kasper & co. nell’ultimo sinodo sulla famiglia: adattare la verità alla necessità contingenti.
In questa sede, infine, vorrei additare il lavoro e l’esempio di Mario Palmaro, un uomo tutto cattolico, pieno di carità e di chiarezza intellettuale, il quale forse meglio di chiunque altro ha messo in luce la giusta prospettiva che il cattolico deve adottare di fronte all’abominio della desolazione presente. Tutto il suo operato e la sua eredità di bioeticista e di filosofo del diritto può essere riassunta in queste luminose parole del Nostro Salvatore: “Chiunque, dunque, violerà uno di questi minimi comandamenti e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà ritenuto minimo nel regno dei Cieli: chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei Cieli” (Mt 5,19).
[1] SAN FRANCESCO DI SALES, Filotea. Introduzione alla vita devota, cap. III.