di Ruggero
Guarini
Gentile e stimato professor
Aldo Masullo, leggendo sul “Mattino” un suo toccante articolo sul rogo che ha
distrutto la Città della Scienza a Bagnoli, mi ha molto colpito, e anche
commosso, un passo in cui lei ha enumerato le molte istituzioni, non soltanto
museali, che a Napoli, nell’Ottocento, costituirono (riporto la sua felice
espressione) dei “formidabili incubatori scientifici”.
A questo proposito,
infatti, lei ha giustamente ricordato che fra quelle istituzioni spiccano il
primo Museo Mineralogico del mondo (creato nel 1801 presso il collegio Massimo
dei Gesuiti, fra via Palladino e via Mezzocannone), il primo Orto Botanico
italiano (in via Foria: 1807); il primo Osservatorio Astronomico italiano
(Capodimonte: 1815); il primo Centro Sismologico italiano (sul Vesuvio: 1841) e
la Stazione Zoologica di Anton Dhorn (nella Villa Comunale:1872).
Questo piccolo elenco le
ha permesso di osservare che Napoli, in quel secolo, dunque non fu soltanto,
come tutti sanno, la patria di quella cultura umanistica (letteraria, storica,
politica e filosofica) che trovò i suoi massimi esponenti in Francesco De
Sanctis e Antonio Labriola, ma anche (cosa purtroppo molto meno nota, e spesso
dimenticata) la città in cui la cultura scientifica conseguì, più che in ogni
altra città italiana, molti prestigiosi “primati” nazionali, e talvolta persino
mondiali.
Opportuna e giusta
osservazione, alla quale, tuttavia, non sarebbe stato sconveniente aggiungere
che tutti quegli “incubatori”, tranne la Stazione Zoologica di Dhorn (che fu
creata quando la nostra città, da capitale del più vasto, popoloso e ricco degli
stati pre-unitari, era già stata ridotta al rango di capoluogo di una regione
del nuovo stato sabaudo), nacquero durante il regime borbonico.
Suppongo che su questa
circostanza lei abbia sorvolato perché la ritiene arcinota. Ma quasi altrettanto
arcinoto è ormai un altro fatto che invece le è sembrato necessario ricordare,
ossia che Napoli, in quegli anni, “balzò come uno scandalo alle cronache del
mondo”. Si dà il caso, tuttavia, che mentre la prima circostanza (da lei omessa)
sia una verità di fatto indiscutibile, la seconda (da lei riferita) sia invece
una diceria storica ormai da un pezzo molto discussa e giudicata da non pochi
seri studiosi del ramo un evidente prodotto della retorica antiborbonica che
alimentò il nostro processo unitario.
Quella retorica era
ovviamente basata sul presupposto che il Regno delle Due Sicilie fosse il più
arretrato e barbarico degli stati preunitari, e che di conseguenza la sua gente
vivesse in condizioni molto peggiori di quelle allora toccate a tutte le altre
popolazioni della penisola. Ma a provare che questo presupposto è per molti
aspetti una panzana concorrono ormai, com’è noto, non pochi dati che, dopo
essere stati a lungo misconosciuti e taciuti dalla storiografia ufficiale, sono
stati da un pezzo messi in luce da quella definita
“revisionista”.
Fra tutti questi dati credo
che il più sorprendente sia quello riguardante il lavoro e l’occupazione. Per
capire che la tesi dell’arretratezza del Sud rispetto al Nord in quel campo è in
effetti un pregiudizio basta infatti ricordare che nel 1861, dal primo
censimento del Regno d’Italia, risultò che nelle sole province dell’ex Regno
delle Due Sicilie il numero degli occupati nel settore industriale (esattamente
1.595.359) era leggermente superiore a quello registrato in tutto il resto della
penisola (1.535.437). Ma non meno illuminante è un dato relativo alla salute e
alle condizioni igieniche, giacché dalle registrazioni dell’epoca risulta che
allora nel Mezzogiorno il tasso di mortalità infantile era più basso che nelle
regioni del Nord.
A queste ormai scontate
osservazioni, il rogo di Bagnoli permette comunque di aggiungere, sempre ai fini
del confronto fra la barbarie dell’èra borbonica e la superiore civiltà di
quella unitaria, un appunto nuovo di zecca, riguardante questa volta la
correttezza amministrativa: non risulta che qualcuna delle tante istituzioni
scientifiche della Napoli preunitaria abbia mai sospeso per mesi e mesi, come è
accaduto nella Città della Scienza, sia il pagamento degli stipendi ai
dipendenti sia quello dei debiti ai fornitori.
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